La scorsa settimana sui giornali e le pagine Internet di mezza Italia è stato raccontato il caso di
Salvatore D’Apolito, artigiano piastrellista originario della provincia di Foggia ma residente a Villasanta (Monza e Brianza), che il 27 settembre scorso a Negrone di
Scanzorosciate (Bergamo) ha tentato di uccidere la moglie,
Flora Agazzi, esplodendo diversi colpi di pistola e ferendola gravemente. Questo atto sanguinario, inclusa la sua premeditazione, è stato
confessato interamente presso il comando dei Carabinieri di Bergamo una decina di giorni più tardi. D’Apolito si sarebbe dovuto incontrare con la Agazzi
in tribunale all’inizio di ottobre per la causa di
separazione: i due erano sposati oramai solo formalmente, poiché sul loro matrimonio, durato 28 anni, era di fatto calato il sipario.
Questo video è tratto dall’
intervista esclusiva, rilasciata da D’Apolito appena prima di andare a costituirsi in caserma e confessare il suo reato, trasmessa il 10 ottobre scorso da RAI Tre a «
Chi l’ha visto?». Il colloquio con il giornalista, svoltosi in strada in presenza dell’avvocato di D’Apolito, si conclude con un
pianto di disperazione.
Con tutto il rispetto per il dolore di
Salvatore D’Apolito e per le turbe che possono averlo condotto a un gesto tanto sconsiderato, senza cinismo ma piuttosto con
spassionata obiettività, si potrebbero interpretare quel pianto apparentemente liberatore come una sorta di «
lacrime di coccodrillo» e quella pubblica confessione come una
mossa tattica messa in atto per affiancare la sua
costituzione volontaria presso le forze dell’ordine, così da rendere credibile il suo
presunto pentimento e – con l’occasione –
additare terze persone (completamente estranee a una vicenda del tutto privata) come colpevoli dei loro contrasti. Un’accusa/scusa che, peraltro, non reggerebbe neanche al più elementare esame della questione.
Leggendo gli articoli che sono stati via via pubblicati dai media sul caso, quello che fa specie non è tanto che
Salvatore D’Apolito cerchi di giustificare il proprio crimine, ma piuttosto il fatto che (scandalosamente) i giornalisti diano spazio alla sua scenata senza evidenziare quanto siano
inaccettabili le
scuse di un uomo divenuto un criminale e i suoi tentativi di incolpare qualcun altro. In contesti diversi, dove non fosse stata coinvolta una presunta «setta», non avrebbero invece tuonato contro «l’ennesimo
femminicidio»? Non avrebbero forse chiamato in cause associazioni come
Doppia Difesa, pubblicizzandone l’ipotetica utilità in casi di «
violenza di genere» come questo?
Tentare di
uccidere la propria consorte è un reato grave, ma se la donna è «
colpevole» di aver aderito ad un movimento religioso non tradizionale (astutamente e perfidamente etichettato «
setta») allora la
si può anche punire attentando alla sua vita, e il criminale viene pure commiserato perché soffriva di turbe mentali e di solitudine «per colpa della setta».
Non si parla, invece, del fatto che la
ex moglie pretendeva
gli alimenti e che questo era esattamente l’oggetto della causa che si sarebbe celebrata in tribunale qualche giorno dopo il tentato omicidio.
Quando poi il giornalista della RAI fa notare a D'Apolito che il movimento di cui sta parlando non sembra affatto essere una «
setta satanica» come lui va sostenendo, la sua risposta è questa:
Una proposizione, quella di
Salvatore D’Apolito, che ci ricorda inevitabilmente le chiassose affermazioni degli «anti-sette» di
AIVS.
Avendo già documentato in precedenza in maniera più che esauriente il modo in cui gli «
anti-sette» fomentano l’
odio e generano
allarmismo per lo più ingiustificato, dileggiano e
offendono i gruppi spirituali,
minacciano e
intimidiscono chi rende noto il loro discutibile operato, non approfondiremo nel presente post tale tematica, dandola per assodata. D’altronde, è sufficiente leggere un po’ di altri post di questo blog per constatare il fenomeno vagliandone l’
abbondante documentazione (è possibile utilizzare la casella di ricerca sulla destra inserendo parole chiave quali «odio», «intolleranza», «stigma», «razzismo», «fake», ecc., oppure scorrere le pagine di riepilogo nel menù in alto, a partire dalla pagina
«Notizie e aggiornamenti» che elenca tutti i post).
Assistiamo invece, in questo
torbido caso di tentato omicidio, all’esito che quella veemente propaganda potrebbe aver avuto nell’
influenzare un uomo sconvolto dalla rottura del suo matrimonio e turbato dall’impellente necessità di trovare un capro espiatorio per le sue angosce. Ecco infatti come lo descrive il suo avvocato:
Che vi possa essere un
coinvolgimento diretto di
AIVS nella genesi di questa vicenda di cronaca nera sarebbe ovviamente pretta supposizione, tuttavia vi sono alcuni fatti. Il primo, alquanto significativo, è che a nemmeno
48 ore dalla trasmissione di RAI Tre, l’associazione «anti-sette» presieduta da
Toni Occhiello (conterraneo di Salvatore D’Apolito) si è affrettata non solo a pubblicare alcuni post per
commentare l’accaduto (senza nemmeno una parola per condannare il tentato omicidio di una donna!) e per
rafforzare le speciose motivazioni addotte dal reo confesso, ma anche (addirittura) a
inviare una lettera alla RAI per ribadire le proprie accuse nei confronti della confessione religiosa presa di mira dal (quasi) assassino della ex moglie.
Per inciso, è davvero singolare la richiesta di soddisfare un loro presunto «diritto di contro informazione»: a
quale legge farebbero riferimento? E perché si sentono
tanto riguardati dal caso da dover essere interpellati? Forse conoscevano il soggetto?
Non solo: nella lettera alla
RAI, il vicepresidente di
AIVS,
Francesco Brunori (alias «Italo»), fornisce un indizio ancora più cospicuo del fatto che
AIVS possa avere direttamente o indirettamente
fomentato in
Salvatore D’Apolito quell’odio antireligioso, tanto immotivato quanto strumentale, che lo ha poi indotto a premeditare e compiere un
tentato omicidio incolpandone infine (pubblicamente!) una comunità religiosa pacifica e ben integrata nella società italiana.
Proviamo a riguardare questo stralcio:
Nel seguente passaggio della lettera di
AIVS,
Francesco Brunori tenta di dimostrare la presunta veridicità delle parole di
Salvatore D’Apolito riprendendo una delle solite argomentazioni addotte da
AIVS ai danni della confessione religiosa in questione:
Si noti, fra l’altro, come sia lampante che D’Apolito sta cercando di
snocciolare qualcosa che deve aver memorizzato in precedenza, quasi
come se avesse preparato quella specifica argomentazione per l’intervista. In tal caso, dove ha reperito quelle «informazioni» tendenziose?
Da qualunque parte la si osservi, la situazione in cui versa
Salvatore D’Apolito è evidentemente drammatica. Risulta evidente dal suo comportamento, dal suo aspetto e dai segnali che chiaramente si colgono dal suo discorso. Del resto, lo conferma anche
il suo legale:
Se non si fosse reso responsabile di un
crimine premeditato, potrebbe muovere a compassione.
Purtroppo, però, l’individuo la cui giustificazione dichiarata (
«È colpa di quella setta se ho sparato alla mia ex moglie»)
AIVS sta cercando di sostenere ed avvalorare è palesemente
uno squilibrato.
Proprio questo fatto apre un ulteriore,
inquietante interrogativo.
A che tipo di individuo tentano di ricorrere gli «
anti-sette» per creare i loro «casi» fasulli contro i nuovi movimenti religiosi ingiustamente denominati «setta» o «setta satanica»?
Teniamo presente che già fra gli amministratori della/e pagina/e Facebook di
AIVS vi sono persone affette da
disturbo mentale conclamato (non perché lo diciamo noi, ma perché lo dichiarano essi stessi pubblicamente):
Ci sarebbe altro da dire in proposito, ma non ci pare nemmeno giusto seguire il
cattivo esempio di
AIVS nel loro mettere in piazza fatti privati afferenti alla salute dei loro accoliti.
Abbiamo soltanto messo in luce l’
immoralità di chi, pur di osteggiare i nuovi movimenti religiosi,
sfrutta e
strumentalizza vicende tumultuose e genera un’influenza negativa in soggetti già in difficoltà.
E nemmeno si tratta soltanto di immoralità: il profilo potrebbe essere anche
ben più grave.
Sarebbe interessante che la magistratura esplorasse a fondo questo aspetto cui ora accenneremo, avendo in corso un’
indagine penale.
Dice infatti
la legge italiana ben riportata ed esemplificata dal sito
«brocardi.it»:
«Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti.»
Per istigazione s’intende: «qualsiasi fatto diretto a suscitare o a rafforzare in altri il proposito criminoso di delinquere o di perpetrare i fatti illeciti indicati».
«La norma è posta a tutela dell'ordine pubblico, in particolare punendo quelle condotte che, pur non determinando la commissione di un reato specifico, provocano nella collettività inquietudine ed allarme sociale.»
Sottolinea infine l’
enciclopedia Treccani:
«Una differenza notevole nel trattamento delle varie ipotesi di istigazione si ha nel caso in cui sia stato effettivamente commesso il reato ovvero uno dei reati istigati. Nel caso di pubblica istigazione, che costituisce un reato autonomo, l'istigatore dovrà rispondere anche di concorso nel delitto eventualmente commesso dall'istigato.»
Seguendo questa chiave di lettura, possiamo osservare un
ulteriore paradosso: gli «anti-sette» da un lato accusano lo Stato di non tutelare i cittadini perché non interviene prontamente gettando in gattabuia tutti gli appartenenti ai gruppi (religiosi e non) che loro detestano, dall’altro lato si sentono al sicuro perché lo Stato non li ha mai perseguiti per
istigazione all'odio,
diffamazione,
calunnia, ecc. Si potrebbe obiettare che lo Stato ha ben altri impegni da affrontare senza doversi occupare dei
falsi allarmi degli «anti-sette» e che la loro istigazione all'odio trova già pieno appagamento grazie al seguito che ha: talvolta tra i
giornalisti propensi al gossip e alle fake news, talvolta presso qualche
magistrato dallo scarso zelo e dall’abbondante ansia di carriera, talvolta in qualche
parlamentare spregiudicato disposto a qualunque cosa pur di racimolare voti. Fortunatamente, si può dire che solo una parte marginale dello Stato abbia disprezzato la Costituzione della Repubblica istituendo una «polizia religiosa»
SAS (la «
Squadra Anti-Sette» del
Ministero dell’Interno), e che però, in linea di massima, sino ad oggi l’influenza reale esercitata dagli ideologi antireligiosi sia paragonabile a quella di un peto in mezzo a un fortunale.
In definitiva, c’è davvero da augurarsi che i responsabili di
AIVS facciano un serio esame di coscienza a proposito di questo caso di
tentato omicidio.