sabato 10 novembre 2018

Le assurdità e l’indifferenza della «Squadra Anti-Sette»: il caso di Imane Laloua

Nel nostro blog si è più volte parlato della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) e del modo come viene strumentalizzata dagli esponenti «anti-sette» per fini quanto meno discutibili. Così è stato – solo per citare qualche esempio in ordine sparso – nei tristi casi di «Arkeon», degli inesistenti «Angeli di Sodoma» e di Mario Pianesi con «Un Punto Macrobiotico» (tuttora in pieno svolgimento).

Tant’è che questa strana unità di polizia è stata oggetto di ben tre interrogazioni parlamentari (prima, seconda e terza).

Nei giorni scorsi i «megafoni» mediatici, sempre affamati di contenuti (possibilmente sensazionalistici o scandalistici), hanno diffuso non tanto delle «notizie», ma delle ipotesi, riguardanti l’orribile morte di una giovane donna di Prato di origine marocchina, sparita nel nulla in giugno 2003, le cui ossa scarnificate furono ritrovate tre anni dopo da un camionista nei pressi di un’area di sosta sull’autostrada A1. Ben dodici anni più tardi, cioè solo qualche giorno fa, tramite l’esame del DNA la procura di Firenze ha accertato che quei resti umani appartenevano proprio a Imane Laloua. E questa è sostanzialmente l’unico dato di fatto che si possa considerare una notizia.


La prima stranezza che balza all’occhio è la tempistica: dodici anni per raccogliere e rendere pubblico l’esito di un esame del DNA. Dovrà pur esservi una spiegazione, ma gli articoli che strombazzano la «notizia» con titoloni ad effetto come «Uccisa e fatta a pezzi da una setta», «Imane (…) ammazzata da una setta satanica» e «L'ombra della setta satanica sulla morte di Imane» ben si guardano dallo svolgere un serio lavoro giornalistico ed approfondire un aspetto di tanto evidente rilievo.

Al contrario, danno per assodato un elemento (ossia il supposto colpevole, una presunta «setta satanica») che, invece, è solamente un’ipotesi, e nemmeno particolarmente plausibile.

Infatti, ben distanziato dal titolone roboante, tutti gli articoli riportano:

«la squadra "anti-sette" della mobile di Firenze ipotizza che la donna fosse stata vittima di un rito satanico»

o anche:

«la squadra "anti-sette" della mobile di Firenze ipotizzò allora, e fa la stessa cosa anche oggi, che la vittima di quell'orrendo trattamento fosse stata prima assassinata durante un rito satanico»

Qualche prova o elemento concreto in tal senso? Nessuno: solo congetture, in parte basate sul ritrovamento di un diario scritto da una sedicenne di Prato e risalente al 2004, in cui (sembra, stando a un articolo de «Il Tirreno») la giovane vagheggiava di cimiteri profanati e di un rito sacrificale ai danni di una vittima prelevata in strada. Racconti che, tuttavia, la ragazza precisò essere solo frutto della sua fantasia.

In poche parole, è lo stesso procedere deduttivo e indiziario che si è ben visto mettere in atto a don Aldo Buonaiuto (consulente della SAS) nel già citato caso dei presunti «Angeli di Sodoma»: basta leggere gli stralci della relazione del prete inquisitore e metterli a confronto con la realtà dei fatti, per capire a quali scioccanti mistificazioni ci si può trovare di fronte.

Ma non è tutto, vi è anche un’incongruenza nella datazione.

Sì, perché sebbene già agli inizi del 2005 si rumoreggiasse dell’eventualità che una qualche forza di polizia venisse specificamente ed espressamente deputata ad occuparsi di «sette religiose», di fatto l’istituzione concreta della SAS risale ai primi di novembre del 2006 e si deve ad una circolare emanata dall’allora capo della polizia Giovanni De Gennaro:


Ma se la SAS è ufficialmente partita in novembre 2006, non si capisce come sia possibile che:

«[il] 21 giugno 2006 [data del ritrovamento dei resti della povera Imane] la squadra "anti-sette" della Mobile di Firenze ipotizzò che la vittima (…) fosse stata prima assassinata durante un rito satanico».

La «Squadra Anti-Sette» quindi era già in attività prima di essere istituita?

O forse questi poliziotti, con un caso ancora irrisolto dopo quindici anni dalla sparizione della povera Imane, fuorviati da ideologie troppo aleatorie per potersi amalgamare con dei compiti investigativi concreti e scientifici, stanno cercando in ogni modo di non perdere la faccia avvalorando le loro ipotesi? Chissà, solo gli addetti ai lavori potrebbero rispondere a questa domanda.

D’altronde, proprio in questi giorni si assiste ad un evidente tentativo della SAS di porsi sotto le luci della ribalta: ieri a Roma ad un convegno presso l’Università LUMSA in presenza addirittura del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, il 22 ottobre scorso a «Prima dell’Alba» su RAI Tre, qualche settimana fa ancora sui media per il caso di Mario Pianesi. Forse si prospetta la necessità di richiedere risorse e di dare a vedere che si sia prodotto qualche risultato?

Tant’è che fra i titoloni dei «megafoni» mediatici si legge: «Risolto il giallo sulla scomparsa di Imane Laloua». Risolto? E come? Con un’ipotesi traballante, forse?

Insomma, tornando al caso reale della giovane marocchina mutilata, da qualunque punto la si guardi, è lampante che l’asserto «ammazzata da una setta» è a dir poco pretestuoso, se non addirittura destituito di qualunque fondamento.

Piuttosto, era stata battuta la pista (ben più logica ed immediata) del marito della giovane?

Ripartiamo infatti dal giorno in cui la 22enne Imane sparisce nel nulla, nel settembre 2003:

«Erano nella loro casa di Montecatini e litigarono perché Zoubida [la madre] non voleva che Imane raggiungesse il marito a Prato. Si erano sposati tre anni prima, ma lui spacciava droga e continuava a entrare e uscire dal carcere. Un paio di mesi dopo, quando la madre andò a cercarla a Prato, il marito disse di non saperne niente e Zoubida capì che era successo qualcosa di grave.»

Quindi Imane era sposata con un uomo che si capisce fosse un pregiudicato continuamente coinvolto in affari di droga. Quali indagini sono state svolte per accertare eventuali responsabilità del marito? Possibile che non sapesse proprio nulla delle frequentazioni della moglie, che potrebbero averla trascinata in quella fatale tragedia?

È stata presa nella dovuta considerazione la versione resa dalla madre? Oppure il suo immenso dolore è stato completamente ignorato per privilegiare una «ipotesi» ben più «vendibile» in termini mediatici? Possibile che dei rappresentanti delle istituzioni mostrino una tale indifferenza?

Ci auguriamo che la magistratura possa accertare sul serio la verità dei fatti e rendere giustizia a una donna che ha perso la figlia a causa di un crimine efferato.

Ci auguriamo inoltre che gli inquirenti valutino con estrema attenzione tutti gli elementi a disposizione, senza lasciarsi trascinare dalle fake news «anti-sette».

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