mercoledì 28 novembre 2018

Le iene «anti-sette», notizie manipolate e disinformazione contro gli Evangelici: Parola della Grazia (PdG)

[Post aggiornato con ulteriori elementi il 3 Dicembre 2018]

Descriviamo in questo post un ulteriore tassello che si aggiunge ai molti precedenti (ad esempio questo o questo), a proposito di come gli «anti-sette» e i giornalisti compiacenti al loro seguito producono una disinformazione che è principalmente composta da circostanze e fatti adulterati oppure raffazzonati in modo tale che le loro sequenze conducano a conclusioni fuorvianti.

A innestarsi questa volta (come in passato) nel solco dei manipolatori dell’informazione è la trasmissione «Le Iene», senz’altro arcinota ma spesso contestata, persino dalla stampa sua consimile oltre che da specialisti delle bufale:


Autore del «reportage» in questione, come vedremo, è un «giornalista» la cui qualifica poniamo fra virgolette per una ben precisa ragione che motiveremo più oltre.

Questa volta, nel mirino della macchina del fango «anti-sette», amplificata dal megafono mediatico de «Le Iene», è finita una congregazione evangelica pentecostale che da alcuni anni raccoglie sempre maggiori consensi fra la gente. Per inciso, ci domandiamo: non sarà proprio questa la vera ragione di fondo di tanto accanimento, il suo allargarsi sempre più e il suo implicito (ma del tutto involontario) rappresentare una sorta di minaccia per qualche interesse privato e nascosto? Chissà.

Parliamo della «Parola della Grazia» o PdG, un’associazione a tutti gli effetti classificabile fra i «nuovi movimenti religiosi», ben descritta dagli studiosi (seri) come una chiesa pentecostale con caratteristiche proprie e una certa autonomia (qui qualche spunto per approfondire).

Due settimane fa novembre scorso, questo gruppo religioso con sede in Palermo (sì, proprio la stessa gloriosa capitale che mille anni or sono fu già esempio mondiale di libertà di culto, sotto il dominio normanno di re Ruggero II d'Altavilla), e uno dei suoi principali pastori (Gioacchino Porrello) è stato preso di mira a causa di un video nel quale un loro giovane fedele dichiarava di essersi ritrovato eterosessuale e di aver abbandonato l’omosessualità, che aveva praticato per alcuni anni, ora percepita come un male impostogli dal diavolo e poi superato. Estasiato e quasi inebriato dal proprio ardore per Dio, il ragazzo ha voluto gridare al mondo intero la propria gioia prima di battezzarsi nella sua ritrovata fede e si è raccontato a modo proprio illustrando la propria esperienza. Ne sono sorte in reazione delle critiche, sulle quali il «giornalista» de «Le Iene» si è subito avventato.

Consequenziale è stata, nella logica mediatica del «contenuto» ad ogni costo, la ripresa della «notizia» da parte di altri media (dalla Sicilia fino alla Svizzera) che naturalmente hanno fatto il solito effetto «cassa di risonanza».

Così la testimonianza di un giovane fedele di una congregazione pentecostale fuori di sé dalla felicità per aver conseguito un radicale cambiamento nella propria identità sessuale è divenuto una «buona ragione» per etichettare lui e qualche centinaio di migliaia dei suoi correligionari non come «fedeli» di un certo tipo di spiritualità, ma come «seguaci» di un qualcosa che il video nel complesso vorrebbe dipingere come «misterioso» o «sinistro».


Un elemento che probabilmente il telespettatore medio non noterà è l’audio: un complesso di motivetti solo lontanamente musicali, nemmeno una colonna sonora ma più che altro una sorta di effetti o di gemiti inquietanti, che ricordano un film dell’orrore. Che c’entrano con l’intervista a un leader spirituale che ispira e guida migliaia di fedeli? Ovviamente non vi hanno nulla a che fare, ma sono funzionali a creare un’atmosfera, un sound che trasmette un certo timbro emozionale.

Si sfiora il ridicolo anche nella descrizione della struttura in cui si riuniscono i fedeli di PdG, ovviamente una «chiesa», ma messa in dubbio e descritta come qualcosa di insolito da un «giornalista» che evidentemente non ha mai aperto un vocabolario per scoprire che «chiesa» significa sin dall’origine della parola «adunanza, assemblea» per poi passare a rappresentare un «edificio dedicato al culto», specie se cristiano (come nel caso di specie).

Proseguendo, nell’intervista (che pare più un «terzo grado») al pastore Gioacchino Porrello il «giornalista» subdolamente dà un’imbeccata per riprendere e rilanciare il solito «allarme sette»: insinua il dubbio che la sua congregazione sia «una setta» ma senza esporsi: ossia, induce Porrello a confutare l’accusa facendo apparire che sia lui stesso a formularla (per poi negarla) sulla base di un paio di sporadici commenti in Internet (come sempre, a fronte del parere diametralmente opposto di migliaia di persone che invece testimoniano la bontà della pratica di PdG e i benefici che ne hanno tratto):


Eppure si tratta di sporadici commenti, una percentuale del tutto infinitesima rispetto a quella rappresentata non solo dai fedeli della Parola della Grazia, ma anche dalla maggioranza dei cittadini di differente estrazione religiosa. Ciò nonostante, secondo il «giornalista», quella mezza dozzina (forse) di commenti dovrebbe rappresentare una prova del fatto che «molti gridano al plagio», o che «la gente» (minuto 17’00”) «pensa» che il giovane ex-omosessuale sia stato «plagiato».


Già qui ci troviamo di fronte a «fake news»: quel «molti» è una mera mistificazione che fa comodo al «giornalista» ed è del tutto strumentale a tenere in piedi il suo «servizio».

Lo stesso vale per la telefonata (rigorosamente anonima) che viene fatta sentire successivamente (dal min 22’40” circa) e nella quale un’ignota signora sparla della congregazione facendo delle accuse scarsamente circostanziate.

Come giustamente afferma Gioacchino Porrello in un passaggio che per fortuna non viene tagliato, il «giornalista» sta né più né meno adoperando l’argomento per «fare audience».

Tanto è vero che la stessa delatrice anonima sembra finire per contraddirsi, negando di aver personalmente constatato ciò che qualcun altro le avrebbe riferito accadere:


Anche ammesso che questa telefonata sia reale (e non artefatta, magari architettata proprio dal «giornalista»), è lampante che fa acqua da tutte le parti.

Ma non è ancora tutto.

In piena tattica «anti-sette», un rispettabile e benamato pastore pentecostale (il padre di Gioacchino Porrello) che ha addirittura rinunciato alla carriera di dottore per coltivare la fede e predicare la parola di Dio, deve per forza venire dipinto con tinte fosche e con una qualche nomea discutibile:


Peccato che l’asserto «da medico di base a guaritore miracoloso» sia del tutto fuorviante rispetto a ciò che affermano i diretti interessati: infatti, né Porrello senior né suo figlio hanno nemmeno lontanamente alluso al fatto di essere mai stati loro a guarire i fedeli! Caso mai, la loro credenza sta nel fatto che sia Dio a provocare le guarigioni, compiendo dei miracoli, per mezzo della fede stessa del suo gregge. Che si sia dello stesso avviso o meno, che si ritenga possibile o meno, che sia scientifico o meno, è tutto un altro discorso e comunque non legittima a mettere in bocca al pastore Porrello delle parole che non ha mai detto, quando invece lui e il figlio si sono sempre riferiti al Dio taumaturgo.

E qui veniamo al motivo per cui abbiamo scritto «giornalista» fra virgolette in tutto il post.

Il servizio-fiction de «Le Iene» è stato infatti composto da tale «Gaston Zama», pseudonimo di un misterioso Giorgio Romiti molto attivo in Internet ed autore prezzolato di contenuti per il format di Italia Uno, ma che sull’albo dei giornalisti non figura affatto. Uno pseudo-giornalista a tutti gli effetti, quindi: chissà se aveva precisato di non avere tale qualifica quando si è presentato presso la congregazione palermitana? chissà se è stato davvero «trasparente» come a più riprese dichiara di voler essere, pretendendo altrettanto dal suo interlocutore?

È perché su questo «Gaston Zama» alias Giorgio Romiti non si riescono a trovare informazioni precise? Chi è costui? E perché vuole nascondere le proprie generalità? Perché nel video il suo viso non compare mai? Questa una delle poche fotografie disponibili sul suo profilo Facebook, sempre ammesso e non concesso che ritragga realmente il viso di Romiti:


Troppi misteri, troppe ombre in un servizio pseudo-giornalistico che vorrebbe essere allarmistico ma quasi quasi nemmeno ci riesce, dato che in alcuni punti finisce per rasentare l’auto-contraddizione.

L’unica cosa che davvero spicca è l'operato tipico degli «anti-sette»: manipolare i fatti e le informazioni per far passare al di là dell’evidenza (e soprattutto al di là della verità) un ben preciso messaggio, ossia che esistono delle fantomatiche «sette», che rappresentano un «pericolo» e che praticano il «plagio» (teoria che, come si è visto ripetutamente nel nostro blog, è ormai notoriamente anti-scientifica).

Peccato, però, che anche questa volta è sufficiente analizzare accuratamente il «servizio» pseudo-giornalistico per constatare che la sua veridicità lascia terribilmente a desiderare.

lunedì 26 novembre 2018

Gli «anti-sette» e la scarsa attendibilità degli «ex»: il caso di Mauro Garbuglia

di Mario Casini

Un po’ allibito, un po’ infastidito e un po’ incuriosito dalla ferocia con cui è stata fatta a brandelli la reputazione di un rispettabile e pluridecorato studioso di nutrizione come Mario Pianesi, mi sono deciso ad approfondire un po’ la figura del suo principale accusatore, Mauro Garbuglia.

Mi era balzato all’occhio il fatto che su costui, malgrado il suo ruolo palesemente ambiguo in quanto ex collaboratore ed ora concorrente di Pianesi, venisse fatto assegnamento tanto da portarlo addirittura sul palcoscenico di trasmissioni televisive nazionali: perché gli veniva (e gli viene) data l’opportunità di esprimere giudizi pesantissimi nei confronti di chi ha fondato e diretto un’associazione («Un Punto Macrobiotico» o «UPM») giunta nel giro di pochi anni a raccogliere decine di migliaia di iscritti in tutta Italia riscuotendo un largo successo?

Perché nessuno ha seriamente approfondito né sottolineato il fatto che Garbuglia aveva condotto per diversi anni (in qualità di legale rappresentante) il locale UPM di Via della Pace 87-89 a Macerata, per poi aprire nel 2012 un’attività di ristorazione in concorrenza ed in polemica con Pianesi? Perché non viene messo in risalto il lapalissiano conflitto di interesse che tale semplice fattore logicamente fa affiorare?

Mauro Garbuglia, come ha più volte affermato apertamente in occasioni pubbliche, ritiene di essersi ripreso da una grave malattia che l’avrebbe ucciso nel giro di pochi mesi (tale era la diagnosi medica) grazie al fatto di aver modificato la propria alimentazione. Non entro nel merito della scientificità o validità o meno di tale affermazione, non essendo questo il punto della mia disamina. Ciò che voglio invece sottolineare è la valenza attribuita dallo stesso Garbuglia al cambio radicale nelle proprie abitudini nutrizionali, cioè quella di avergli salvato la pelle.


Mi sono avvicinato a questo mondo vegano, vegetariano, macrobiotico, crudista… chi più ne ha più ne metta… per motivi di salute, motivi gravi di salute: un tumore con un’aspettativa di vita di pochi mesi. È grazie al cambiamento che son qui oggi a parlare dopo trent’anni (…)

Il pensiero corre immediatamente alla dieta macrobiotica e alle nozioni sul cibo e sull’alimentazione che Mauro Garbuglia ha imparato proprio da Mario Pianesi, l’uomo che ora egli addita come una sorta di «mostro», con asserzioni ancora tutte da dimostrare.

Tanto è vero che alcune persone, che lo conoscevano bene per via della comune frequentazione dell’organizzazione UPM, cercano di ricordarglielo anche in Internet, in una serie di commenti in calce a quel suo video su YouTube:



D’altronde, in aggiunta ai numerosi riconoscimenti e attestati di stima ricevuti in tutto il paese e ben oltre, gli studi e i consigli nutrizionistici di Mario Pianesi continuano a venire apprezzati in mezzo mondo. Solo un esempio: qui un recentissimo video dell’arcinoto medico e scrittore americano Michael Greger descrive e commenta positivamente la dieta «Ma.Pi.2». Comunque, se si volesse approfondire l’argomento, le referenze sono copiose ed importanti.

Tant’è che il miracoloso recupero fisico di Garbuglia non fu affatto un caso isolato. Vi sono molte altre storie di questo genere, alcune delle quali sono state raccontate dal Resto del Carlino il 16 Marzo scorso, fra cui troviamo un 75enne che era anch'egli affetto da tumore con un'aspettativa di vita ormai di pochi mesi, ripresosi completamente a seguito del cambio di alimentazione:


Ciò nonostante, la gratitudine di Garbuglia nei confronti di chi lo ha aiutato a comprendere i fattori nutrizionali che lo hanno infine salvato da morte certa, non sembra essere stata sufficiente per impedirgli di diventare il suo accusatore più in vista sui mass media.

Mi domando: perché?

Provo a seguire una traccia fornitami dal commento di un altro utente che sembra conoscerlo bene:


È evidente che c’è un secondo fine in questo attacco aperto, spietato e potente nei confronti di Mario Pianesi, per lo meno da parte di Mauro Garbuglia: non c’è solo desiderio di rivalsa, c’è anche un obiettivo di carattere commerciale, danneggiare il più possibile la concorrenza. Quindi, di nuovo, il lucro.

Un intento che non nasce nemmeno con l’inchiesta penale a carico di Pianesi strombazzata da tutti i media nazionali nel Marzo scorso. Parte ben prima, almeno sei anni prima, proprio nel 2012, quando Garbuglia aveva ormai avviato una propria attività, in concorrenza con UPM, denominata «Associazione Cibo e Benessere».

Ecco cosa scrive il 27 ottobre 2012 un utente fra i commenti ad un articolo che pubblicizza un evento di «Cibo e Benessere»:

Ragazzi, io sono di Roma e sono stato pochi giorni fa ad una conferenza organizzata vicino a casa mia da questa associazione maceratese. Alla conferenza mi ha colpito il fatto che c’è stata una ragazza che ha detto di fronte a tutti di essere andata nel loro ristorante credendo di trovarsi in un centro UPM ed ha è espresso il suo disappunto… ha in seguito trovato la sua foto pubblicata a sua insaputa su Facebook ed un commento che non corrispondeva alla realtà. Ci ha poi raccontato di aver prima scritto privatamente, senza aver ricevuto risposte e poi fatto un commento pubblico sul loro sito facebook che molto DEMOCRATICAMENTE le è stato cancellato. Quando lei poi ha saputo che c’era questa conferenza a Roma è venuta per far valere i suoi diritti per amore della verità… e sinceramente non mi sembra abbia avuto nemmeno una risposta adeguata…

L’interessante discussione prosegue e vi si trova proprio la testimonianza della donna citata nel commento precedente (il testo è quello originale e include vari errori anche di scrittura che non ho rettificato):

Io personalmente ho subito una scorrettezza,grave. infatti il mio casuale incontro con ristorante natura e il suo responsabile è stato molto negativo.Sono una studentessa di 23 anni di Roma,alla fine di Settembre mi sono recata nelle Marche per una gita e una sera ho deciso di andare a cena al Punto Macrobiotico di via della Pace a Macerata,convinta di trovare upm,entro con la mi amica nel ristorante e subito noto delle forti differenze:radio accesa,prodotti con alimenti non macrobiotici… ma non mi viene detto direttamente che non si trattava più del punto macrobiotico,infatti il responsabile mi ha invitato a sedere e ha iniziato a raccontarmi la sua storia,dicendomi che era guarito dal suo tumore in seguito a più di 15 anni di dieta ma-pi2 (ideata da Mario Pianesi),ha conosciuto in u.p.m. sua moglie con cui ha formato la sua famiglia e continua attualmente a mangiare macrobiotico;allora gli ho chiesto “ma non le sembra un po’ incoerente continuare a mangiare prodotti macrobiotici che ha costatato personalmente essere curativi e poi venderne altri nel suo nuovo ridstorante?”

Da questo raccolgo una piena conferma dell’indizio iniziale: Mauro Garbuglia avvia la propria attività non solo in concorrenza con UPM, ma anche usurpandone la reputazione. Era questa, peraltro, un’informazione già nota (era stata infatti riferita in un precedente post del nostro blog), tanto quanto gli accenni alle vicende giudiziarie subite dallo stesso Garbuglia per motivi inerenti alla concorrenza con Pianesi.

Il commento della utente chiamata in causa dalla discussione è anche più interessante perché mostra la tendenza di Mauro Garbuglia a manipolare i fatti a proprio uso e consumo:

Tornata a roma scopro che ha pubblicato la mia foto(con me e la mia amica che mi aveva accompagnata) senza autorizzazione sul profilo facebook del suo ristorante natura con annesso un commento sotto,completamente falso.infatti recitava “ecco i primi clienti venuti da tutta italia, le nostre due amiche venute appositamente da Roma” Ecco un chiaro esempio moderno di manipolazione della realtà:infatti:non siamo amiche(non ci eravamo mai visti prima),non siamo venute appositamente da Roma per ristorante natura,bensì pensavamo di trovare un Punto Macrobiotico.Inoltre abbiamo mangiato peggio e pagato di più,i prodotti non presentavano alcuna etichetta trasparente che potesse dare delle informazioni dettagliate per il consumatore, sul cibo.

Eppure i giornalisti «anti-sette» è a costui che danno credito, è costui che vorrebbero far passare per attendibile.

Proprio quegli «anti-sette» che, oltre ai nuovi movimenti religiosi, ostacolano e dileggiano anche la massoneria, la New Age, la musica hard rock, il Reiki, e persino certo esoterismo. Credenze, cioè, che come direbbe Lorita Tinelli del CeSAP, «non hanno una base teorica sostenibile»:


Per inciso, Lorita Tinelli è fra gli amici di Facebook di Mauro Garbuglia. Sarà una coincidenza?


Mi domando però se Lorita Tinelli e gli «anti-sette» che stanno sostenendo a spada tratta le dichiarazioni di Garbuglia ai danni di Mario Pianesi siano consapevoli della sua attività libraria come Edizioni Nisroch:


Sì, perché il ristorante di Via della Pace 87-89 a Macerata ha chiuso poco più di un anno fa, e se si esamina il curriculum imprenditoriale di Mauro Garbuglia il primo fatto che balza all’occhio è la sua incostanza e la difficoltà di mantenere in essere una singola attività per più di qualche anno. Chissà che non stesse meglio o godesse di maggiore stabilità economica quando lavorava con UPM? Tant’è che Garbuglia e moglie acquistarono la casa di Macerata nel 1991.

Ma invece della riconoscenza per quello che è stato il simbolo di un ampio tratto della sua vita (Mario Pianesi e la sua famiglia), oggi Mauro Garbuglia ha solo parole di accusa e di pettegolezzo.

Se UPM fosse un movimento religioso (cosa che decisamente non è, tanto quanto non è una «setta»), staremmo osservando né più né meno il solito cliché degli apostati, tema costantemente ricorrente ogni qualvolta un dato movimento viene preso di mira dalla propaganda estremista dei presunti «esperti» come Lorita Tinelli e gli altri militanti della sua risma.

E se di religione non si tratta e quindi è improprio parlare di «apostasia» (si dovrebbe caso mai parlare di un «ex»), per lo meno questo si può davvero dire di Mauro Garbuglia: che ha fatto dello «sputare nel piatto in cui ha mangiato» la sua campagna pubblicitaria.

giovedì 22 novembre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: Leo Ryan contro la CIA e l’MK-Ultra, un atroce esperimento di controllo mentale a Jonestown

Dietro il massacro di Jonestown, che non fu affatto un «suicidio di massa» ma piuttosto un efferato omicidio di massa, si nascondono sordide trame politiche.

Ecco un contributo di Epaminonda che fa ulteriormente luce su una figura chiave di quel tragico giorno di quarant’anni fa: Leo Ryan. Politico brillante, Ryan aveva cercato per anni di tenere a bada le scellerate operazioni segrete della CIA.

A Jonestown, però, Ryan incontrò la morte per mano di un commando armato.

Cerchiamo di capire perché.

Buona lettura.

Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown
:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)
- [11 Luglio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (torazina letale)
- [2 Agosto 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» e il falso «suicidio di massa»
- [19 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: falliscono i tentativi di insabbiamento
- [24 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: quarant’anni di menzogne «anti-sette»
- [30 Ottobre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: business della morte, documentario di Di Caprio
- [14 Novembre 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo»: Jonestown strumentalizzata per scopi politici


mercoledì 21 novembre 2018

La devastanti conseguenze della propaganda «anti-sette»: ultime conferme

Poco meno di un anno fa (in questo post), notando un’incongruenza nelle affermazioni di Sonia Ghinelli (esponente «anti-sette» della controversa FAVIS, associazione riminese corrispondente della discussa sigla europea FECRIS) avevamo messo in luce come l’ideologia estremista «anti-sette» fosse inestricabilmente legata a quella terribile vicenda dei venti bambini strappati alle famiglie nel modenese, tornata alla ribalta proprio in quel periodo (fra ottobre e dicembre 2017). Un’inchiesta di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli aveva scoperchiato un pentolone stracolmo di marciume.

Qualche giorno fa, questo articolo di «ReggioOnline» porta alla luce ulteriori testimonianze che confermano quell’inchiesta giornalistica e coronano anni di ricerche:


Accuse che ricordano il tenore e i contenuti della visionaria relazione scritta a carico degli inesistenti «Angeli di Sodoma» da don Aldo Buonaiuto, il prete inquisitore referente della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno), della quale abbiamo nuovamente parlato proprio nell’ultimo post, l'altroieri.

Accuse che ricordano, in realtà, la stessa aura di allarmismo e mistero che circonda tutti i casi in cui degli innocenti vengono presi di mira in quanto «setta religiosa» per essere poi sottoposti a un massacro mediatico e/o a una persecuzione giudiziaria; si pensi solo al caso di «Ananda Assisi» o a uno dei molti altri trattati nel nostro blog.

Ecco a quali accuse dovettero sottostare i genitori di quei bambini emiliani e le altre persone coinvolte nell’indagine della magistratura, istigata da alcuni «esperti», fra cui la psicologa Valeria Donati:


Non vogliamo aggiungere nulla al lavoro già svolto sul caso dai giornalisti Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, ci limitiamo soltanto a sottolineare un aspetto che emerge, inquietante se non addirittura raccapricciante, a mano a mano che i testimoni di quel «rapimento di stato» si fanno avanti.

In una parola: il lucro.


Lo stesso movente che a nostro parere spinge gli «anti-sette» a continuare incessantemente nella loro opera denigratoria nei confronti dei movimenti religiosi «non convenzionali», come abbiamo ipotizzato in più occasioni (qualche esempio: qui, qui e qui)

Qualcuno potrà obiettare che la SAS vent’anni fa non esisteva ancora e lo stesso vale per il CeSAP di Lorita Tinelli e per altri militanti oggi attivi. Certamente è così. Tuttavia il 1998 è proprio l’anno del famigerato e controverso rapporto del Ministero dell’Interno dal titolo «Sette religiose e movimenti magici in Italia», un documento controverso, criticato anche dal mondo accademico oltre che confutato in sede giudiziaria, eppure  a tutt’oggi il più citato come riferimento cardine dalle associazioni «anti-sette».

Inoltre, specularmente identica è la linea ideologica «anti-sette» portata avanti, in quel caso, per indagare i presunti abusi che sarebbero avvenuti tra Massa Finalese e Mirandola: le pressioni alle «vittime», il battage mediatico e i secondi fini utilitaristici degli «esperti».

Tanto più che il controverso CISMAI (un centro studi che all’epoca fu fra i principali sostenitori della veridicità degli abusi) collabora col CeSAP e viene portato sugli allori da Sonia Ghinelli di FAVIS, come mostra (uno su tutti) questo post di settembre 2016:


Famiglie distrutte e vite rovinate: questi sono i veri abusi dovuti alla propaganda «anti-sette».

lunedì 19 novembre 2018

La «Squadra Anti-Sette» e il caso di Imane Laloua: le nostre ipotesi confermate

Appena qualche giorno dopo la pubblicazione del nostro precedente post in cui abbiamo dato conto del discutibile operato della «Squadra Anti-Sette»(o SAS, la «polizia religiosa» del Ministero dell’Interno), si è presentata spontaneamente una riprova di quanto andavamo sostenendo.

Il caso di specie è quello (tragico) di Imane Laloua, una giovane donna di origine marocchina scomparsa dalla sua casa di Prato nel 2003, i cui resti scarnificati sono stati ritrovati solo tre anni più tardi in un’area di servizio dell’autostrada A1, ma la scoperta che l’identità di quei brandelli fosse da ricondurre alla povera Imane è avvenuta solo dodici anni più tardi e nei media si è letto come la SAS di Firenze abbia ipotizzato che si sia trattato di un assassinio da parte di una «setta satanica».

Il 13 novembre scorso, infatti, la trasmissione di RAI 3 «Chi l’ha visto?» ha rimandato in onda un appello che venne rivolto ancora un anno fa dalla madre di Imane, che (non ancora consapevole che il ritrovamento di quei resti umani sarebbe stato poi attribuito alla figlia) non si era mai rassegnata all’idea di non poter più rivederla.

In poco più di un minuto e mezzo, la signora porta alla luce la negligenza di chi avrebbe forse dovuto occuparsi della sua vicenda con un approccio differente:


«Mia figlia non è stata cercata», dice la madre della scomparsa Imane mostrando peraltro, nel suo immenso dolore, una straordinaria dignità: difficile comunuque mettere in discussione tale sua affermazione, fatta quattordici anni dopo la sparizione di sua figlia da casa.

E di nuovo, riferendosi alle indagini e precisando di averne visionato il fascicolo, soggiunge:


Tutti indizi che sembrano confermare quanto scrivevamo nel nostro post precedente:

«Forse questi poliziotti, con un caso ancora irrisolto dopo quindici anni dalla sparizione della povera Imane, fuorviati da tesi ideologiche troppo aleatorie per potersi amalgamare con dei compiti investigativi concreti e scientifici, stanno cercando in ogni modo di non perdere la faccia avvalorando le loro ipotesi?»

La pista investigativa del marito, pregiudicato e coinvolto in affari di droga, sembra essere stata trascurata; per lo meno, non ve ne è stata alcuna menzione quando ragionevolmente ci si aspetterebbe che sia la prima strada da percorrere per scoprire cosa fosse accaduto alla povera Imane.

Forse che il can can mediatico sulla presunta «setta religiosa» assassina è soltanto una cortina fumogena del tutto funzionale a far perdere le tracce delle negligenze commesse?

Ascoltiamo ancora qualche secondo dell’accorato appello della madre di Imane:


Come spiega poi il presentatore, è solo a seguito dell’intervista mandata in onda dalla trasmissione di RAI 3 l'anno scorso che la procura ha ripreso in esame il suo caso e ha scoperto, dopo gli opportuni confronti, che quei resti umani trovati una dozzina di anni prima (e rimasti per tutto quel tempo in una cella frigorifera) appartenevano alla scomparsa Imane Laloua.

A quanto pare, nessuno aveva indagato seriamente sulla scomparsa di una ventiduenne di origine marocchina: è stato più facile strombazzare il solito allarme «sette religiose» per lasciare la questione agli «esperti» della SAS e dare a vedere che ci stessero lavorando, così da giustificare l’esistenza di un’unità di polizia la cui costituzionalità è stata a più riprese messa in discussione.

Risultato: quindici anni di dolore struggente e irreparabile per una madre e un ignominioso disonore per la Polizia di Stato, un’istituzione della Repubblica.

A quale scopo i contribuenti pagano questa squadra in divisa dai dubbi intenti? Per sfoderare ipotesi insulse o quanto meno scarsamente fondate nel tentativo di coprire dell'inefficienza?

sabato 17 novembre 2018

Gli «anti-sette» e il loro seguito: strani fenomeni intorno a Lorita Tinelli

di Mario Casini

Non finirò mai di stupirmi per la singolarità dei personaggi che gravitano attorno al controverso mondo «anti-sette»; ne ho viste di tutti i colori, ma l’episodio che brevemente vado a raccontare è ben più che curioso, forse spassoso, e direi quasi grottesco.

Nella fattispecie, torno a parlare di Lorita Tinelli, esponente del CeSAP (associazione referente per l’Italia della controversa organizzazione europea FECRIS).

Il 7 novembre scorso – a mo’ di fulmine a ciel sereno – la Tinelli pubblica questo post, incomprensibile ai più:


Un poco incuriosito e – non lo nego – anche un poco divertito, ho cercato di capire a chi si riferisse Lorita Tinelli, chi si celasse dietro l’ovvio pseudonimo di «Viktor Emil Frankl» e quale fosse il casus belli.

Dopo un po’ di ricerca ma senza troppo riflettere, ho provato a inviare la richiesta di «amicizia» su Facebook a quell’utente, pensando che tutto sommato avrei potuto chiedere chiarimenti andando direttamente alla fonte.

La risposta è arrivata molto rapidamente nel giro di una mezz’ora, e in tutta sincerità mi ha lasciato sbalordito:


Qualche minuto più tardi, «Frankl» elimina questo post e ne copia e incolla il testo pubblicandolo sul proprio «diario» Facebook dopo aver corretto qualche refuso, condividendolo con tutti i suoi contatti così che rimanga reperibile.

Tralascio e soprassiedo sul turpiloquio e le offese rivolti a me, d’altro canto Lorita Tinelli e la sua banda ormai mi ci hanno abituato, e so bene di non essere l’unico libero pensatore cui è riservato questo trattamento.

Vi sono invece alcuni spunti d’interesse nello sconnesso discorso di questo utente anonimo, che voglio sottolineare:


Per dirla tutta, personalmente a questo «Frankl» non attribuirei granché in termini di credibilità, pertanto non considero attendibili le sue accuse nei confronti di Lorita Tinelli; piuttosto, ammesso e non concesso che abbiano un qualche fondamento, comunque reputo meriterebbero ben altro contesto che un «social network» come Facebook. Tanto più che, se «Frankl» conosce davvero la Tinelli, sicuramente possiede anche un suo numero telefonico (che d’altronde si può reperire molto facilmente in Internet) e quindi avrebbe potuto assai agevolmente contattarla in modo ben più diretto e confidenziale, senza cioè spiattellare online il suo risentimento.

Comunque, da elementi raccolti altrove, ho anche appreso che «Frankl» è in realtà una donna:


Costei sostiene che Lorita Tinelli sia stata una sua insegnante di criminologia all’università (forse si riferisce al Corso di Perfezionamento in Criminologia generale e penitenziaria della Facoltà di Scienze della Formazione, università di Bari, di cui si legge sul gargantuesco curriculum della Tinelli):


E pare un’asserzione plausibile, dato che utilizza la stessa terminologia «anti-sette»:


Ma in conclusione del suo sfogo, «Frankl» non sembra trovare pace nei confronti della Tinelli:



Chiunque sia quest’emotiva utente di Facebook (sempre che si tratti di una persona in carne ed ossa e non di un alter ego di qualcuno), mi lascia alquanto perplesso il suo comportamento.

Se «Frankl» fosse un individuo reale, la esorterei anzitutto a lasciar sbollire la propria ira, e poi in un secondo momento a trovare il coraggio di fare una telefonata alla sua ex docente: a volte una semplice chiacchierata può essere riparatrice.

Ma a parte questo banale consiglio, non posso che osservare come l'ambiente «anti-sette» paia essere frequentato da numerosi personaggi che dimostrano di aver tratto ben pochi vantaggi dal frequentare psicoterapeuti e psicologi sedicenti esperti in questa o quell'altra specializzazione.

giovedì 15 novembre 2018

Gli «anti-sette» e la magistratura: quando la libertà dei cittadini è a rischio

Come talvolta la magistratura venga fuorviata e indotta in errori che solo in seguito si rivelano clamorosi, è un fenomeno che a più riprese abbiamo esaminato e descritto nel nostro blog. Leggerezze investigative e sbagli giudiziari e che vengono favoriti vuoi dalla propaganda vuoi dalla consulenza tendenziosa dei presunti esperti «anti-sette».

Errori che hanno conseguenze perniciose, talvolta devastanti, per singoli individui o famiglie o intere comunità. A questi danni fanno da contraltare i profitti o il ritorno d’immagine di cui nel frattempo hanno goduto militanti «anti-sette» come gli psicologi Lorita Tinelli e Luigi Corvaglia (CeSAP), l’ex ragioniere in pensione Maurizio Alessandrini (FAVIS), la quasi criminologa Patrizia Santovecchi (ONAP) o il prete inquisitore don Aldo Buonaiuto, tutti a vario titolo referenti per la controversa «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno).

Così è stato in ciascuno dei seguenti casi (per citare soltanto quelli che abbiamo trattato nel nostro blog e senza uscire dal territorio italiano):
- la persecuzione ai danni di Ananda Assisi;
- gli inesistenti Angeli di Sodoma e la visionaria relazione di don Aldo Buonaiuto;
- la presunta «santona» di Prevalle (Brescia), al secolo Fiorella Tersilla Tanghetti;
- la Comunità Shalom di Palazzolo (Brescia);
- l’associazione Arkeon (basilare, qui, l’influenza del CeSAP);
- le «sette sataniche» inventate di Saluzzo e Costigliole d’Asti;
- e infine, per lo meno per quanto riguarda un processo mediatico tenutosi ancora prima che le indagini venissero concluse, il caso di Mario Pianesi e «Un Punto Macrobiotico».

Proprio su quest’ultimo caso vogliamo riflettere ancora una volta per mettere in luce un aspetto che nei precedenti non ci era risultato chiaro mentre ora si è manifestato in tutta la sua evidenza.

Titolare delle indagini a carico dell’associazione «Un Punto Macrobiotico» è il cinquantottenne magistrato anconetano Paolo Gubinelli, personaggio pubblico (segue foto) il cui nome avevamo notato nell’articolo di «Cronache Maceratesi» in cui si riportava l’intervista ai figli di Mario Pianesi (ne abbiamo parlato in un nostro precedente post).


Fiducioso nell’imparzialità e coscienziosità della magistratura inquirente, il nostro Mario Casini aveva provato a sensibilizzarlo a proposito del linciaggio mediatico in atto ai danni di Mario Pianesi, inviandogli un’e-mail (datata 30 Ottobre) al suo indirizzo istituzionale presso la Procura di Ancona. Nessuna risposta, d’altronde esigue erano le aspettative e non si può certo pretendere che un pubblico ministero possa riscontrare tutta la corrispondenza che gli perviene, specie se inerenti a questioni tanto delicate.


Ma qualche giorno più tardi (6 novembre scorso), Paolo Gubinelli torna sotto le luci della ribalta per una requisitoria pronunciata a conclusione di un’inchiesta a carico di un 32enne di Senigallia (Ancona) accusato di aver ridotto in schiavitù la propria fidanzata.

In quella, Gubinelli avrebbe sposato la tesi secondo cui «seppur storicamente dichiarato incostituzionale il reato di plagio, la Procura di Ancona, in questo processo sembra intraprendere una battaglia perché si crei un precedente volto a dare una risposta a tutti quei casi in cui le donne sono vittime di uomini che agiscono plagiando, manipolando, inducendo a comportamenti di sottomissione».

Un’inquietante interpretazione che sembra voler travalicare il limite del codice penale attualmente in vigore, richiamando teorie controverse e accademicamente screditate come quella del «lavaggio del cervello» nei movimenti religiosi, per riproporre la reintroduzione del «reato di plagio» di fascista memoria.

Addirittura, Paolo Gubinelli avrebbe ritenuto di intraprendere «un percorso che vuole essere innovativo (…) citando Aldo Braibanti, l’unico uomo condannato per plagio nella storia d’Italia», asserzione paradossale se si considera quanto reazionaria fu quella sentenza rispetto alle avanguardie culturali e sociali che nel 1968 si batterono strenuamente per la libertà d’opinione e di espressione, come ben descrisse in questo articolo il giornalista Giuseppe Loteta.

Infine, Gubinelli avrebbe descritto «il ritratto del plagiatore dipinto dalla psicoterapeuta Silvia Croci» (di Forlì). Il che fa cadere ogni dubbio sulle fonti da lui ritenute attendibili per valutare simili casi: basti pensare che la monografia scritta dalla Croci a proposito di «plagio» non solo si accoda palesemente alla propaganda dei militanti contro i «movimenti religiosi alternativi», ma è persino citata come riferimento sul blog dell’associazione «anti-sette» FAVIS.

Non è dunque irragionevole, purtroppo, considerare il PM Paolo Gubinelli come un magistrato schierato con gli «anti-sette»; e l’andamento mediatico dell’inchiesta a carico di «Un Punto Macrobiotico» (con le assurde accuse che si tratti di una «setta» e la feroce campagna denigratoria a carico del suo fondatore Mario Pianesi) non fa che fornire spunti a conferma di tale ipotesi.

Di conseguenza, il pronostico sui due filoni di quell’indagine non può che essere pessimistico. Lampante, infatti, è il parallelo è con l’operato del procuratore Francesco Bretone di Bari, che nelle indagini a carico di Arkeon si era basato sugli acrobatici teoremi di Lorita Tinelli e del CeSAP, poi completamente screditate in tribunale.

Sarà probabile che fra qualche anno si debba dare conto dell’ennesima ingiustizia propiziata dagli «anti-sette»: così stando le cose, la libertà dei cittadini è ancora a rischio.

mercoledì 14 novembre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: Jonestown strumentalizzata per scopi politici

Sebbene abbiano continuato a incassare fragorose smentite sulla base di fatti documentati, gli «anti-sette» nostrani si ostinano a strombazzare la versione mediatica della strage di Jonestown.

Su tutti, le solite Lorita Tinelli e Sonia Ghinelli, esponenti rispettivamente di CeSAP e FAVIS, associazioni referenti in Italia della controversa organizzazione europea FECRIS.

Pur di propagandare la versione del «suicidio di massa», già ampiamente screditata, costoro si aggrappano ai fenomeni mediatici del momento come le recenti fiction o «documentari» realizzati per fare profitto.

L’ultima uscita a sproposito di questa serie è un post con cui Sonia Ghinelli condivide un articolo ricevuto dall’amica e collega «anti-sette» Janja Lalich (della quale abbiamo parlato in un recente post):



Addirittura, Sonia Ghinelli arriva a titolare il proprio post «massacri settari» riferendosi alla strage del Tempio del Popolo: niente più che la solita disinformazione «anti-sette».

Un’ottima occasione, offerta su un piatto d’argento al nostro Epaminonda, per prendere in considerazione anche questa ennesima mistificazione e metterla a nudo per ciò che sventuratamente è.

Buona lettura.


Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)



lunedì 12 novembre 2018

Le bugie «anti-sette» su Arkeon: il CeSAP e Giuseppe Borello

Sebbene altrove sul web si possa trovare molto materiale a proposito del caso mediatico-giudiziario che ha visto nel mirino il percorso di crescita personale Arkeon, anche nel nostro blog si è più volte lambito l’argomento.

Per tentare di riassumere quella tristissima vicenda in poche parole: Arkeon era il nome di un’associazione (partita sul finire degli anni '90) che proponeva dei seminari e degli studi di carattere filosofico, formativo e spirituale fondata e diretta da Vito Carlo Moccia, leader del movimento. A seguito di varie vicissitudini e delle denunce da parte di alcuni ex membri del gruppo (ecco di nuovo l’immancabile fattore dell’apostasia), Arkeon diventa oggetto di una asfissiante campagna mediatica cui presto si affiancano le azioni giudiziarie volute, favorite ed alimentate da alcuni esponenti «anti-sette», prima fra tutti Lorita Tinelli del CeSAP. Dopo vari processi celebrati in tutti i gradi di giudizio, l’intera impalcatura di imputazioni infamanti viene smontata pezzo per pezzo dall’attento vaglio della magistratura, con l’unica eccezione di una condanna (divenuta definitiva) per «abuso della professione» di psicologo dovuta al fatto che Moccia, pur essendo laureato in psicologia, non era iscritto all’albo professionale e dunque (in ossequio a una legge che attribuisce aprioristicamente agli psicologi talune prerogative) non aveva pieno titolo per condurre certe attività in seno al gruppo. Crollate miseramente, invece, tutte le altre accuse fra cui quella che era stata il cavallo di battaglia di Lorita Tinelli, ossia lo stigma di «psicosetta». Alle incongruenze e alle assurdità delle tesi portate avanti dalla psicologa pugliese nei confronti di Arkeon è stato dedicato un intero blog.

Smentita nella quasi totalità delle sue affermazioni contro Arkeon, di quando in quando Lorita Tinelli cerca ancora di rimescolare le carte e di far valere il clamore mediatico suscitato ai danni di Vito Carlo Moccia; tuttavia, a chi ha esaminato attentamente le carte o a chi conosce a fondo la vicenda, risulta evidente la sua malafede.

Nel solco «anti-sette» della mistificazioni dei fatti, è proprio dei giorni scorsi la notizia che sul canale televisivo 119 di Sky, «Crime+Investigation», verrà presto diffusa una trasmissione sulle «sette» nella quale verrà nuovamente presa di mira anche l’ormai cessata Arkeon e con essa il suo fondatore Moccia. Autore del «reportage» è un giornalista di nome Giuseppe Borello, il cui nome è emerso proprio un anno fa nel nostro blog (anche qui più di recente).

Il «servizio» è ovviamente confezionato nel tipico stile «anti-sette», con un sonoro inquietante, atmosfere cupe, espedienti per tentare di creare suspense, ecc. Ma ai bene informati non sfuggono le improprietà:


Un «servizio» televisivo che quindi perde immediatamente credibilità, porta avanti sulla linea tipica degli «anti-sette» che s’impernia sulla controversa ed ampiamente screditata teoria del «lavaggio del cervello» alias «manipolazione mentale».

Ma proseguiamo e vediamo qual è l’impalcatura del «reportage»:


Informazione corretta, ma solo in parte: infatti Giuseppe Borello (esattamente come fa Lorita Tinelli quando ne parla tramite il Web o in TV) non precisa qual è stato l’esito del processo rispetto a quelle esatte accuse, ovvero un’assoluzione piena e totale per tutti i reati contestati (truffa, violenza, induzione in stato di incapacità, violenza e maltrattamenti) a parte uno.

Alla condanna per «associazione per delinquere finalizzata all’abuso di professione di psicologo» – unico capo d’accusa che è stato oggetto di sanzione – viene dato risalto, mentre tutte le altre imputazioni per le quali Moccia e i suoi collaboratori sono stati prosciolti o assolti (con sentenze passate in giudicato, cioè definitive) vengono tenute sotto silenzio, come se non fossero mai esistite.

Ci si potrebbe anche domandare: a che pro rivangare una vicenda giudiziaria ormai conclusa a carico di un’associazione che nemmeno esiste più, quando fra l’altro l’unica pena che era stata comminata è stata pure estinta? Si sta cercando di protrarre il massacro mediatico? Si sta cercando di torturare la reputazione di Vito Moccia? In tal caso, la finalità sarebbe inequivocabile: il denaro, cioè l’utile generato dal riscontro eventualmente raccolto dalla trasmissione televisiva.


Moccia, oltre ad aver studiato molteplici discipline e tradizioni culturali, è laureato in psicologia e pedagogia presso l’Università di Fiume e si è qualificato anche presso un ateneo americano; dettagli, questi, che sono pubblicamente disponibili in Internet da diversi anni. Eppure il giornalista attacca e infama senza ritegno parlando di titoli «millantati», aggettivo piuttosto forte e pregnante.

Fra l’altro, il video di Giuseppe Borello parla anche delle testimonianze di qualche ex «adepto» di Arkeon. Chissà se si riferisce a quei testimoni che dichiararono di aver subito pressioni per «gonfiare» le proprie dichiarazioni e che poi, ovviamente, in tribunale hanno perso.

Di fronte al protrarsi della persecuzione mediatica ai danni di Vito Moccia perpetrata dagli «anti-sette», ci domandiamo se, dopo tanti anni di battaglie (per lo più vinte) in sede giudiziaria e dopo tanta amarezza, il leader di quella che un tempo fu un’associazione con diverse migliaia di iscritti possa avere ancora la forza di volontà per reagire a questa macchina del fango messa in atto, a fini di lucro, da militanti «anti-sette» e pseudo-giornalisti.

Su un’unica affermazione non possiamo che trovarci pienamente d’accordo con Giuseppe Borello:


Proprio così: forse la cricca «anti-sette» rappresenta davvero «uno dei lati più oscuri del nostro paese».

sabato 10 novembre 2018

Le assurdità e l’indifferenza della «Squadra Anti-Sette»: il caso di Imane Laloua

Nel nostro blog si è più volte parlato della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) e del modo come viene strumentalizzata dagli esponenti «anti-sette» per fini quanto meno discutibili. Così è stato – solo per citare qualche esempio in ordine sparso – nei tristi casi di «Arkeon», degli inesistenti «Angeli di Sodoma» e di Mario Pianesi con «Un Punto Macrobiotico» (tuttora in pieno svolgimento).

Tant’è che questa strana unità di polizia è stata oggetto di ben tre interrogazioni parlamentari (prima, seconda e terza).

Nei giorni scorsi i «megafoni» mediatici, sempre affamati di contenuti (possibilmente sensazionalistici o scandalistici), hanno diffuso non tanto delle «notizie», ma delle ipotesi, riguardanti l’orribile morte di una giovane donna di Prato di origine marocchina, sparita nel nulla in giugno 2003, le cui ossa scarnificate furono ritrovate tre anni dopo da un camionista nei pressi di un’area di sosta sull’autostrada A1. Ben dodici anni più tardi, cioè solo qualche giorno fa, tramite l’esame del DNA la procura di Firenze ha accertato che quei resti umani appartenevano proprio a Imane Laloua. E questa è sostanzialmente l’unico dato di fatto che si possa considerare una notizia.


La prima stranezza che balza all’occhio è la tempistica: dodici anni per raccogliere e rendere pubblico l’esito di un esame del DNA. Dovrà pur esservi una spiegazione, ma gli articoli che strombazzano la «notizia» con titoloni ad effetto come «Uccisa e fatta a pezzi da una setta», «Imane (…) ammazzata da una setta satanica» e «L'ombra della setta satanica sulla morte di Imane» ben si guardano dallo svolgere un serio lavoro giornalistico ed approfondire un aspetto di tanto evidente rilievo.

Al contrario, danno per assodato un elemento (ossia il supposto colpevole, una presunta «setta satanica») che, invece, è solamente un’ipotesi, e nemmeno particolarmente plausibile.

Infatti, ben distanziato dal titolone roboante, tutti gli articoli riportano:

«la squadra "anti-sette" della mobile di Firenze ipotizza che la donna fosse stata vittima di un rito satanico»

o anche:

«la squadra "anti-sette" della mobile di Firenze ipotizzò allora, e fa la stessa cosa anche oggi, che la vittima di quell'orrendo trattamento fosse stata prima assassinata durante un rito satanico»

Qualche prova o elemento concreto in tal senso? Nessuno: solo congetture, in parte basate sul ritrovamento di un diario scritto da una sedicenne di Prato e risalente al 2004, in cui (sembra, stando a un articolo de «Il Tirreno») la giovane vagheggiava di cimiteri profanati e di un rito sacrificale ai danni di una vittima prelevata in strada. Racconti che, tuttavia, la ragazza precisò essere solo frutto della sua fantasia.

In poche parole, è lo stesso procedere deduttivo e indiziario che si è ben visto mettere in atto a don Aldo Buonaiuto (consulente della SAS) nel già citato caso dei presunti «Angeli di Sodoma»: basta leggere gli stralci della relazione del prete inquisitore e metterli a confronto con la realtà dei fatti, per capire a quali scioccanti mistificazioni ci si può trovare di fronte.

Ma non è tutto, vi è anche un’incongruenza nella datazione.

Sì, perché sebbene già agli inizi del 2005 si rumoreggiasse dell’eventualità che una qualche forza di polizia venisse specificamente ed espressamente deputata ad occuparsi di «sette religiose», di fatto l’istituzione concreta della SAS risale ai primi di novembre del 2006 e si deve ad una circolare emanata dall’allora capo della polizia Giovanni De Gennaro:


Ma se la SAS è ufficialmente partita in novembre 2006, non si capisce come sia possibile che:

«[il] 21 giugno 2006 [data del ritrovamento dei resti della povera Imane] la squadra "anti-sette" della Mobile di Firenze ipotizzò che la vittima (…) fosse stata prima assassinata durante un rito satanico».

La «Squadra Anti-Sette» quindi era già in attività prima di essere istituita?

O forse questi poliziotti, con un caso ancora irrisolto dopo quindici anni dalla sparizione della povera Imane, fuorviati da ideologie troppo aleatorie per potersi amalgamare con dei compiti investigativi concreti e scientifici, stanno cercando in ogni modo di non perdere la faccia avvalorando le loro ipotesi? Chissà, solo gli addetti ai lavori potrebbero rispondere a questa domanda.

D’altronde, proprio in questi giorni si assiste ad un evidente tentativo della SAS di porsi sotto le luci della ribalta: ieri a Roma ad un convegno presso l’Università LUMSA in presenza addirittura del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, il 22 ottobre scorso a «Prima dell’Alba» su RAI Tre, qualche settimana fa ancora sui media per il caso di Mario Pianesi. Forse si prospetta la necessità di richiedere risorse e di dare a vedere che si sia prodotto qualche risultato?

Tant’è che fra i titoloni dei «megafoni» mediatici si legge: «Risolto il giallo sulla scomparsa di Imane Laloua». Risolto? E come? Con un’ipotesi traballante, forse?

Insomma, tornando al caso reale della giovane marocchina mutilata, da qualunque punto la si guardi, è lampante che l’asserto «ammazzata da una setta» è a dir poco pretestuoso, se non addirittura destituito di qualunque fondamento.

Piuttosto, era stata battuta la pista (ben più logica ed immediata) del marito della giovane?

Ripartiamo infatti dal giorno in cui la 22enne Imane sparisce nel nulla, nel settembre 2003:

«Erano nella loro casa di Montecatini e litigarono perché Zoubida [la madre] non voleva che Imane raggiungesse il marito a Prato. Si erano sposati tre anni prima, ma lui spacciava droga e continuava a entrare e uscire dal carcere. Un paio di mesi dopo, quando la madre andò a cercarla a Prato, il marito disse di non saperne niente e Zoubida capì che era successo qualcosa di grave.»

Quindi Imane era sposata con un uomo che si capisce fosse un pregiudicato continuamente coinvolto in affari di droga. Quali indagini sono state svolte per accertare eventuali responsabilità del marito? Possibile che non sapesse proprio nulla delle frequentazioni della moglie, che potrebbero averla trascinata in quella fatale tragedia?

È stata presa nella dovuta considerazione la versione resa dalla madre? Oppure il suo immenso dolore è stato completamente ignorato per privilegiare una «ipotesi» ben più «vendibile» in termini mediatici? Possibile che dei rappresentanti delle istituzioni mostrino una tale indifferenza?

Ci auguriamo che la magistratura possa accertare sul serio la verità dei fatti e rendere giustizia a una donna che ha perso la figlia a causa di un crimine efferato.

Ci auguriamo inoltre che gli inquirenti valutino con estrema attenzione tutti gli elementi a disposizione, senza lasciarsi trascinare dalle fake news «anti-sette».