Come spiega Monica Bruna nell’articolo qui riportato, nei servizi televisivi diffusi dalle due giornaliste ora sotto accusa «si parlava anche del suicidio della studentessa avvenuto due anni prima. La ragazza veniva citata per nome, comparivano anche alcune immagini dell’abitazione».
«La studentessa si era tolta la vita, impiccandosi, il 1° maggio 2011, (…). I genitori avevano detto che la figlia era depressa a causa di una delusione sentimentale», ma i giornalisti influenzati dalla propaganda «anti-sette» avevano invece preferito dare ascolto a qualche diceria, forse pensando che potesse «vendere meglio», e avevano parlato di «sette sataniche» e quant’altro. Una pista che, nel corso delle indagini, era stata «completamente scartata dagli inquirenti».
Occorre sottolineare che siamo solo al primo grado di giudizio e quindi occorrerà vedere quali saranno gli esiti veri e propri del processo; tuttavia, per una volta la macchina della giustizia sembra si muoversi in direzione della correttezza e della legalità mettendo sotto accusa dei produttori di «fake news» complici degli «anti-sette». Volendo essere scrupolosi, anche questi ultimi dovrebbero essere processati come complici delle due giornaliste.
Ma purtroppo il triste caso della studentessa del cuneese la cui reputazione fu infangata (assieme a quella della sua famiglia) persino dopo la sua morte per suicidio senza alcun rispetto per una tale tragedia non è affatto isolato.
Un’altra vicenda di cronaca nera in cui i «megafoni» della propaganda «anti-sette» presero subito a vociare contro delle inesistenti «sette religiose» ebbe luogo poco lontano da Saluzzo, a una settantina di chilometri più a est, nell’astigiano:
Era l’aprile del 2014 e le indagini erano in pieno svolgimento; decine e decine fra articoli e post sui vari blog «di informazione» parlarono di questa povera donna scomparsa e trovata morta in un canale solo sei mesi più tardi. Anche qui, fioccarono le illazioni sul fatto che fosse stata «plagiata» da qualche «seguace di una setta», ecc. Le solite «notizie» ricamate o inventate per risultare allarmanti e spaventose.
Quale fu la verità, accertata in sede giudiziaria?
Condanna che è stata poi confermata recentemente, in maggio scorso.
Ci auguriamo che la giustizia segua il suo corso e faccia piena chiarezza sulle responsabilità delle due giornaliste nel diffondere false notizie di stampo «anti-sette».
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