sabato 29 dicembre 2018

Pseudoscienza «anti-sette», l’inquietante convegno del 9 novembre 2018 presso l’università «LUMSA»: don Aldo Buonaiuto e la «Squadra Anti-Sette» (SAS) promuovono la «libertà di calunnia»?

Il 9 novembre 2018 scorso si è tenuto un convegno presso l’università «LUMSA» (acronimo di «Libera Università Maria Santissima Assunta», presentata come «il secondo ateneo più antico di Roma»), dal titolo «La trappola delle sette», nel quale è stato dato ampio spazio alle teorie «anti-sette» ed ai racconti di presunte vittime di ipotetici «culti abusanti» o simili. L’evento, organizzato dalla Polizia di Stato, è stato promosso da don Aldo Buonaiuto sotto l’egida della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ed ha visto la partecipazione di Elisabetta Mancini e Francesca Romana Capaldo in rappresentanza della SAS (la controversa «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) oltre che di alcuni giornalisti e (verso la fine) anche la comparsata del Vicepremier e Ministro dell’Interno, Matteo Salvini.


Come menziona «In Terris» (la rivista online facente capo a una società commerciale di proprietà dello stesso Buonaiuto) nel suo entusiastico resoconto dell’evento, fra i saluti iniziali si è registrato quello del cardinale Giovanni Angelo Becciu, il quale – alquanto curiosamente – si occupa di tutt’altro, essendo il prefetto della «Congregazione delle cause dei santi» (sic!). Presenza, la sua, tanto più grottesca se si considera che il porporato settantenne, già segretario di stato Vaticano, è esponente di spicco dei Focolarini, movimento cattolico «di frangia» anch’esso sovente preso di mira in quanto «setta» (ovviamente dedita al «plagio» mentale dei suoi «adepti») da quella stessa intransigente, feroce propaganda ideologica contro la spiritualità «alternativa» che il convegno in oggetto ha promosso con tanta enfasi.

Stranezze pontificie a parte, l'evento ha riproposto gli usuali resoconti allarmisti e sensazionalistici di un presunto «allarme sette» che giustificherebbe l’operatività di una apposita unità di Polizia di Stato istituita in seno al Servizio Centrale Operativo (SCO) della Direzione Anticrimine Centrale (DAC), cioè proprio la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno, normalmente apostrofata nel nostro blog come «polizia religiosa». Ne abbiamo parlato proprio l’altra mattina per denunciare l’inquietante strumentalizzazione di un’istituzione della Repubblica da parte di un esiguo gruppo di individui e di associazioni private che ne sfruttano il potere per perseguire i propri fini e per procurarsi benefici economici e di altro genere.

Fra costoro, il primo a trarre vantaggio da un ruolo quanto mai discutibile di consulente ufficiale della Polizia di Stato è senz’altro il prete inquisitore don Aldo Buonaiuto, per l’appunto promotore del convegno organizzato dalla stessa SAS; il suo operato si è reso tristemente famoso sin dai primi anni 2000 per il clamoroso caso degli inesistenti «Angeli di Sodoma», del quale ci siamo occupati tempo addietro.

Evidentemente sentendosi forte di un ruolo di primo piano nell’evento e di un ambiente a lui particolarmente favorevole, in quest’occasione don Buonaiuto ha dato fondo al proprio livore ed alla propria veemenza nei confronti di tutto ciò che fuoriesce da una strettissima osservanza di quanto egli ritiene sia «religione», cioè una versione del cattolicesimo a nostro avviso alquanto estremista e dunque lontana dai propri principi fondanti (abbiamo analizzato tale aspetto in un precedente post). Comunque sia, don Aldo Buonaiuto esclude categoricamente che le credenze proposte e divulgate dai movimenti spirituali e filosofici più esigui ma in rapida diffusione possano essere «religiose», al contrario devono essere ritenute «criminali» e fasulle perché strumentali ad «accalappiare adepti» da sfruttare poi contro la loro volontà per i fini più deprecabili.


Una filippica dalle tinte fosche e cupe, espressa con un’emotività da militante infervorato più che da scientifico consulente, che sicuramente sortisce l'effetto di fare sensazione e di colpire in pieno petto l’ascoltatore. Quanto però alla concretezza dei dati che fornisce, non vi è nulla di più lontano dall’attendibile e dal circostanziato.

Don Aldo Buonaiuto infatti, mentre veicola la propria rabbia per trasmetterla all’uditorio, generalizza in maniera estremamente superficiale e non fornisce dati concreti o descrizioni precise di situazioni specifiche, a cominciare dalla «testimonianza» (rigorosamente anonima e non verificabile, ma dai toni ruvidi e drammatici) con cui esordisce. Non dichiara quali siano le associazioni che egli definisce «culti estremi» o «realtà criminogene», non nomina chi sarebbero i «criminali» che portano «agli inferi, negli abissi, nel vuoto, nel caos, nella disperazione, nella solitudine, nell’isolamento». Eppure ha proprio lì, al suo fianco, degli agenti della Polizia di Stato (con cui interloquisce regolarmente). Perché quindi non opera nella trasparenza informando i cittadini e le istituzioni di chi sarebbero i «cattivi» contro i quali sarebbe giusto nutrire tanto odio?

Il motto così fervidamente esclamato da don Buonaiuto «Le parole hanno un significato!», dovrebbe essere osservato proprio da lui stesso con maggiore obiettività. Perché quando si taccia qualcuno (che nemmeno viene nominato) di essere un «criminale», lo si sta giudicando colpevole ancora prima che possa aver avuto luogo una seria ed attenta disamina della sua condotta.

Vediamo allora quali dati porta il novello Bernardo di Guido che vorrebbe insegnare al vasto pubblico ed alle istituzioni della Repubblica come condurre l’odierna inquisizione:


Don Aldo Buonaiuto sostiene dunque di aver «incontrato e parlato con oltre quattordicimila persone dal 2002 a oggi» tramite il suo «numero verde anti sette» e di averne incontrate «quest’anno, a oggi, 1.403» (millequattrocentotré); non esemplifica però in alcun modo di che genere di «incontri» si sia trattato, di cosa si sia «parlato» in quelle telefonate e in quei «colloqui». Non fornisce alcun criterio di valutazione, alcun metro di misura. Solo cifre, sulla cui autenticità è peraltro lecito dubitare, anche fortemente.

Poco prima (1h40m00s), il sacerdote afferma anche che fra questi millequattrocentotré vi sono «persone invisibili» e «persone che si nascondono», ma tutti loro sarebbero «vittime delle sette» di cui lo Stato non si sta occupando. A maggior ragione, se ciò fosse vero, sarebbe logico richiedere una certa precisione nel fornire i relativi dati.

Esaminando queste cifre, si dovrebbe dare atto a don Aldo Buonaiuto di aver «incontrato e parlato», in media, con due/tre persone ogni santo giorno di ogni singolo anno dal 2002 ad oggi sull’intero territorio italiano. Ciò senza alcuna distinzione fra un incontro, una semplice conversazione telefonica degna di nota, un semplice scambio di saluti, una dissertazione sulla cosmogonia di qualche movimento, ecc. Ben si comprende dunque l’approssimazione cui una tale cifra costringe e la conseguente impossibilità di effettuare dei rilievi statistici attendibili dell’ipotetico fenomeno.

Don Buonaiuto dichiara inoltre di aver «identificato ottomila gruppi più o meno organizzati»:


Si noti lo sguardo volutamente penetrante cui fa seguito tale altisonante asserzione.

Ne abbiamo già parlato nel precedente post e non vogliamo ripeterci: è una cifra che non quadra e che, fra l’altro, confligge clamorosamente con ciò che dichiarano gli altri «anti-sette», inclusi coloro con i quali il prete inquisitore condivide i salotti dei talk-show:


Quindi i «culti estremi» e le «realtà criminogene» sono cinquecento o sono ottomila? C’è una bella differenza, la proporzione è di uno a sedici!

Non stupisce una tale imprecisione ed approssimazione, d’altronde don Buonaiuto già in passato aveva ammesso di non essere assolutamente in grado di quantificare con esattezza il presunto fenomeno:


Eppure era stato previsto sin dal novembre del 2006 che gli «anti-sette» (FAVIS e CeSAP con don Buonaiuto in prima fila) coinvolti nel «monitoraggio» delle presunte «sette» dovessero comunicare alla DAC i «contenuti delle segnalazioni ricevute»; anzi, le associazioni stesse, in teoria, si erano «offerte di trasmetterle». Così si legge nella circolare De Gennaro che istituì  ufficialmente la SAS:


A fomentare l’allarmismo «anti-sette» con i resoconti dai toni più forti in termini di scandalo e scalpore, come di consueto, è la categoria dei giornalisti. Così è stato anche in questo caso, con la presentazione dei casi di «vittime» che ovviamente colpiscono per la loro disperazione e per la drammaticità degli abusi ipoteticamente subiti.

È a questo punto che la libertà di stampa (sacrosanta in quanto sancita dalla Costituzione della Repubblica, regolamentata dall’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963 come «diritto insopprimibile») in teoria dovrebbe fondarsi su di un «obbligo inderogabile», da parte dei giornalisti, verso «il rispetto della verità sostanziale dei fatti», ma in pratica finisce per dare libero sfogo alle antipatie personali e alle vendette private.

Come nel caso di Piergiorgio Giacovazzo, giornalista che ha moderato il convegno della LUMSA: costui presenta ed acclama la «testimonianza» di una delle presunte «vittime» di un’associazione che non ha nulla a che vedere con l’ambito religioso o spirituale ma viene catalogata «setta» e identificata chiaramente con la sua denominazione completa, senza che però le venga data nessuna possibilità di replica (in un consesso pubblico!) alle accuse gravissime che le vengono mosse. Non pago di tale lampante parzialità, Giacovazzo arriva addirittura a definire i responsabili dell’associazione dei «criminali»:


Ci domandiamo se non sia un comportamento calunnioso, oltre che contraddittorio nei termini: il giornalista Giacovazzo dice che gli accusati sono sotto indagine per vari reati, e al termine della sua arringa li «giudica» già colpevoli definendoli senza troppi complimenti dei «criminali». Definirla una condotta scorretta ci pare a dir poco eufemistico.

Piergiorgio Giacovazzo dà spazio anche a Maurizio Alessandrini, presidente della controversa associazione FAVIS, pensando di fornire ulteriori «credenziali» alla teoria del convegno secondo cui esisterebbe un «allarme sette». E così finisce per fare un altro tonfo, se si considera che la figura di questo ex ragioniere in pensione è stata screditata non da qualche suo oppositore o detrattore, ma proprio da suo figlio che rappresenterebbe la ragione dell’esistenza stessa di FAVIS. Per non parlare dei molti altri punti nell’operato di questa associazione che hanno destato serie perplessità e hanno posto gravi interrogativi tuttora irrisolti.


Oltretutto, se si dovesse applicare lo stesso criterio di valutazione (quello delle «testimonianze degli ex») all’ateneo che ha ospitato il convegno, bisognerebbe dare spazio agli utenti di Internet che ne parlano malissimo e descrivono la LUMSA come un istituto particolarmente interessato ad esaminare il reddito dei propri studenti per assicurarsi di poter incassare una retta alquanto salata, e molto meno attenta a fornire loro un titolo di studio che possa avere una qualche utilità effettiva. Fra l’altro, questi utenti scontenti sono numerosi, ben di più rispetto alle tre o quattro presunte «vittime» che hanno raccontato le loro storie sensazionali durante il convegno.

Quando poi sul palco (2,01,00) sale un rappresentante delle istituzioni come Vittorio Rizzi, niente meno che il prefetto a capo della Direzione Anticrimine Centrale del Ministero dell’Interno, ci si attenderebbe un differente approccio alla materia, sicuramente improntato meno allo scandalismo e più alla scientificità ed all’equilibrio. Pochi minuti sono sufficienti per rimanere completamente disillusi e trovarsi di fronte a delle fole di proporzioni ciclopiche, a cominciare dall’attribuzione alla «mitologia classica» dei misteri eleusini che invece furono fatti inequivocabilmente storici afferenti alla ritualità iniziatica della civiltà greca sin dal VII-VI secolo a.C. e fino al IV d.C., peraltro in parte successivamente trasferiti (per lo meno sul piano semantico) alla stessa liturgia cristiana (basti ricordare il «mistero della fede»).

Da questo svarione culturale, si passa poco dopo alla riproposizione di una delle classiche «bufale» smerciate dagli «anti-sette» sin dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso:


Come abbiamo ampiamente documentato nel nostro blog (e come, del resto, è stato rivelato da numerosi e importanti studi e inchieste giornalistiche succedutisi negli anni ai quali noi abbiamo solamente attinto), quella del «suicidio di massa» è una falsità ed è stata a più riprese smentita.

Addirittura, Rizzi colloca il tragico episodio di Jonestown nella Guyana francese, cioè a ben oltre 700 km da dove avvenne realmente (nella Guyana inglese). Su scala ridotta, sarebbe come confondere Milano con Milano Marittima. Segni evidenti che la materia non è stata approfondita, ma lo sguardo si è fermato alla superficie, dove abbonda la propaganda e le mistificazioni non si contano.

Non è tutto, perché fra le ormai ben note menzogne «anti-sette» c’è spazio per la strage di Waco e anche qui Rizzi si fa portavoce di un falso storico clamoroso, dicendo che «durante una diretta televisiva gli adepti di questa setta si diedero fuoco».


La verità, come ormai sa bene chi segue il nostro blog da qualche tempo, è che quella di Waco fu una vergognosa «strage di stato» messa in atto da un ente del governo americano fuorviato proprio da un esponente «anti-sette».

Una cantonata imbarazzante, ancora più grave se si considera che Rizzi sostiene di aver osservato quello sciagurato evento da vicino «nelle relazioni con i colleghi della polizia americana».

In chiusura del convegno si è collocato l’intervento che com’è ovvio ha maggiormente attirato i giornalisti, quello del ministro Matteo Salvini, il quale verso la fine (2h24m08s) afferma apertamente di aver conosciuto di persona don Aldo Buonaiuto e di aver apprezzato l’influenza di lui sulla campagna elettorale che ha portato alla sua vittoria:


Un sodalizio: quello fra la politica, un prete (don Aldo Buonaiuto), i giornalisti (come Piergiorgio Giacovazzo e gli altri che più si accaniscono contro i nuovi movimenti religiosi) e dei poliziotti (la SAS) che richiama in modo davvero inquietante un’istituzione del «ventennio» fascista come il «Ministero della Cultura Popolare» o MinCulPop.

Ci auguriamo di essere in errore.

giovedì 27 dicembre 2018

Pseudoscienza «anti-sette»: propaganda sul «reato di plagio» e cifre contraddittorie

Da alcuni mesi, con un’intensità asfissiante, ha ripreso la roboante propaganda mediatica contro la spiritualità «alternativa», astutamente e subdolamente ridefinita con la solita terminologia allarmistica («sette», «culti distruttivi», «gruppi abusanti»). Tale campagna sta proseguendo dall’inizio di novembre con la pubblicità martellante di «Nella Setta», il libro dei due giornalisti «anti-sette» Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni sostenuto a spada tratta dalle (solite) CeSAP, FAVIS, AIVS, le controverse associazioni impegnate nella loro guerra personale ai nuovi movimenti religiosi e consulenti (assieme a don Aldo Buonaiuto) della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) oltre che referenti italiane della discussa organizzazione europea FECRIS.

Lo scopo di costoro, a parte l’ovvio ritorno economico dalle vendite del libro, è far ripristinare l’incostituzionale «reato di plagio» (di epoca fascista) alias «manipolazione mentale», con l’evidente obiettivo di attirare business alle attività private degli psicologi coinvolti plasmando a proprio uso e consumo la categoria della «vittima di plagio mentale» così da poter poi essere «titolati» a somministrare trattamenti e terapie, a fornire consulenze, a gestire centri di ascolto, ecc., il tutto possibilmente finanziato dallo Stato. Un giro d’affari che è già consistente oggigiorno e potrebbe diventare alquanto considerevole in futuro a patto che, data la lampante pochezza delle basi su cui si fonda, venga reso «credibile» agli occhi di politici e amministratori della cosa pubblica.

In due paragrafi abbiamo così condensato una spiegazione chiara e difficilmente confutabile della vera ragione alla base della propaganda mediatica contro la spiritualità «alternativa». Forse qualcuno la criticherà quale sintesi un po’ troppo semplicistica, date la quantità e la qualità dei fattori in gioco nell’equazione. Eppure, vi è una marea di elementi a supporto di tale ragionamento (la gran parte dei quali abbiamo sottolineato e raccontato nel nostro blog a mano a mano che li raccoglievamo); tant’è che più si osserva tale scenario, più se ne colgono conferme.

Insomma, la nostra più che un’ipotesi è una semplice rilevazione e lettura dei fatti; prova ne è che gli «anti-sette», quando vengono sollecitati a fornire delle spiegazioni o a rispondere a chi li critica, raramente entrano nel merito e (se mai lo fanno) non portano argomentazioni concrete preferendo spostare altrove la discussione; ben più frequentemente si lanciano in invettive, attacchi ad hominem ed intimidazioni, comportandosi esattamente secondo le modalità di un «settarismo» che essi attribuiscono proprio ai movimenti di cui sostengono di «denunciare gli abusi».

La tanto strombazzata «emergenza sette» altro non è se non un allarmismo voluto e organizzato (di fatto al limite del «procurato allarme»), condotto sempre dallo stesso gruppo di individui, che sta fuorviando un’istituzione della Repubblica (la «Squadra Anti-Sette») ponendola ai margini della Costituzione. Ciò produce profitto per gli esponenti «anti-sette» in termini di clienti per le loro attività professionali, di visibilità mediatica e reputazione, di compensi per partecipare a trasmissioni in qualità di presunti «esperti», di conoscenze altolocate, ecc.

Vantaggi e guadagni che vengono realizzati grazie a mistificazioni e menzogne, oltre che su veri e propri abusi perpetrati ai danni di individui e movimenti.

Osservando con attenzione le ultime uscite degli «anti-sette» sui media, in particolare per la réclame di «Nella Setta», si osservano le clamorose incongruenze delle grottesche teorie sulla base delle quali costoro dovrebbero ricevere finanziamenti pubblici e credito da parte dello Stato.

Come abbiamo detto poc’anzi e come abbiamo relazionato in diversi post precedenti, l’operato degli «anti-sette» non ha solo condotto in errore più di un magistrato finendo per mettere ingiustamente alla gogna un gran numero di cittadini con processi farsa e assoluzioni giunte troppo tardi (quando ormai i malcapitati erano stati massacrati dalla macchina del fango); le loro campagne mediatiche sono state e sono tutt’oggi fuorvianti per la Polizia di Stato.

Sentiamo ad esempio cosa si lascia sfuggire Alfredo Fabbrocini, un agente della «Squadra Anti-Sette» che ultimamente è apparso più volte in TV al fianco di Flavia Piccinni e di don Aldo Buonaiuto, qui a «Sky TG 24» il 13 dicembre scorso:


In un passaggio al minuto 10’26”, il poliziotto Fabbrocini afferma chiaramente che «le attività investigative non sono tantissime sull’argomento»! Questo è già un indizio quanto mai evidente che non esiste alcun «allarme sette» e che è necessario un continuo battere di grancassa sull’argomento perché qualcuno possa cominciare a crederci.

Ci si aspetterebbero delle statistiche precise, comprovate e documentate, visto che si sta cercando di influenzare l'esistenza di movimenti religiosi e di leader spirituali che raccolgono centinaia di migliaia di fedeli in tutto il paese. Al contrario, senza alcun rispetto per le credenze di quei cittadini, gli «anti-sette» e giornalisti compiacenti sparano cifre a mo’ di «Lascia o raddoppia?», come in questo spezzone della trasmissione «Siamo Noi» andata in onda su TV2000 il 9 novembre scorso proprio per favorire il lancio sul mercato del libro «Nella Setta»:


Restiamo allibiti di fronte a quel «(…) quindi facciamo almeno per due, diciamo… a occhio» di Massimiliano Niccoli: ma sì, che importa se queste cifre poi vengono adoperate per mandare al rogo qualche nostro concittadino? Raddoppiamo, e «allegria, amici ascoltatori»!

Stendiamo un pietoso velo sul pressappochismo e la becera superficialità di certi fanfaroni, e cogliamo il fatto ovvio e inconfutabile dietro alla cortina fumogena: il (presunto) dato statistico è ancora quello delle «cinquecento sette», una cifra completamente autoreferenziale messa in dubbio persino da chi l’ha propinata ripetutamente sui media nazionali di mezza Italia fino a quando non è diventata il dato «di riferimento».


Di questa clamorosa ammissione di incompetenza abbiamo parlato in uno dei post dedicati allo strabiliante webinar tenuto dalla psicologa «anti-sette» Lorita Tinelli, sottolineandone il paradosso.

In quello stralcio, la Tinelli dice chiaramente che le statistiche accampate dal suo «centro studi» sono basate sulle «richieste di aiuto» che essi asseriscono di ricevere (di nuovo, totale autoreferenzialità).

Teniamo conto che don Aldo Buonaiuto, in ottobre 2016, aveva affermato di non essere in grado di quantificare il fenomeno:


Eppure lo stesso don Buonaiuto, nell’inquietante convegno tenutosi a Roma il 9 novembre scorso (preludio alla campagna pubblicitaria di «Nella Setta») ha fornito dei numeri completamente discrepanti: (testuali parole, dal minuto 1h50m55s della registrazione) ha detto  di aver «incontrato e parlato con oltre quattordicimila persone dal 2002 a oggi» tramite il suo «numero verde anti sette» e di averne «incontrate solo quest’anno 1.403»(millequattrocentotré). Cifre, queste, confermate più di recente nella succitata trasmissione di TV2000 al fianco di Flavia Piccinni. Naturalmente, Buonaiuto non fornisce alcun dettaglio per chiarire di che genere di «incontri» si tratti e di cosa abbia «sentito» nelle telefonate che li avevano preceduti. Quando lo aveva fatto (undici anni or sono), era risultato completamente inattendibile.

Ma restiamo ancora più sbalorditi di fronte alla cifra dichiarata dal prete inquisitore, che in quel convegno sostiene addirittura di essere «arrivato ad individuare circa 8 mila gruppi in Italia, più o meno organizzati».

E di che gruppi stiamo parlando? Quale genere di associazionismo (diritto costituzionalmente garantito) gli «anti-sette» stanno chiedendo alla Polizia di Stato di prendere di mira con tale «stigma»? Sentiamolo direttamente dalle parole del vicequestore aggiunto Alfredo Fabbrocini:


Dunque, stando alla definizione di questo rappresentante della «Squadra Anti-Sette», si deve considerare «setta» una «organizzazione che si [ri]unisce per motivi che possono essere religiosi filosofici». Il che, probabilmente, congloba diversi milioni di cittadini devoti di questa o quella religione o corrente spirituale.

Siamo così di fronte a una drammatica, inquietante deriva liberticida della Repubblica, propiziata da qualche piccolo gruppo di militanti e fomentata dai racconti sensazionalistici di alcuni apostati «ben» selezionati: gli stessi che qua e là hanno espressamente parlato di «guerra alle sette» e comunque la conducono di fatto, gli stessi che fanno l’occhiolino alle politiche repressive violente attualmente in atto in Cina, gli stessi che diffondono intolleranza e «fake news» dai loro profili Facebook e dai loro siti Internet.

Cui prodest?

La risposta la forniscono loro stessi, gli «anti-sette»: i giornalisti Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni (suo stretto collaboratore nonché fidanzato, sebbene essi curiosamente non rivelino mai tale «segreto di Pulcinella») cavalcano il fenomeno commerciale del loro libro così come aveva fatto esattamente un anno prima la soubrette Michelle Hunziker, dei profittatori come Mauro Garbuglia si fanno réclame e aprono nuove attività, mentre uno psicologo quale Luigi Corvaglia porta acqua al proprio mulino e si promuove come consulente o analista per le presunte «vittime»:



Pertanto, quando sosteniamo che si tratta di un business artefatto e costruito alle spalle di persone innocenti sfruttando la credulità popolare tendenzialmente sospettosa nei confronti del «diverso», lo facciamo perché sono gli stessi «anti-sette» a fornirci elementi e prove cogenti di ciò.

A tal punto si spinge la sete di denaro o di potere di costoro?

giovedì 20 dicembre 2018

Giornalisti e mass media «anti-sette»: la controversa trasmissione «Mangiafuoco sono io»

di Mario Casini

L’ultima settimana di novembre scorso, nell’ambito della trasmissione «Mangiafuoco sono io», la principale radio di stato Radio RAI Uno ha mandato in onda un servizio in quattro puntate dedicata alla strage del Tempio del Popolo a Jonestown (Guyana), di cui era appena ricorso il quarantesimo anniversario.

Di quell’eccidio abbiamo diffusamente parlato nel nostro blog con una serie di contributi che finalmente ne descrivono la verità storica, scritti dal nostro esperto di questioni internazionali, Epaminonda. Ne riporto qui un elenco, foss’anche soltanto per rendere l’idea della quantità e qualità degli approfondimenti che si potrebbero svolgere sul tema, se si volesse indagarlo in maniera realmente obiettiva.

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)
- [11 Luglio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (torazina letale)
- [2 Agosto 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» e il falso «suicidio di massa»
- [19 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: falliscono i tentativi di insabbiamento
- [24 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: quarant’anni di menzogne «anti-sette»
- [30 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: business della morte, documentario di Di Caprio
- [14 Novembre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: Jonestown strumentalizzata per scopi politici
- [22 Novembre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: Leo Ryan contro la CIA e l’MK-Ultra, un atroce esperimento di controllo mentale a Jonestown
- [10 Dicembre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: il ruolo della CIA e i legami con Jim Jones

Sebbene sin dalle battute iniziali la giornalista che lo ha presentato abbia già da subito fatto capire che avrebbe ripresentato la versione (ormai ampiamente screditata) del «suicidio di massa» (addirittura «il più grande della storia occidentale»), ho voluto ascoltare con attenzione e per intero il servizio di «Mangiafuoco sono io». In fin dei conti, a margine della stessa presentazione, un ambiguo «ma forse non è andata proprio così» mi aveva lasciato ben sperare. E invece…

Invece i giornalisti della RAI, mentre hanno dato mostra di aver tentato di documentarsi almeno un po', alla fine ci hanno propinato le solite «testimonianze» scarsamente attendibili, le solite interpretazioni degli stralci di registrazioni trapelate da Jonestown il giorno del massacro, e i soliti «ricami» di soggetti discussi e squalificati come gli esponenti «anti-sette» italiani.

Tutto sommato, un lavoro decisamente superficiale e per giunta subdolamente ammantato di una veste accademica, dato che fra un commento opinabile e l’altro degli annunciatori radiofonici (su tutti, sicuramente Claudio Vigolo), fra un’offesa e l’altra alle religioni cristiane di ceppo americano (come i Pentecostali), fra un intermezzo musicale e l’altro, viene intervistato anche il prof. Massimo Introvigne, il quale non afferma in realtà nulla che supporti la loro versione, però viene incasellato fra un contenuto e l’altro in modo tale che dia l’impressione di aver dato loro un imprimatur.

Una tattica astuta, questa di Radio RAI Uno, che però non inganna l’ascoltatore attento.

L’unico credito che va dato alla trasmissione è di aver descritto abbastanza bene lo scenario di Jonestown nel periodo precedente alla strage, e alcune delle premesse biografiche circa la figura di Jim Jones.

Tuttavia, i giornalisti RAI non trattano affatto debitamente i legami di Jim Jones con i servizi segreti e il coinvolgimento della CIA nella fondazione della comunità del Tempio del Popolo.

Allo stesso modo, quando parlano di Leo Ryan (un brillante politico statunitense che tentò di accendere i riflettori su Jonestown ma fu assassinato prima che potesse fare ritorno in patria), non viene affatto spiegato qual era stato il suo principale campo di intervento: stava proprio cercando di riformare i servizi segreti americani, CIA e FBI in prima fila!

Addirittura Ryan viene quasi sbeffeggiato (una becera mancanza di rispetto per un defunto illustre), il che mostra quanto meno lo scarso approfondimento di cui è stata oggetto la sua figura.

Nel complesso, il servizio realizzato da «Mangiafuoco sono io» risulta veramente frammentario e disorganico, incoerente, deludente e male documentato. Si vede che è mancata la materia grigia, oppure (sospetto del tutto mio personale) queste puntate (ben quattro! senza che venissero nemmeno menzionati certi aspetti fondamentali per comprendere la tragica vicenda del Tempio del Popolo), oltre ad aver rimpolpato un palinsesto, sono state del tutto funzionali a una certa propaganda che da tempo viene condotta proprio dai microfoni e dalle telecamere della RAI.

D’altro canto, persino nell’ambiente giornalistico la trasmissione «Mangiafuoco sono io» mostra di essere controversa a causa di una certa ambiguità nella sua direzione redazionale.

Ecco qui un post su Facebook scritto da uno degli ideatori di questo format; ne riporto solo l’esordio ma ne ho incorporato il link perché lo si possa leggere per intero. Rende bene l’idea della mancanza di approfondimento e della superficialità cui gli autori vengono costretti dalla caporedattrice, per «esigenze» tutte da spiegare.


Si intuisce piuttosto chiaramente che la «caporedattrice» di cui parla il giornalista Dazieri nel post sia Angela Mariella: il suo comportamento, come viene descritto, è decisamente «settario» se ci affidiamo a un buon vocabolario per comprendere il significato della parola. Ma nemmeno questa è una novità.

Più grave ancora è la negligenza rispetto al tempo ed al lavoro che richiederebbe un adeguato approfondimento contenutistico:


Un panorama inquietante, per un media che in teoria dovrebbe rendere un «servizio pubblico».

Forse qualcuno, anche in questo caso che ho qui denunciato, ha voluto imporre una versione di regime? Caso già visto (solo per citare un esempio), con «Presa Diretta» su RAI Tre.

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque...

sabato 15 dicembre 2018

Reazioni degli «anti-sette» alla verità: gli sfoghi di Lorita Tinelli e le eterne contraddizioni

di Mario Casini

In uno degli ultimi post di questo blog, è stata svelata la genesi dell’estremismo «anti-sette» espresso a ogni piè sospinto da Lorita Tinelli nei suoi frequenti interventi pubblici sui mass media in qualità di consulente della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) ed esponente del CeSAP, sigla italiana corrispondente della controversa associazione europea FECRIS.

Mi aspettavo una delle sue (consuete) reazioni scomposte, e infatti non ho dovuto attendere per rilevare un suo (tipico) commento piccato e inviperito con offese vaghe e accuse nei miei riguardi né fondate né circostanziate (che lasciano il tempo che trovano). È qualcosa a cui ho fatto l’abitudine, essendo oramai oltre un anno da che amministro questo blog e ne curo buona parte del materiale.

Ma – una volta di più – lo sbotto della psicologa Lorita Tinelli fornisce indicazioni utili a riesaminare con genuinità e senso critico quanto si è qui pubblicato a proposito dei prodromi che hanno condotto alla sua militanza «anti-sette».

La Tinelli addirittura arriva a fare quest’affermazione:

Mi hai mai visto ingaggiare, lecitamente o meno, una guerra ad personam?

Fosse per me, risponderei immediatamente e senza alcun dubbio: sì, eccome!

Io, però, potrei essere considerato «di parte» per via delle intimidazioni e delle invettive che ho ricevuto da Lorita Tinelli.

In tal caso, basterebbe provare a porre la stessa domanda ad altri studiosi e professionisti che a turno sono finiti nel mirino della psicologa pugliese. Lasciatemi fare nomi e cognomi, non certo perché si debbano (indebitamente) coinvolgere queste persone nel tormentato panorama delle ossessioni di qualcuno, ma perché a una domanda tanto diretta e – fatemelo dire – clamorosa non si può non dare risposta. Basti citare studiose come la dott.ssa Silvana Radoani, la prof.ssa Raffaella Di Marzio, la dott.ssa Simonetta Po (che fra l’altro proprio nei giorni scorsi è tornata sull’argomento), piuttosto che un ricercatore come il dott. Vito Carlo Moccia, o anche un giornalista come il dott. Camillo Maffia, e persino una esponente «anti-sette» come la (criminologa?) Patrizia Santovecchi. E molto probabilmente sto tralasciando qualche altro caso simile.

Tant’è che qui in questo commento Lorita Tinelli rammenta proprio le sue persecuzioni ai danni delle sue tanto odiate (presunte) concorrenti:


E qui dovrei aprire un’ulteriore parentesi, sulla seconda frase riguardo al «profilo anonimo» a cui sarebbe (a suo dire) sbagliato «dare un like». A me questa pare un’evidente manifestazione di ipocrisia: non è proprio Lorita Tinelli a mettere «Mi piace» ogni giorno e in continuazione al profilo (anonimo e controverso) della sua collega «anti-sette» Sonia Ghinelli di FAVIS, alias «Ethan Garbo Saint Germain»? Provasse a negare questa lampante, inconfutabile ovvietà!

Ossia: quando il profilo anonimo (e quanto mai discutibile) è di una sua amica, allora è «buono» e dice cose «giuste»; quando invece il profilo (cioè il mio) non è nemmeno anonimo (perché c’è la mia foto in bella vista) ma – caso mai – fa capo a un’identità personale sulla cui autenticità sono stati sollevati dubbi (ammessi ma non concessi), allora ciò che quell’utente scrive va considerato una «vigliaccheria»! Semplicemente assurdo, oltre che offensivo.

Ma vado oltre, non è nemmeno questo l’aspetto che desidero sottolineare nelle disarmanti reazioni di Lorita Tinelli.

Ricordiamoci che sto parlando di una psicologa (lo si noti: non di una figura accademica esperta nelle diverse forme di religiosità e spiritualità!) la quale – di fatto – esprime o diffonde in continuazione pareri profondamente ostili nei confronti di gruppi religiosi non tradizionali, e che però (parole sue!) «non si è mai posta nella condizione di giudizio» e che sin «dall’inizio del suo percorso» ha «capito che le problematiche vanno affrontate non col giudizio ma con l'ascolto».

Una psicologa che fa di tutto per porre la propria persona sul palcoscenico mediatico e sotto i riflettori, e che lavora costantemente per coltivare una propria popolarità, utile per vari scopi.

Eppure, sebbene si tratti indubitabilmente di un personaggio pubblico, per quanto mi riguarda e per quanto concerne le attività del nostro blog, non è di alcun interesse la vita privata di Lorita Tinelli. L’unica rilevanza dei suoi trascorsi sta nel fatto che lei per prima ha adombrato le vere ragioni del suo «interessamento» rispetto ai nuovi movimenti religiosi, o rispetto a quello che ella definisce il fenomeno delle «sette religiose» o dei «culti distruttivi», presentandosi come ricercatrice di un singolare «centro studi» e proponendosi come imparziale ed obiettiva, quando di fatto sta portando avanti da venticinque anni una sorta di vendetta personale.



Un vezzo, questo, che in varie forme accomuna parecchi «anti-sette»: Lorita Tinelli ha avviato il suo business di «esperta» sulle «sette» per problemi sentimentali (ma guai a dirlo con chiarezza e sincerità!); Maurizio Alessandrini afferma che suo figlio è stato «rapito» e «mentalmente manipolato» da una «santona» mentre in realtà è fuggito da un ménage familiare «degno» di un personaggio come il Marchese di Sade; e Toni Occhiello sostiene di essere stato danneggiato dal gruppo religioso di cui faceva parte, mentre in realtà chi lo ha conosciuto bene ne parla come se fosse un danno ambulante e descrive una vita dissoluta (di cui qualche traccia affiora qua e là).

In poche parole, questi signori si arrogano il diritto di invadere le vite private e libertà altrui (in qualche caso addirittura incitando a violare la privacy), ma non appena qualcuno fa notare che non la stanno raccontando giusta e che stanno mettendo a repentaglio la reputazione altrui pubblicamente e senza alcun ritegno, che fanno? Berciano, strepitano e schiamazzano in coro!

Inoltre tentano in maniera preoccupante (come già ho personalmente denunciato in precedenza) di riqualificare la terminologia: quando uno di loro diffonde con asfissiante ripetitività gossip, articoli scandalistici o testimonianze non verificate né verificabili si dovrebbe parlare di «diritto di cronaca», quando invece un cittadino come me o qualche studioso quotato fa notare (e documenta, con dovizia di particolari) le incongruenze presenti nelle loro stesse dichiarazioni, allora si deve parlare di «stalking». Un ragionamento tanto lineare che somiglia a una pentola di spaghetti appena buttati nel colapasta.

Per usare le parole della stessa Lorita Tinelli, a quanto pare gli «anti-sette» sono persone che «ragionano in termini settari, del tipo con noi o contro».


Usciranno mai costoro da questa eterna, lapalissiana contraddittorietà?

lunedì 10 dicembre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: il ruolo della CIA e i legami con Jim Jones

Certi giornalisti allineati alla propaganda «anti-sette» (come quelli della trasmissione «Mangiafuoco sono io» che nei giorni scorsi hanno riproposto la versione mediatica «di regime» dell’eccidio del «Tempio del Popolo» diffusa sin dai primi giorni dopo quei tragici fatti) hanno buon gioco a bollare come «complottisti» le prove e i documenti emersi nel corso degli anni successivi.

Troppa onestà intellettuale servirebbe loro per esaminare quel materiale e rendersi conto di aver abboccato a una serie di mistificazioni e di menzogne mediatiche. Bugie certamente «utili» a mantenere quella che oramai è divenuta una credenza popolare (la falsa spiegazione del «suicidio di massa») ma pur sempre bugie.

Ma non dilunghiamoci oltre e lasciamo spazio al contributo di Epaminonda, ai fatti e a una ricostruzione storica equanime.

Al lettore il giudizio.

Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown
:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)
- [11 Luglio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (torazina letale)
- [2 Agosto 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» e il falso «suicidio di massa»
- [19 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: falliscono i tentativi di insabbiamento
- [24 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: quarant’anni di menzogne «anti-sette»
- [30 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: business della morte, documentario di Di Caprio
- [14 Novembre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: Jonestown strumentalizzata per scopi politici
- [22 Novembre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: Leo Ryan contro la CIA e l’MK-Ultra, un atroce esperimento di controllo mentale a Jonestown



sabato 8 dicembre 2018

Paradossi «anti-sette», Maurizio Alessandrini: un abuso della professione di psicologo?

Una settimana fa il sito Internet «Ananke News» (che sembra a poco a poco divenire l’organo di stampa ufficiale della controversa associazione «anti-sette» FAVIS), ha pubblicato un articolo scritto «per la redazione» da Maurizio Alessandrini, dal significativo titolo, esposto tutto in maiuscolo, «Sul condizionamento psicologico e fisico per fini non etici: santoni, guru e culti distruttivi della personalità».

Non si dimentichi che FAVIS è, assieme al CeSAP, sigla italiana referente della discussa organizzazione europea FECRIS, nonché consulente della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno).


L’articolo di Maurizio Alessandrini si propone infatti di illustrare «un breve elenco, non esaustivo, delle situazioni che producono, anche involontariamente, dei condizionamenti moralmente ammessi e socialmente accettati e condivisi» nell’ambito dei «nostri rapporti sociali» (da notare che nella frase originale è contenuta un’improprietà pronominale, un «ne» di troppo, che non può non segnalare di per sé qualcosa a proposito della preparazione dell’estensore).

Ma sorvoliamo sulle lacune linguistiche e andiamo al sodo. Afferma il presidente di FAVIS:

Il patrimonio più prezioso che l’essere umano possiede è la salute della propria mente, intesa come capacità di intendere, di volere, di autodeterminarsi, di discernere, di rapportarsi con gli altri e la realtà esterna. In Italia esiste di fatto il ‘diritto a manipolare e plagiare’ gli altri esseri umani, e non il contrario, purtroppo.

Chi non conoscesse le (non-)qualifiche e i trascorsi di Maurizio Alessandrini, potrebbe pensare che, se costui parla di salute mentale e di capacità di intendere e volere, debba essere uno psichiatra. Il disorientamento subentra invece repentino nel momento in cui, con un considerevole balzo acrobatico, l’ex ragioniere in pensione si improvvisa addirittura giurista. Che sia divenuto d’un tratto una sorta di tuttologo?

Vediamo cosa ha detto suo figlio Fabio qualche anno fa a tal proposito:


Il seguito dell’articolo ripropone le solite tesi «anti-sette», trite e ritrite, che non ci arrischieremo nemmeno a commentare poiché sono già state oggetto di ampie trattazioni e confutazioni da parte di accademici e di esperti (veri) di religioni, sette e movimenti religiosi, tanto quanto dagli analisti della fenomenologia dei movimenti «anti-sette».

Ciò che però ha carpito la nostra attenzione è come un ex ragioniere vada discettando di abusi psicologici, di integrità psichica, di personalità, di problemi relazionali, di condizionamento emozionale affettivo, di perdita della capacità critica, ecc. Tutti aspetti e fattori che afferiscono evidentemente al campo della psicologia, la quale viene definita dal vocabolario Treccani come «scienza che studia la psiche, che analizza i fenomeni e i processi psichici». Il lemma enciclopedico della medesima opera specifica ulteriormente che la psicologia tratta «i processi psichici, coscienti e inconsci, cognitivi (percezione, attenzione, memoria, linguaggio, pensiero ecc.) e dinamici (emozioni, motivazioni, personalità ecc.)».

La domanda sorge spontanea: perché la psicologa «anti-sette» Lorita Tinelli non è saltata al collo di Maurizio Alessandrini gridando all’abuso di professione di psicologo, come usa fare sin troppo spesso? E sì che l’usurpazione dell’ambito di competenza è lampante. Oppure, data l’amicizia che li lega, perché non gli ha almeno fatto pubblicamente osservazione mettendo in luce l’incongruenza del suo agire e l’impropria invasione di campo?

E perché la redazione di «Ananke News» ha lasciato correre, sebbene sia costituita da figure che possono invece accampare delle competenze specifiche nell’ambito della pedagogia e della psicologia?

Evidentemente, fa più comodo lasciar mano libera a chi non ha mai studiato seriamente i meccanismi della psiche ma vuole ammantarsi di una presunta conoscenza degli stessi per corroborare tesi controverse ai danni di gruppi minoritari.

Ulteriore menzione andrebbe fatta per il modo come l’ex ragioniere della Provincia di Rimini si improvvisa anche giureconsulto: «Dopo l’abrogazione dell’art. 600 del c.p. (Reato di plagio) avvenuta nel giugno 1981, si è creato un vuoto normativo con conseguente vuoto di tutela». A parte il fatto che l’articolo era il 603 (approvato con Regio Decreto del 19 ottobre 1930, in pieno periodo fascista) e non il 600 («riduzione in schiavitù»), il presidente di FAVIS dovrebbe spiegare con quale criterio egli ritiene se stesso superiore per capacità di valutazione a un collegio giudicante di magistrati della Corte Costituzionale (sic!) e per giunta con un’unica, lapidaria frase a fronte di un’intera, organica e argomentata sentenza. Noi non siamo riusciti a darci una spiegazione di tale sbalorditivo fenomeno.

Conclude Maurizio Alessandrini la sua trattazione con questa frase:

Nel frattempo inquirenti e investigatori debbono procedere all’individuazione dei reati – singoli o plurimi – connessi alle varie casistiche settarie.

Si riferiva forse alla condotta posta in essere da lui medesimo con quel suo articolo, che rasenta l’abuso della professione di psicologo?

Si riferiva invece al «settarismo» evidenziato dai suoi stessi compari «anti-sette»?

Si riferiva alla disinformazione e alla manipolazione dei fatti messa in atto mediante la propaganda ideologica contro individui e associazioni «non conformi» alle sue vedute?

Oppure si riferiva ai soprusi familiari raccontati proprio da suo figlio Fabio, dai quali quest’ultimo fu costretto a fuggire vent’anni fa?


Non è dato sapere a cosa si riferisse davvero: l’unica cosa evidente è la solita, certificata, disarmante contraddittorietà «anti-sette».

lunedì 3 dicembre 2018

Giornalisti «anti-sette»: Giorgio Romiti e un esempio di istigazione all’odio

Abbiamo dato conto in un post della scorsa settimana dell’ennesimo esempio di propaganda mediatica contro i nuovi movimenti religiosi, nella fattispecie una congregazione evangelica pentecostale di grande successo in questi anni, nota come «Parola della Grazia» o PdG.

Riprendiamo il discorso per fornire ulteriori elementi a riprova di quanto abbiamo scritto: in particolare, a supporto del fatto che lo pseudo-giornalista in questione, quel Giorgio Romiti (che preferisce operare nell’anonimato utilizzando lo pseudonimo Gaston Zama) autore di un servizio de «Le Iene» profondamente tendenzioso nei confronti di quel movimento, si era mosso (alla ricerca del giovane ex omosessuale ritornato etero dopo aver abbracciato quella fede) quando già era carico di un profondo pregiudizio nei loro riguardi.

Era partito con un’idea negativa già ben formata, con il preconcetto che si trattasse di una «setta», con l’intento di metterla alla berlina perché «colpevole» di aver «provocato» la trasformazione di un ragazzo da gay a eterosessuale e con l’obiettivo di riproporre la cantilena mediatica sul fantomatico «plagio» mentale.

È sufficiente leggere il post che Giorgio Romiti ha pubblicato la mattina del 4 novembre scorso sul proprio profilo Facebook pubblico, con il quale dà il la a delle discussioni anche feroci da parte di un gran numero di utenti. Per inciso: utenti reali? artificiali? opera di qualche «influencer»? chi può dirlo?


Come si può notare, i commenti vanno ben oltre i 2000 e fra questi si trova un vasto repertorio di offese scurrili, ingiurie nei confronti del giovane pentecostale, accuse infamanti a lui, a sua madre ed alla sua congregazione, ecc.


Affermazioni qua e là anche violente scritte da «leoni da tastiera» evidentemente incapaci di rispettare le credenze altrui.


E Giorgio Romiti alias Gaston Zama che fa? Ammicca agli intolleranti.


Ma non solo: la scusa è buona per mettere in piazza non solo il nome e cognome, ma anche l’indirizzo del profilo Facebook personale del ragazzo preso di mira per la propria identità sessuale (che egli afferma di aver ritrovata), così che possa venire esposto al pubblico ludibrio (evitiamo di riportare quei commenti solo per tutelare nei limiti del possibile l’identità del ragazzo).

Fortunatamente, intervengono diversi utenti per reagire a questa sottospecie di tribunale inquisitorio virtuale:


Tutto ciò si svolge una settimana prima del «servizio» televisivo prodotto da Giorgio Romiti per «Le Iene». Fatto, questo, che dimostra in maniera inequivocabile come quel video fosse nato già in un crogiolo (forse sarebbe più corretto dire in un trogolo) di pregiudizio e di intolleranza anti-religiosa di differenti estrazioni.

D’altronde, lo dice persino Lorita Tinelli, esponente «anti-sette» di prima linea, che «Le Iene» sono una trasmissione «folkloristica»:


Per una volta, non possiamo che sottoscrivere quanto dichiara la psicologa pugliese.

sabato 1 dicembre 2018

Genesi di un militante «anti-sette»: Lorita Tinelli e… una vendetta d’amore?

La figura di Lorita Tinelli, psicologa «anti-sette» del CeSAP, emerge di frequente nei vari post del nostro blog che trattano delle diverse ingiustizie commesse dai militanti contro i movimenti spirituali «non tradizionali». Di fatto, e come lei stessa ama raccontare ai mass media, l’attività lavorativa della Tinelli negli ultimi vent’anni è stata per la gran parte ipotecata dalla propaganda contro tutti i gruppi religiosi minoritari, con particolare attenzione ai Testimoni di Geova. Con l’andar del tempo, il CeSAP è poi diventato parte di un piccolo gruppo di associazioni italiane (che solo pochi giornalisti hanno il coraggio di descrivere per ciò che sono e fanno veramente) entrate nell’orbita della controversa FECRIS (un’organizzazione europea votata al contrasto continuo e intollerante verso la religiosità non convenzionale, finanziata dal governo francese) e divenute dalla fine del 2006 collaboratori della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno).

In molti si sono domandati la ragione di tanto astio da parte di Lorita Tinelli: un odio tanto costante e inflessibile da venire declinato quasi giornalmente in dichiarazioni ed articoli denigratori pubblicati sui suoi siti Internet, sui mass media di mezzo paese, su Facebook, in eventi pubblici, ecc.: mai una parola di riguardo, di rispetto, di comprensione, di curiosità genuina per le diverse rappresentazioni del divino o ricerche della spiritualità personale, mai un sincero apprezzamento per gli sforzi delle diverse congregazioni di integrarsi con la società o di contribuire ad un miglioramento delle comunità in cui si sono insediate. C’è spazio solo per testimonianze di apostati inviperiti, storie allarmanti (ma dalla dubbia attendibilità) che sovente vengono del tutto ridimensionate, accuse infamanti, recriminazioni e quant’altro.

Come giunge una psicologa, laureatasi appena pochi anni prima, ad autoproclamarsi «esperta» di «sette» tanto da fondare e dirigere un «centro studi» come il CeSAP focalizzato sin dai suoi primordi sul contrasto ai nuovi movimenti religiosi? Di fatto, tale «specializzazione» per Lorita Tinelli è addirittura precedente alla fondazione della sua associazione «anti-sette», se si considera che già nel 1998, per l’Editrice Vaticana, aveva dato alle stampe un libro con l’inequivocabile titolo «Tecniche di persuasione tra i Testimoni di Geova».

Dunque per Lorita Tinelli è stato assai breve il passo fra la laurea e l’attività di militante contro i «culti distruttivi» o «culti abusanti», come lei ama definire le nuove religioni riconosciute tali da esperti accademici di mezzo mondo o anche da interi governi nazionali (eclatante il caso della Soka Gakkai, confessione religiosa dotata di un’intesa addirittura con il governo di un paese a stragrande maggioranza cattolica come il nostro, ma «setta criminale» secondo i più facinorosi sostenitori e collaboratori del CeSAP, amici della psicologa pugliese, come Toni Occhiello).

In una parola: perché?

Troviamo la risposta nel quarto libro dell’Eneide, verso 412 («Malvagio Amore, che cosa gli animi mortali non spingi a fare!»), a cui risaliamo partendo da una traccia che ci lasciò in un commento, più di un anno fa, un utente del nostro blog:


Di tale indizio avevamo avuto un primo riscontro da persone che avevano conosciuto la Tinelli da studente universitaria, ma una conferma piena, rotonda e assolutamente autorevole ce l’ha fornita la stessa psicologa qualche giorno fa in un’intervista andata «in onda» su una radio online amatoriale. Ecco l’estratto:


Quando studiavo ancora all’università avevo una persona carissima che ha iniziato a frequentare un gruppo chiuso, un gruppo totalitario. Io conoscevo molto bene questa persona nelle sue passioni, nei suoi interessi, e anche nelle sue fragilità. E sono state queste il punto diciamo d’ingresso in questa nuova esperienza. Ho visto questa persona nel giro di pochissimo tempo cambiare completamente…

E chi può essere «una persona carissima» che Lorita conosceva «molto bene (…) nelle sue passioni, nei suoi interessi, e anche nelle sue fragilità»? Forse un familiare, ma difficilmente non se ne saprebbe nulla dopo vent’anni di intensa attività «anti-sette». L’unica ipotesi plausibile è quella dell’amicizia profonda, oppure… della relazione amorosa. Questo conferma completamente l’indiscrezione.

In parole povere: Lorita Tinelli aveva un fidanzato di cui era molto innamorata, il quale ha deciso di lasciarla e di rompere la propria relazione per seguire un gruppo religioso.

Quale gruppo religioso? Basta vedere chi ha cominciato sin da subito ad attaccare la psicologa pugliese ancora prima di fondare il CeSAP, astutamente coinvolgendo chi poteva avere il massimo interesse nel sostenerla (un certo clero intransigente) e da lì in poi trasformando assieme ai suoi collaboratori in una sorta di business la propaganda «anti-sette»: i Testimoni di Geova.

Da quel periodo in poi, come lei stessa racconta nell’intervista di qualche giorno fa, Lorita Tinelli è stata indottrinata contro le nuove religiosità da un altro psicologo che in quei tempi era noto, oltre che per l’etilismo, anche per le sue discutibili tecniche di spionaggio ai danni dei gruppi religiosi minoritari da lui ritenuti «pericolosi», Maurizio Antonello, morto suicida a quarantanove anni nel maggio del 2003. Il collega della Tinelli deve avere avuto gioco facile nel predisporla all’odio verso i nuovi movimenti religiosi, considerando il momento di travaglio emotivo di lei, sul quale molto probabilmente egli deve aver anche fatto leva.


In breve tempo, la psicologa Lorita Tinelli si inventa «esperta» di «sette», accampando un mirabolante curriculum, pur non avendo una preparazione accademica seria e concreta in materia di religione o di sociologia ma per lo più un’imbottitura di informazioni «anti-sette» dovute alla frequentazione con il collega Antonello esponente dell’ARIS Veneto, associazione definitivamente cessata da alcuni anni ma anch’essa collegata alla FECRIS nell’ultimo periodo della sua attività.

Ciò rende ancora più speciose, artefatte e strumentali affermazioni come la seguente, in cui la Tinelli tenta di presentarsi come una «studiosa» tollerante ed equilibrata:


Un asserto tanto più inverosimile se paragonato al curriculum discriminatorio e persecutorio evidenziato non solo nel nostro blog, ma anche nelle dichiarazioni di altri studiosi ed ex collaboratori della psicologa «anti-sette».

Lo stesso vale per la presunta qualifica di «esperta» di fenomeni religiosi, mai realmente dimostrata tale a meno che non si debba dare credito a trasmissioni televisive scandalistiche o alla carta patinata stracolma di gossip.

Eppure Lorita Tinelli sostiene di utilizzare sempre il «metodo scientifico»:


Non è chiaro a cosa si riferisca qui Lorita Tinelli, ma basti ricordare (uno su tutti) il clamoroso esempio di superficialità messo in mostra dalla psicologa «anti-sette» in occasione del suo webinar di aprile scorso che ha realmente rasentato la pseudoscienza.

La verità nuda e cruda ci dice invece di un livore profondo, motivato da tutt’altro che un’ispirazione umanistica, caso mai da una ragione certo comprensibile, ma comunque strettamente personale: una delusione d’amore.

Una causa accettabile per un odio tanto viscerale?

Come si può considerare attendibile una presunta studiosa/ricercatrice mossa dal risentimento, quando si esprime su un soggetto così delicato come la scelta religiosa? Come può la magistratura dare credito ad una persona che valuta come negativa l'adesione a taluni movimenti religiosi solo perché un antico fidanzato l'ha lasciata per una scelta religiosa che li ha allontanati? Quanto può dirsi imparziale e onesta una persona che dopo tutti questi anni sta ancora inseguendo la propria vendetta?