martedì 30 ottobre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: business della morte, il documentario di Leonardo Di Caprio

Pensavamo di aver concluso la serie sulla ricostruzione storica del massacro di Jonestown in Guyana e la confutazione della falsa storia «anti-sette» del «suicidio di massa». Ci sbagliavamo.

Infatti, con l’approssimarsi del triste anniversario dei quarant’anni dall’eccidio, ecco gli avvoltoi mediatici pronti a sfruttare quella tragedia per fare cassa. E come sempre i presunti esperti italiani del panorama «anti-sette» sono lì a seguirli e a dar loro manforte nel protrarre la mistificazione della verità.

Di nuovo, puntuale, l’analisi di Epaminonda non si è fatta attendere e ci fornisce elementi utili a capire a quale fenomeno meschino ci troviamo di fronte.

Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)


domenica 28 ottobre 2018

Propaganda «anti-sette»: ecco come funziona; il caso di Mario Pianesi

Dopo aver pubblicato l’ultimo post a proposito della vicenda giudiziaria (rapidamente e chiassosamente trasformata in «caso» mediatico) di Mario Pianesi, noto esperto marchigiano di alimentazione macrobiotica, un contatto ci ha informati della trasmissione «Quarto Grado» andata in onda il 5 ottobre scorso, una parte della quale (da 1h21m50s a 1h48m15s) è stata nuovamente dedicata a questo tema. Infatti è la seconda volta che Gianluigi Nuzzi (segue foto) a Rete 4 sfrutta quest’indagine della magistratura (e le vite private delle persone coinvolte) come materiale per il suo show televisivo.


Tuttavia, dobbiamo rilevare che è avvenuto un cambiamento. Sarà perché sempre più gente è colta da un certo rigetto nei confronti di queste trasmissioni di tipo scandalistico e propagandistico che cercano di colpire la «pancia» dei telespettatori, sarà che i legali di Mario Pianesi si sono fatti sentire per cercare di porre un freno al feroce linciaggio mediatico messo in atto dai mass media di tutto lo Stivale, sarà che qualcuno nella dirigenza Mediaset s’è messo di buzzo buono a lavorare sulla qualità dei contenuti per distaccarsi almeno un po’ dalla categoria di «TV spazzatura»… chi lo sa?

Di fatto, è lampante che in questa seconda puntata di «Quarto Grado» su Mario Pianesi la cattiveria a cui si era assistito in precedenza appare lievemente più moderata e il «tribunale» mediatico (del tutto improprio) allestito nello studio televisivo di Cologno Monzese pare quanto meno voler lasciare un po’ di spazio anche agli accusati.

Tanto è vero che persino Carmelo Abbate, giornalista amico degli «anti-sette», non può che rassegnarsi di fronte ai fatti e sottolineare l’apparente inconsistenza degli elementi addotti dall’accusa per dipingere Mario Pianesi come un «mostro». Si consideri che Abbate è fra i principali responsabili della becera gogna mediatica messo in atto a suo tempo ai danni della presunta «santona di Prevalle» (in realtà l’imprenditrice bresciana Fiorella Tersilla Tanghetti).


Addirittura (ma da che pulpito?), Abbate arriva a parlare di un «massacro di fronte all’opinione pubblica».


Più o meno quello che noi abbiamo definito (e ribadiamo essere) un feroce linciaggio mediatico: forse qualcosa di simile a quello che proprio Abbate aveva messo con quel folle servizio «giornalistico» su Panorama ai danni di una industriosa benefattrice? Per la cronaca, quegli articoli ora non si trovano più nemmeno in rete sui siti ufficiali:



Ci si perdoni la divagazione, ma rende bene l’idea di quanto dettaglieremo qui di seguito.

Torniamo infatti alla trasmissione «Quarto Grado» per osservare, anzitutto, come la redazione adopera strumentalmente certa terminologia sensazionalistica se non allarmistica in maniera del tutto indebita. Scorretta, impropria ed indebita: ad esempio, a più riprese gli associati de «Un Punto Macrobiotico» (l’organizzazione di Mario Pianesi) vengono definiti «adepti» o «seguaci», invece che «soci» o «associati» piuttosto che «collaboratori» o «affiliati». Perché? L’intento è evidente e travalica di netto le sottigliezze semantiche: dipingere queste persone, in maniera del tutto generalizzata e nebulosa, come gente pericolosa o sospetta.

Vengono anche mosse delle accuse gravi e non circostanziate, come questa:


Perché in oltre venticinque minuti di trasmissione Gianluigi Nuzzi non è stato in grado di produrre nemmeno uno straccio di prova di quest’affermazione tanto seria, riferita nel video addirittura quasi come se fosse ovvia e scontata?

Forse perché la fonte di tale accusa è Mauro Garbuglia, un ex collaboratore di Pianesi le cui mire e la cui attendibilità sono fortemente in discussione?


È talmente ovvio che Mauro Garbuglia ha delle motivazioni strettamente personali per parlar male di chi gli è stato amico e mentore e gli ha fornito le basi per l'attività lavorativa con cui ha sbarcato il lunario per molti anni, che non stupisce sentirlo esprimere meri pettegolezzi come questo:


E quando non sono pettegolezzi, sono congetture del tutto opinabili:


Il problema è che dicerie maliziose come queste, grazie a giornalisti come Nuzzi e a tramissioni come «Quarto Grado», prendono un certo risalto e acquisiscono una sorta di ufficialità data dal mezzo d’informazione su cui s’innestano.

Eppure coloro che sono sempre stato vicino a Mario Pianesi e alla sua prima moglie (Gabriella Monti, sulla cui morte speculano e lucrano i media), i giovani figli di Pianesi, con il cuore in mano affermano:


E non solo: smontano in maniera estremamente semplice anche il castello di carte di «Quarto Grado», per esempio sull’accusa di rifiutare aprioristicamente la medicina:


I seminatori di odio prezzolati non esitano a profanare nemmeno la sacralità del ricordo del funerale di Gabriella Monti, né l’intimità dell’agonia degli ultimi anni della sua breve vita, lanciandosi in oltraggiose illazioni sul motivo per cui Mario Pianesi l’avrebbe «segregata» in casa. Verrebbe voglia di domandare a costoro quanta voglia (e possibilità!) avrebbero di andarsene in giro per la città a sfoggiare l’ultimo vestito, qualora fossero malati e gravemente debilitati.

Di nuovo, Marco e Matteo Pianesi chiariscono in maniera estremamente lineare quale fosse la situazione:


D’altronde anche riguardo al gossip sul «corpo improvvisamente riesumato e fatto cremare», i giovani Pianesi erano stati alquanto espliciti e avevano spiegato (documentazione alla mano) che la decisione era stata presa di comune accordo con il padre, in quanto «la legge imponeva il trasferimento della salma interrata», così i tre scelsero «di cremarla per conservarne le ceneri in casa», non volendo lasciarla «finire in un loculo».

Non si è più liberi di mantenere discrezione e riservatezza intorno a una donna che sta attraversando un momento tanto tragico come quello del decorso di un ictus cerebrale che ne ha irrimediabilmente compromesso l’esistenza?

Si deve forse imputare al marito la «colpa» di non averla «miracolata» o di non essere riuscito magicamente a «guarirla»?

Pare che solo gli «anti-sette» non riescano ad accorgersi della «pazzia» (come perfettamente l’ha definita il figlio Matteo Pianesi) di tutto ciò.

Ma tanta follia non si manifesta per caso.

Non si dimentichi che difficilmente una campagna propagandistica è fine a se stessa; al contrario, ha sempre un obiettivo ben preciso.

Ne parlavamo in un precedente post in cui abbiamo anche incorporato un estratto da un video nel quale Marcello Foa, noto giornalista che di lì a poco sarebbe assurto alla sua attuale carica di Presidente RAI, delineava gli attributi della propaganda strumentale condotta attraverso i mass media.

Anche in questo caso, oltre a un selvaggio massacro della reputazione di un gruppo che fino a qualche tempo fa contava ben novantamila associati in tutta Italia, come sempre la veemente propaganda «anti-sette» ha lo scopo di battere la grancassa, in modo peraltro abbastanza subdolo, per ripristinare il reato fascista di «plagio» (giudicato incostituzionale nel 1981).

Ecco la collega di Nuzzi, Sabrina Scampini, che furbescamente cava il coniglio dal cappello:


La matrice dunque è sempre la medesima, tanto quanto le finalità.

La propaganda «anti-sette» mira ad eliminare da un presunto «mercato» (che esiste solo nelle menti contorte di pochi) tutti i possibili «rivali» o «concorrenti».

sabato 27 ottobre 2018

Quando gli «anti-sette» vengono colti in fallo: la debole replica di Luigi Corvaglia

di Mario Casini


Comincio a disperare della mia utopia che possa avvenire, un giorno o l’altro, un serio esame di coscienza da parte dei militanti «anti-sette» di CeSAP, FAVIS, AIVS e qualchedun altro.

Questo dico dopo aver letto, e in parte risposto, alle reazioni di Sonia Ghinelli, Lorita Tinelli e Luigi Corvaglia al penultimo post del presente blog, nel quale venivano sottolineate le incongruità di un maldestro tentativo di screditare un’illustre studiosa tacciandola addirittura, con scarso rispetto, di propalare «fake news».

Disillusione, la mia, che proviene dal carattere delle repliche di questi esponenti «anti-sette»: laddove mi aspetterei una critica puntuale e dialogica, mi ritrovo a dover leggere improperi (di cui tengo traccia e nota, pur non pubblicizzandoli) o – bene che vada – battute fuori luogo. Tutte cose che paiono tentativi di fuorviare, sminuire, scantonare.

Unica eccezione – che sottolineo con soddisfazione – è un appunto mosso da Sonia Ghinelli su un dettaglio tutto sommato marginale (titolo e qualifica di Janja Lalich) ma che nondimeno sarà volentieri (e a breve) oggetto di opportuna revisione e – se necessario – darà adito ad una rettifica.

Tuttavia – e disgraziatamente – quanto al merito vero e proprio del post si è dovuto attendere una decina di commenti per così dire «interlocutori» prima che Luigi Corvaglia si degnasse di fornire una replica vera e propria, dopo aver non poco tergiversato.

E pensare che lo stesso psicologo leccese (che odia essere definito «pugliese»… sic) solo qualche anno fa ha sentenziato (testuali parole sue!) quanto segue.

«È vero che il concetto di manipolazione mentale
non è universalmente accolto in ambito scientifico.»

Ma al nostro post, che dimostra l’inefficacia di un suo tentativo di screditare la prof.ssa Eileen Barker, Corvaglia deve a tutti i costi rispondere impettito (ostentando una superiorità che stride con vari segnali, fra cui le ben quattro modifiche del suo commento) e sostenendo che altri hanno «male interpretato il senso di quel suo piccolo scritto». Eppure c’era ben poco da interpretare, tant’è che sono state riportate fedelmente le sue stesse parole, il cui senso è peraltro lampante.

Una replica, quella di Luigi Corvaglia, che purtroppo riesce solo ad evidenziare ulteriormente una volontà evasiva di sostenere ancora delle argomentazioni già dimostrate fallaci; una sorta di «difesa dell’indifendibile».


Tant’è che bisogna arrivare quasi a metà del suo lungo commento, sfrondando le pure e semplici lamentazioni, per trovare la replica vera e propria.

Scrive infatti Corvaglia:


Il concetto è alquanto chiaro: il suo post prendeva di mira un singolo aspetto del saggio della prof.ssa Barker. Ne prendiamo atto, per non dire che era lapalissiano. Ciò precisato, tale assunto non mina in alcun modo la validità della nostra confutazione. Anzi, conferma che Corvaglia ha sbocconcellato il saggio della studiosa britannica nella vana speranza di riuscire a trovarvi qualche punto debole.

Scrive altresì Corvaglia:


Eppure è stato proprio Corvaglia a introdurre la sua «breve “pillola”» con questa frase:

«Le tecniche di persuasione non sono particolarmente efficaci e il fatto che la gente entri ed esca liberamente dai culti dimostra che non esiste il “lavaggio del cervello”.»

Allora questa «breve “pillola”» riguarda o non riguarda il «lavaggio del cervello»? Mi domando cos’altro si potrebbe escogitare per negare un fatto tanto ovvio.

Ma proseguiamo per vedere come Corvaglia conclude la propria replica:


Posso solo ringraziare lo psicologo leccese a nome della redazione del blog perché ci riconosce appieno di aver perfettamente inteso il senso del suo scritto.

Infatti, è proprio quello da lui riaffermato il punto che gli si è voluto contestare e che gli va ribadito, così che (forse) sia proprio lui ad afferrarne il concetto:

Chiunque eserciti una minima dose di buon senso, direbbe: che ci azzecca? Rispondiamo noi: perfettamente nulla. 
Corvaglia traspone una questione statistica afferente all’ambito dell’affiliazione religiosa in un ambito riguardante la tossicodipendenza, che si colloca dunque fra il fisiologico e lo psicologico.
Sarebbe come dire che, siccome solo uno «zero virgola» degli acquirenti di autovetture Fiat torna ad acquistare Fiat successivamente, allora l’efficacia dei metodi di vendita dei commerciali Fiat non è nemmeno paragonabile ai discorsi di persuasione dei Moonisti. Dinanzi a un siffatto paragone, ci si sentirebbe decisamente presi per i fondelli.

In definitiva, è sorprendente che proprio lo psicologo «anti-sette» Luigi Corvaglia continui a rifarsi ad una teoria (quella del «lavaggio del cervello» alias «manipolazione mentale»), da lui stesso riconosciuta controversa, da più parti sbugiardata, priva di basi scientifiche accreditate, quasi come se fosse un dogma. Non sarà forse, il suo, un atto di fideismo simile a quelli tanto dileggiati dalla sua amicissima e collega psicologa Lorita Tinelli?

E pensare che proprio Luigi Corvaglia cita frequentemente il noto filosofo della scienza Karl Raimund Popper per ricordare che «la conoscenza scientifica non è oggettiva, né sicura né tantomeno completa», che «la nostra attuale visione del mondo non è necessariamente “vera”, ma sicuramente verosimile», e che «l’assolutismo della fede (e questo vale tanto per quella religiosa, quanto per quella politica o calcistica) comporta l’infalsificabilità, ovvero la svalutazione delle evidenze contrarie ai propri dettami di fede».

Non è una «svalutazione delle evidenze contrarie ai propri dettami di fede» quella che ha tentato di produrre lo psicologo leccese nei suoi derisori commenti al nostro post?

D’altronde, si sa: guai a sottoporre a figure come Lorita Tinelli o allo stesso Corvaglia elementi anche cospicui che contraddicono le loro asserzioni!

Ma dunque, non paiono forse proprio gli «anti-sette» dei gruppi chiusi, astiosi ed ostili che seguono i dettami di pochi individui i quali hanno proclamato delle presunte verità dogmatiche, autoreferenziali e antiscientifiche? Non tentano poi di schernire, osteggiare ed intimidire chiunque abbia l’ardire di metterle in discussione o di muovere loro delle critiche?

In altri termini, costoro non si comportano proprio come sostengono che agisca una «setta» o un «culto distruttivo»?

mercoledì 24 ottobre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: quarant’anni di menzogne «anti-sette»

Nella stragrande maggioranza delle attività «anti-sette», la menzogna è il filo conduttore.

Così è per certi episodi storici di spicco dei quali ci siamo occupati (come questo di Jonestown e il rogo del ranch di Waco) o dei quali ci occuperemo prossimamente, così è per piccoli fatti di cronaca isolati che avvengono in luoghi lontani (come la lunga notte di un gruppo di amici scozzesi), tanto quanto è avvenuto per episodi meno noti a livello internazionale ma pur sempre devastanti per coloro che ne sono stati investiti: dalla «santona di Prevalle» alla «Comunità Shalom» passando per «Ananda Assisi», dagli inesistenti «Angeli di Sodoma» ai falsi abusi dei genitori di Modena, dalle «sette sataniche» inventate di Saluzzo e Costigliole d’Asti sino a quella nebulosa di una donna quasi ammazzata dall’ex marito, dal presunto «guru della macrobiotica» Mario Pianesi all’ipotetica «guru in pectore» di una «setta», la prof.ssa Raffaella Di Marzio.

Ciascuna di queste tristi, orribili storie ha in comune un tratto fondamentale: le bugie e le mistificazioni degli «anti-sette» e le azioni conseguenti di chi viene istigato o fuorviato dalle loro attività.

Ecco un’ultima rifinitura di Epaminonda che ci fornisce ulteriori elementi in tal senso.

Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)


martedì 23 ottobre 2018

Paradossi «anti-sette»: Luigi Corvaglia, una «bufala» per (fingere di) smentire «fake news» inesistenti

[N.B. Post modificato in data 30/10/2018 per rettificare l'impreciso riferimento alla prof.ssa Janja Lalich]

È ormai da tempo un fatto conclamato che gli «anti-sette» cercano di riaffermare talune teorie da loro spesso adoperate per giustificare il proprio operato; tentano di ribadirle perché rappresentano appigli e basi ideologiche su cui poter fondare le campagne mediatiche alle quali danno adito, e per poter classificare movimenti religiosi da loro odiati come «sette», «culti distruttivi», «culti abusanti», ecc. Una prassi (questa dello «stigma» contro le cosiddette «sette»), che accomuna le diverse associazioni del panorama «anti-sette» italiano: AIVS, CeSAP, FAVIS e la loro controversa capofila europea FECRIS.

Quando però ricercatori indipendenti come noi, piuttosto che giornalisti o studiosi, mettono in luce le incongruenze del loro argomentare, ecco che scattano le offese, lo scherno e le intimidazioni, invece di critiche obiettive e puntuali come ci si aspetterebbe in un contraddittorio civile e costruttivo.

Quello che focalizziamo nel presente post è un tentativo paradossale e forse subdolo, da parte di Luigi Corvaglia (psicologo ed esponente «anti-sette» piuttosto attivo negli ultimi tempi, forse perché ansioso di ritagliarsi una sua fetta di palcoscenico per motivi che abbiamo ben evidenziato qui), di «smentire» solo una delle numerose argomentazioni mosse dal mondo accademico contro le tesi estremiste degli ideologi «anti-sette». Tesi peraltro molto simili (se non sovrapponibili) a quelle adoperate nel periodo fascista per discriminare le confessioni religiose minoritarie e per giustificarne la persecuzione, come si è descritto nei due post (primo e secondo) a proposito della circolare «Buffarini Guidi».

Andiamo al sodo.


Luigi Corvaglia (presidente del succitato CeSAP), in un articolo che ha scritto il 9 aprile scorso e ha pubblicato su un proprio blog personale, asserisce che secondo la prof.ssa Eileen Barker, «le tecniche di persuasione [nella Chiesa dell’Unificazione, un gruppo annoverato fra i «nuovi movimenti religiosi»] non sono particolarmente efficaci e il fatto che la gente entri ed esca liberamente dai culti dimostra che non esiste il “lavaggio del cervello”».

Corvaglia fa riferimento a uno studio (del 1984) sulla «Chiesa dell’Unificazione del Reverendo Moon», che per la verità s’intitola «The Making of a Moonie: Choice or Brainwashing?» (e non «The Making of the Moonies» come scorrettamente indicato dello psicologo pugliese). Per completezza, la traduzione letterale del titolo del saggio sarebbe «Come si diventa Moonie, scelta o lavaggio del cervello?».


Si tenga conto che la prof.ssa Eileen Barker, ora ottantenne, è una luminare nel campo della sociologia, infatti conduce e pubblica studi sui movimenti religiosi da quasi quarant’anni); dunque già il fatto di tacciarla di dare adito a «fake news» ha come minimo dell’irriguardoso.

Inoltre, ammesso e non concesso che l’esatto enunciato della prof.ssa Barker sia quello riportato da Luigi Corvaglia nel suo post (è lecito dubitarne perché non è virgolettato ma è preso di rimando da un altro scritto in cui viene menzionato), occorre anche considerare il fatto che si sta astraendo un unico concetto da uno studio di ben 300 (trecento) pagine che andrebbe letto integralmente. Corvaglia l’avrà fatto? Chissà…

Comunque il dato statistico cruciale, su cui Corvaglia impernia tutto il suo tentativo di confutazione, è:

«Barker ha scoperto che su oltre 1.000 persone fermate per strada che hanno partecipato al loro primo evento Moonie (generalmente un pranzo), circa il 33,3% è andato al seguente corso / workshop, circa il 10% ha dichiarato di voler aderire e circa il 5% era ancora membro a tempo pieno due anni dopo.»

Il che, tradotto in cifre, significa che mediamente solo 5 (cinque) persone su 100 (cento) dopo due anni proseguono nel cammino spirituale proposto dalla Chiesa dell’Unificazione. Le altre 95 (novantacinque) lo abbandonano oppure ne smettono l’adesione o la praticano molto meno assiduamente di prima.

Un dato statistico – si noti – che lo psicologo «anti-sette» Luigi Corvaglia nemmeno si sogna di smentire, per il semplice fatto che non può! Non ha mai svolto uno studio qualificato ed esteso come quello della prof.ssa Barker, né possiede gli strumenti teoretici per poter contraddire la nota sociologa.

L’unica cosa che Corvaglia può solo tentare di fare è screditare l’assunto conclusivo della prof.ssa Barker.

Come lo fa? Dapprima chiama in causa la sua amica sociologa Janja Lalich la quale rimane sostanzialmente ai margini della questione e (riporta Corvaglia) «fa il confronto con gli effetti della propaganda di Billy Graham, un pastore battista di enorme popolarità negli USA e noto per le sue “crociate”»:

«(…) le cifre mostrano che circa dal 2% al 5% “sceglie Cristo”; solo circa la metà di queste rimane attiva un anno dopo, e dallo 0,33% allo 0,75% circa rimane permanentemente convertita. Questi dati rivelano tassi di reclutamento e di ritenzione molto inferiori a quelli presentati dallo studio di Barker sui Moonies.»

In concreto, la Laljc riesce solo a fare una fredda comparazione statistica fra due movimenti minoritari, che tutt’al più può fornire degli indizi da interpretare o – meglio – degli spunti per una ricerca seria. Tutta da compiere, però.

Secondo Luigi Corvaglia, invece questa citazione di tre righe dovrebbe confutare l’intero studio della prof.ssa Barker semplicemente «dimostrando» che, siccome il pastore Graham riscuote grande successo negli USA ma al contempo solo un’infinitesima parte di chi aderisce alle sue prediche lo segue anche successivamente, allora l’opera di convincimento dei Moonie deve per forza avere qualche caratteristica coercitiva siccome invece le loro percentuali di permanenza sono tot volte più elevate. E questa secondo Corvaglia sarebbe scienza?

Evidentemente no, se lui stesso si sente poi costretto a pescare dalla propria esperienza di dirigente SerT («servizio tossicodipendenze», quel ramo dei servizi sociosanitari che somministra metadone e altre sostanze stupefacenti come terapia per chi si droga) e proclama che, secondo uno studio delle Nazioni Unite, «solo il 9% delle persone che consumano sostanze psicotrope illecite finisce per sviluppare una addiction».

Per la cronaca, parlando in italiano, «addiction» si direbbe «dipendenza».

A tale conclusione, che secondo Corvaglia dovrebbe «demolire» definitivamente la ricerca della prof.ssa Barker, si giunge tenendo conto che:


«a livello mondiale circa 243 milioni di persone, cioè il 4,5% della popolazione,
ha usato almeno una sostanza psicotropa illecita; le persone che hanno
sviluppato dipendenza sono invece circa 27 milioni, all’incirca lo 0.5%
della popolazione adulta mondiale.»

Chiunque eserciti una minima dose di buon senso, direbbe: che ci azzecca? Rispondiamo noi: perfettamente nulla.

Corvaglia traspone una questione statistica afferente all’ambito dell’affiliazione religiosa in un ambito riguardante la tossicodipendenza, che si colloca dunque fra il fisiologico e lo psicologico.

Sarebbe come dire che, siccome solo uno «zero virgola» degli acquirenti di autovetture Fiat torna ad acquistare Fiat successivamente, allora l’efficacia dei metodi di vendita dei commerciali Fiat non è nemmeno paragonabile ai discorsi di persuasione dei Moonisti. Dinanzi a un siffatto paragone, ci si sentirebbe decisamente presi per i fondelli.

Inoltre, cosa sta cercando di insinuare? Che la religione o la spiritualità sono da equiparare alla droga e dunque vanno esaminate seguendo gli stessi canoni?

In conclusione: lo psicologo Luigi Corvaglia non solo non dimostra nulla di ciò che speciosamente afferma nel titolo del proprio post e nell'immagine pantagruelica che lo rappresenta, ma finisce addirittura su un piano a dir poco sdrucciolevole e formula un asserto a dir poco discutibile.

Tutto ciò solo per evitare di accettare la nuda e cruda realtà: le teorie del «lavaggio del cervello» accampate ad ogni piè sospinto dai suoi compari «anti-sette» non sono più né attuali né credibili, e nel ventunesimo secolo dovrebbero essere definitivamente abbandonate.

domenica 21 ottobre 2018

Sonia Ghinelli di FAVIS e la propaganda «anti-sette» contro Mario Pianesi

A conferma di quanto si accennava all’inizio dell’ultimo post (relativo a tutt’altro argomento), è evidente in taluni esponenti «anti-sette» lo sforzo continuo, ma fallimentare, di smentire i nostri post. D’altronde, quando non si hanno prove né documenti ma ci si affida a sentito dire, chiacchiere da  bar o da stadio, opinioni e «testimonianze» tendenziose, è alquanto arduo riuscire nell’intento di confutare chi invece riferisce dei fatti.

Così è ad esempio per Sonia Ghinelli di FAVIS, associazione corrispondente italiana per la controversa sigla europea FECRIS nonché referente privilegiata della «polizia religiosa» SAS, la discussa «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno.

Tentando di replicare al nostro post del 14 ottobre scorso riguardo a Mario Pianesi e al caso giudiziario/mediatico del quale è vittima dalla scorsa primavera, Sonia Ghinelli ha pubblicato dapprima questo post in cui riprende (omettendone furbescamente la data) la trasmissione televisiva «Quarto Grado» andata in onda il 25 marzo:


Da notare come le fa il verso Lorita Tinelli del CeSAP, la quale evidentemente dev’essersi sentita pure lei coinvolta dalla nostra denuncia delle atrocità commesse nei confronti di Mario Pianesi e della sua associazione.

Discorso simile per Giovanni Ristuccia, esponente «anti-sette» di Novara amicissimo di Ghinelli e Tinelli, che non manca di riprendere e ripubblicare pedissequamente:


Subito dopo, Sonia Ghinelli ha pubblicato sul blog di FAVIS un post in cui affastella alcuni articoli presi a caso sulla vicenda, dando ovviamente il maggior spazio possibile a quelli denigratori e dedicando le ultime poche righe alla replica dei figli di Mario Pianesi, di cui abbiamo parlato nel nostro pezzo citato prima.

Chissà perché a Sonia Ghinelli viene in mente di riprendere quella replica (peraltro relegandola al fondo pagina del suo post) ben oltre due settimane dopo la pubblicazione dell’articolo di «Cronache Maceratesi» e solo dopo che noi lo abbiamo ripreso e commentato sul nostro blog… già questo è un segnale inequivocabile che in FAVIS vi è piena consapevolezza delle proprie negligenze e che il nostro lavoro li obbliga ad una maggiore trasparenza, per lo meno apparente.


Per non parlare dell’uso del tutto fuorviante del vocabolo «aggiornamenti»: fa a pugni con il video presentato in apertura del post, che è ancora quello di «Quarto Grado» del 25 marzo scorso, cioè quasi sette mesi fa.

Ma non è nemmeno questa tendenziosità il fatto più grave: vi è invece una manipolazione delle informazioni ancora più subdola e maligna.

Analizziamo un poco più attentamente quanto scrive Sonia Ghinelli nel suo post su Facebook:


Peccato che Mario Pianesi non ha mai affermato ciò che Sonia Ghinelli va sostenendo.

Se infatti si visiona il video (e noi l’abbiamo fatto, contrariamente a quanto è facile presumere sia accaduto con le persone che potrebbero aver letto quel post su Facebook), il punto cui certamente si fa riferimento è questo:


«(…) e mi sono scelto una dieta di crema di riso (…), semolino,
cipolle e carote. Ho fatto una dieta tanto per calmare lo stomaco
e mi trovo che ho curato anche il tumore.»

Anzitutto va chiarito che qui Mario Pianesi stava raccontando un’esperienza personale, vissuta sulla propria pelle, a seguito della quale, profondamente perplesso rispetto alle terapie proposte dalla farmacopea tradizionale, aveva deciso di approfondire, con tutta la necessaria scientificità e con metodo (come poi di fatto fece), il vasto campo della nutrizione nelle sue interrelazioni con la medicina. Sta quindi esponendo un background individuale del proprio vissuto per far comprendere la genesi della sua preparazione culturale sul soggetto, non sta fornendo indicazioni a chicchessia né tantomeno prescrivendo diete o delineando i contorni di un piano alimentare da lui studiato!

Come tutti sanno, estrapolare e isolare una frase dal proprio contesto ne snatura completamente il senso. Questo è un caso lampante di tale prassi.

Non solo, una «citazione» manipolata in quel modo potrebbe anche risultare diffamatoria, come si spiega bene in «Dialogica del diritto» del prof. Antonio Punzi:


Ma grazie all’interpretazione tendenziosa e fuorviante degli «anti-sette», ecco cosa diventa quel semplice racconto di un’esperienza di vita:


Sulla base di questo giudizio, costruito su una mezza frase interpretata ad uso e consumo di un «tribunale» mediatico, è stata pronunciata una «sentenza» di condanna ancora prima che si apra un processo in sede giudiziaria.

Questo è l’operato degli «anti-sette»: disinformazione sistematica.

venerdì 19 ottobre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: falliscono i tentativi di insabbiamento

Che il nostro blog sia qualcosa con cui gli «anti-sette» oramai non possono più evitare di fare i conti, è un fatto conclamato. Che gli articoli da noi prodotti e il materiale da noi diffuso non sia mai stato concretamente smentito ma solo puerilmente sbeffeggiato o (peggio) fatto oggetto di minacce e intimidazioni, è solo una naturale conseguenza. Se abbiamo capito per bene quest’antifona e proseguiamo imperterriti a esercitare (noi, rispettosamente) il sacrosanto diritto alla libertà di parola, non ce ne vogliano gli astiosi propagandisti delle associazioni AIVS, FAVIS e CeSAP (corrispondenti della europea FECRIS) né gli ufficiali loro alleati in forza alla «polizia religiosa» SAS, la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno.

Tant’è che – nel solco di tale triste ma disincantata osservazione – abbiamo richiesto al nostro esperto di questioni americane, Epaminonda, un parere sui recenti tentativi da parte del fronte dei militanti «anti-sette» di accampare delle «testimonianze» e delle storie che, secondo costoro, smentirebbero o sminuirebbero la potenza del nostro materiale.

Piuttosto che fornirci una sua opinione in merito, Epaminonda ha fatto ciò che evidentemente gli riesce meglio, ossia analizzare i fatti e reperire documentazione (non chiacchiere più o meno credibili): da tali elementi, non possiamo che desumere piene conferme della bontà del nostro lavoro e dell’accuratezza di quanto qui si è pubblicato in tempi recenti.

Ecco dunque la nostra replica ai goffi tentativi «anti-sette» di rimescolare le carte e di insabbiare la verità.

Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
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Ed ora: i fatti.

martedì 16 ottobre 2018

Propaganda «anti-sette» e istigazione all’odio: il caso di Salvatore D’Apolito

La scorsa settimana sui giornali e le pagine Internet di mezza Italia è stato raccontato il caso di Salvatore D’Apolito, artigiano piastrellista originario della provincia di Foggia ma residente a Villasanta (Monza e Brianza), che il 27 settembre scorso a Negrone di Scanzorosciate (Bergamo) ha tentato di uccidere la moglie, Flora Agazzi, esplodendo diversi colpi di pistola e ferendola gravemente. Questo atto sanguinario, inclusa la sua premeditazione, è stato confessato interamente presso il comando dei Carabinieri di Bergamo una decina di giorni più tardi. D’Apolito si sarebbe dovuto incontrare con la Agazzi in tribunale all’inizio di ottobre per la causa di separazione: i due erano sposati oramai solo formalmente, poiché sul loro matrimonio, durato 28 anni, era di fatto calato il sipario.


Questo video è tratto dall’intervista esclusiva, rilasciata da D’Apolito appena prima di andare a costituirsi in caserma e confessare il suo reato, trasmessa il 10 ottobre scorso da RAI Tre a «Chi l’ha visto?». Il colloquio con il giornalista, svoltosi in strada in presenza dell’avvocato di D’Apolito, si conclude con un pianto di disperazione.


Con tutto il rispetto per il dolore di Salvatore D’Apolito e per le turbe che possono averlo condotto a un gesto tanto sconsiderato, senza cinismo ma piuttosto con spassionata obiettività, si potrebbero interpretare quel pianto apparentemente liberatore come una sorta di «lacrime di coccodrillo» e quella pubblica confessione come una mossa tattica messa in atto per affiancare la sua costituzione volontaria presso le forze dell’ordine, così da rendere credibile il suo presunto pentimento e – con l’occasione – additare terze persone (completamente estranee a una vicenda del tutto privata) come colpevoli dei loro contrasti. Un’accusa/scusa che, peraltro, non reggerebbe neanche al più elementare esame della questione.


Leggendo gli articoli che sono stati via via pubblicati dai media sul caso, quello che fa specie non è tanto che Salvatore D’Apolito cerchi di giustificare il proprio crimine, ma piuttosto il fatto che (scandalosamente) i giornalisti diano spazio alla sua scenata senza evidenziare quanto siano inaccettabili le scuse di un uomo divenuto un criminale e i suoi tentativi di incolpare qualcun altro. In contesti diversi, dove non fosse stata coinvolta una presunta «setta», non avrebbero invece tuonato contro «l’ennesimo femminicidio»? Non avrebbero forse chiamato in cause associazioni come Doppia Difesa, pubblicizzandone l’ipotetica utilità in casi di «violenza di genere» come questo?


Tentare di uccidere la propria consorte è un reato grave, ma se la donna è «colpevole» di aver aderito ad un movimento religioso non tradizionale (astutamente e perfidamente etichettato «setta») allora la si può anche punire attentando alla sua vita, e il criminale viene pure commiserato perché soffriva di turbe mentali e di solitudine «per colpa della setta».

Non si parla, invece, del fatto che la ex moglie pretendeva gli alimenti e che questo era esattamente l’oggetto della causa che si sarebbe celebrata in tribunale qualche giorno dopo il tentato omicidio.

Quando poi il giornalista della RAI fa notare a D'Apolito che il movimento di cui sta parlando non sembra affatto essere una «setta satanica» come lui va sostenendo, la sua risposta è questa:


Una proposizione, quella di Salvatore D’Apolito, che ci ricorda inevitabilmente le chiassose affermazioni degli «anti-sette» di AIVS.

Avendo già documentato in precedenza in maniera più che esauriente il modo in cui gli «anti-sette» fomentano l’odio e generano allarmismo per lo più ingiustificato, dileggiano e offendono i gruppi spirituali, minacciano e intimidiscono chi rende noto il loro discutibile operato, non approfondiremo nel presente post tale tematica, dandola per assodata. D’altronde, è sufficiente leggere un po’ di altri post di questo blog per constatare il fenomeno vagliandone l’abbondante documentazione (è possibile utilizzare la casella di ricerca sulla destra inserendo parole chiave quali «odio», «intolleranza», «stigma», «razzismo», «fake», ecc., oppure scorrere le pagine di riepilogo nel menù in alto, a partire dalla pagina «Notizie e aggiornamenti» che elenca tutti i post).

Assistiamo invece, in questo torbido caso di tentato omicidio, all’esito che quella veemente propaganda potrebbe aver avuto nell’influenzare un uomo sconvolto dalla rottura del suo matrimonio e turbato dall’impellente necessità di trovare un capro espiatorio per le sue angosce. Ecco infatti come lo descrive il suo avvocato:


Che vi possa essere un coinvolgimento diretto di AIVS nella genesi di questa vicenda di cronaca nera sarebbe ovviamente pretta supposizione, tuttavia vi sono alcuni fatti. Il primo, alquanto significativo, è che a nemmeno 48 ore dalla trasmissione di RAI Tre, l’associazione «anti-sette» presieduta da Toni Occhiello (conterraneo di Salvatore D’Apolito) si è affrettata non solo a pubblicare alcuni post per commentare l’accaduto (senza nemmeno una parola per condannare il tentato omicidio di una donna!) e per rafforzare le speciose motivazioni addotte dal reo confesso, ma anche (addirittura) a inviare una lettera alla RAI per ribadire le proprie accuse nei confronti della confessione religiosa presa di mira dal (quasi) assassino della ex moglie.


Per inciso, è davvero singolare la richiesta di soddisfare un loro presunto «diritto di contro informazione»: a quale legge farebbero riferimento? E perché si sentono tanto riguardati dal caso da dover essere interpellati? Forse conoscevano il soggetto?

Non solo: nella lettera alla RAI, il vicepresidente di AIVSFrancesco Brunori (alias «Italo»), fornisce un indizio ancora più cospicuo del fatto che AIVS possa avere direttamente o indirettamente fomentato in Salvatore D’Apolito quell’odio antireligioso, tanto immotivato quanto strumentale, che lo ha poi indotto a premeditare e compiere un tentato omicidio incolpandone infine (pubblicamente!) una comunità religiosa pacifica e ben integrata nella società italiana.

Proviamo a riguardare questo stralcio:


Nel seguente passaggio della lettera di AIVS, Francesco Brunori tenta di dimostrare la presunta veridicità delle parole di Salvatore D’Apolito riprendendo una delle solite argomentazioni addotte da AIVS ai danni della confessione religiosa in questione:


Si noti, fra l’altro, come sia lampante che D’Apolito sta cercando di snocciolare qualcosa che deve aver memorizzato in precedenza, quasi come se avesse preparato quella specifica argomentazione per l’intervista. In tal caso, dove ha reperito quelle «informazioni» tendenziose?

Da qualunque parte la si osservi, la situazione in cui versa Salvatore D’Apolito è evidentemente drammatica. Risulta evidente dal suo comportamento, dal suo aspetto e dai segnali che chiaramente si colgono dal suo discorso. Del resto, lo conferma anche il suo legale:


Se non si fosse reso responsabile di un crimine premeditato, potrebbe muovere a compassione.

Purtroppo, però, l’individuo la cui giustificazione dichiarata («È colpa di quella setta se ho sparato alla mia ex moglie») AIVS sta cercando di sostenere ed avvalorare è palesemente uno squilibrato.

Proprio questo fatto apre un ulteriore, inquietante interrogativo.

A che tipo di individuo tentano di ricorrere gli «anti-sette» per creare i loro «casi» fasulli contro i nuovi movimenti religiosi ingiustamente denominati «setta» o «setta satanica»?

Teniamo presente che già fra gli amministratori della/e pagina/e Facebook di AIVS vi sono persone affette da disturbo mentale conclamato (non perché lo diciamo noi, ma perché lo dichiarano essi stessi pubblicamente):


Ci sarebbe altro da dire in proposito, ma non ci pare nemmeno giusto seguire il cattivo esempio di AIVS nel loro mettere in piazza fatti privati afferenti alla salute dei loro accoliti.

Abbiamo soltanto messo in luce l’immoralità di chi, pur di osteggiare i nuovi movimenti religiosi, sfrutta e strumentalizza vicende tumultuose e genera un’influenza negativa in soggetti già in difficoltà.

E nemmeno si tratta soltanto di immoralità: il profilo potrebbe essere anche ben più grave.

Sarebbe interessante che la magistratura esplorasse a fondo questo aspetto cui ora accenneremo, avendo in corso un’indagine penale.

Dice infatti la legge italiana ben riportata ed esemplificata dal sito «brocardi.it»:

«Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti.»

Per istigazione s’intende: «qualsiasi fatto diretto a suscitare o a rafforzare in altri il proposito criminoso di delinquere o di perpetrare i fatti illeciti indicati».

«La norma è posta a tutela dell'ordine pubblico, in particolare punendo quelle condotte che, pur non determinando la commissione di un reato specifico, provocano nella collettività inquietudine ed allarme sociale.»

Sottolinea infine l’enciclopedia Treccani:

«Una differenza notevole nel trattamento delle varie ipotesi di istigazione si ha nel caso in cui sia stato effettivamente commesso il reato ovvero uno dei reati istigati. Nel caso di pubblica istigazione, che costituisce un reato autonomo, l'istigatore dovrà rispondere anche di concorso nel delitto eventualmente commesso dall'istigato.»

Seguendo questa chiave di lettura, possiamo osservare un ulteriore paradosso: gli «anti-sette» da un lato accusano lo Stato di non tutelare i cittadini perché non interviene prontamente gettando in gattabuia tutti gli appartenenti ai gruppi (religiosi e non) che loro detestano, dall’altro lato si sentono al sicuro perché lo Stato non li ha mai perseguiti per istigazione all'odio, diffamazione, calunnia, ecc. Si potrebbe obiettare che lo Stato ha ben altri impegni da affrontare senza doversi occupare dei falsi allarmi degli «anti-sette» e che la loro istigazione all'odio trova già pieno appagamento grazie al seguito che ha: talvolta tra i giornalisti propensi al gossip e alle fake news, talvolta presso qualche magistrato dallo scarso zelo e dall’abbondante ansia di carriera, talvolta in qualche parlamentare spregiudicato disposto a qualunque cosa pur di racimolare voti. Fortunatamente, si può dire che solo una parte marginale dello Stato abbia disprezzato la Costituzione della Repubblica istituendo una «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno), e che però, in linea di massima, sino ad oggi l’influenza reale esercitata dagli ideologi antireligiosi sia paragonabile a quella di un peto in mezzo a un fortunale.

In definitiva, c’è davvero da augurarsi che i responsabili di AIVS facciano un serio esame di coscienza a proposito di questo caso di tentato omicidio.

domenica 14 ottobre 2018

«Sbatti il mostro in prima pagina»: la propaganda «anti-sette», il caso di Mario Pianesi e l’occultamento di testimoni «scomodi»


Torniamo a parlare del caso di Mario Pianesi (nella foto) e dell’associazione «UPM» (Un Punto Macrobiotico), del quale ci siamo occupati in precedenza (qui, qui, qui e qui) sin dall’esplodere, lo scorso marzo, del linciaggio mediatico nei loro confronti in pieno stile da propaganda «anti-sette» appositamente strutturata per sottoporre i malcapitati a una sorta di giudizio sommario senza contraddittorio né appello e già destinato a concludersi con un’impietosa condanna.

Appena due settimane fa (l’ultima di settembre scorso), i media di mezza Italia hanno diramato la conturbante notizia che Pianesi è sotto indagine non più soltanto per le vicende legate alle diete e all’alimentazione macrobiotica della sua corrente nutrizionale, ma addirittura per la morte della ex moglie deceduta niente meno che diciassette anni fa (settembre 2001).

Riesumare un evento tanto tragico per incolpare proprio chi più ne era stato colpito (perché maggiormente vicino alla defunta) ha tutto l’aspetto di un accanimento, non solo giudiziario ma anche (e soprattutto) mediatico. Sembra quasi parte di un progetto, di una macchinazione.

Somiglia tanto alla storia mirabilmente raccontata nel lontano 1972 da Marco Bellocchio nel suo film capolavoro, interpretato da un formidabile Gian Maria Volontè, di cui nel nostro blog di quando in quando prendiamo a prestito il titolo, «Sbatti il mostro in prima pagina» (qui una recensione):


Senza alcuna velleità complottista e attenendoci alle sole prove a disposizione, l’unico dato di fatto sinora sono le indagini in corso e i capi d’accusa. Per il momento, non vi è nessun colpevole e nessun condannato, a prescindere dalla quantità di conclusioni affrettate, insulti da stadio e giudizi offensivi che si sono letti qua e là in Internet e nei commenti agli articoli diffusi dai mass media.

Sembra tutto? Non lo è.

Vi è infatti un’altra porzione dello scenario che rimane occultata alla vista, a nostro avviso del tutto volutamente.

Ci riferiamo a interviste, testimonianze, proteste e repliche del tutto ignorate da quella stessa stampa che ha pubblicato titoloni spaventevoli e pruriginosi: voci che si sono levate in difesa non tanto di Mario Pianesi, quanto piuttosto della verità dei fatti e della cronologia degli eventi, persone indubbiamente ben informate che hanno tentato di raccontare una versione differente di come si sono svolte le cose.

Ci riferiamo anche ad articoli che sono misteriosamente scomparsi da Internet ed a commenti che sono stati rimossi (censurati); tutto materiale che avrebbe consentito quanto meno di ponderare dei fatti o dei pareri diametralmente opposti alla versione strombazzata dai giornali e poi ripresa ed amplificata dai chiassosi megafoni «anti-sette».

Ma procediamo con ordine e portiamo un primo esempio:



Questo è il titolo di un articolo di «Cronache Maceratesi» che al momento è ancora disponibile sul Web nel quale vengono riportate le dichiarazioni di Marco e Matteo Pianesi, figli dell’indagato leader di UPM, i quali, indignati per la deplorevole strumentalizzazione della vicenda della loro madre defunta, sono intervenuti così:

«La situazione è infamante (…) Si sta parlando di nostra madre, abbiamo vissuto al suo fianco la sua malattia e il suo dolore, giorno dopo giorno. Nessuno più di noi conosce la verità. Sentiamo il bisogno di difenderne la memoria anche se questo vuol dire far riemergere un passato doloroso. Mai avremmo pensato di doverne parlare a 17 anni di distanza»


Nell’articolo, che va letto con attenzione per coglierne tutti gli aspetti salienti in relazione alle infamanti accuse che sono state mosse a Mario Pianesi, vengono esposti alcuni fatti difficilmente confutabili per i quali, fra l’altro, i due giovani e coraggiosi orfani della madre hanno prodotto della documentazione.

L’aver «segregato» la moglie, averle imposto con la coercizione un regime alimentare errato, aver impedito che seguisse cure mediche adeguate, aver fatto riesumare la salma per occultare le prove (dodici anni dopo il decesso… sic!): per ciascuna di queste accuse i due ragazzi hanno portato testimonianze dirette e documenti.

«Nostra madre era una persona libera che ha portato avanti la filosofia che aveva scelto, lei e nostro padre non meritano tutte queste calunnie, prenderemo provvedimenti legali affinché emerga la verità.»

Tornando ora al troncone iniziale dell’inchiesta penale a carico di Mario Pianesi, verso la fine di aprile scorso i sostenitori dell’associazione UPM, nel lodevole tentativo di contrastare l’ondata di fango sui media di tutto il paese, avevano lanciato una petizione per mettere in luce le anomalie emerse sulla stampa. Ben 3.649 (tremilaseicentoquarantanove) persone hanno firmato la petizione, che al momento è ancora possibile leggere online sul sito «change.org».

Fra i diversi elementi sui quali quella petizione accendeva i riflettori, vi era questo:

«La seconda omissione riguarda una coppia che è alla base di queste denunce, Mauro Garbuglia e la moglie Wanda. Non è stato detto che lui è stato sotto processo per alcuni atti commessi quando lavorava per l’associazione Un Punto Macrobiotico. Non ci sembra un particolare di poca importanza, questa coppia è stata espulsa dall'associazione.»

Ecco di nuovo – come già molte (troppe!) volte si è ravvisato in casi di propaganda «anti-sette» – emergere il ruolo degli «ex appartenenti» al gruppo o all’associazione: nel caso di una confessione religiosa si direbbe «apostati», e come si è descritto in un recente post citando lo studio del prof. Bryan Ronald Wilson, le loro dichiarazioni sono normalmente viziate e vanno recepite con molta cautela perché difficilmente attendibili. È vero che nel caso di UPM non si ha a che fare con un gruppo religioso, tuttavia il meccanismo è lo stesso e risente delle medesime sollecitazioni.

Cercando online qualche articolo o qualche riferimento a proposito di quell’inchiesta a carico di Garbuglia e moglie, si rimane però sbalorditi quando si scopre che non vi è più nulla e che il materiale precedentemente online è svanito. A parte la succitata petizione di UPM, l’unica menzione di quei fatti l’abbiamo rinvenuta in questo tweet:


Doveva ad esempio esservi un articolo sul «Corriere Adriatico» che parlava del caso di Mauro Garbuglia e del processo a suo carico per una «catena di Sant’Antonio» illecita ma, come si può notare dall’istantanea che segue , quel materiale non è più accessibile nemmeno in versione «cache»:


Tornando alla petizione online di UPM, anch’essa andrebbe letta per intero perché solleva altri spunti di discussione che meriterebbero attenzione. Fra questi, il dato dei 90.000 (novantamila) iscritti, i progetti di innegabile interesse ed utilità sociale, gli attestati di stima ricevuti dal Presidente della Repubblica e gli altri numerosi riconoscimenti in varie parti del mondo, la dubbia consistenza dell’accusa di aver tentato di lucrare sugli associati, ecc.

Eppure, malgrado gli accusatori di Mario Pianesi si contino sulle dita delle mani mentre i suoi sostenitori sono (come minimo) migliaia, non sembra che a queste voci sia stato dato ascolto. Di certo non li hanno degnati di alcuna attenzione i mass media che tanto brutalmente hanno vociferato ai suoi danni e – temiamo – continueranno a farlo ai prossimi giri di boa dell’inchiesta, a meno che le indagini non diano esiti negativi e accertino l’innocenza degli accusati.

Ai posteri l’ardua sentenza, come scrisse un illustre poeta d’altri tempi.