sabato 31 marzo 2018

Paradossi «anti-sette»: la pseudo-scienza di Lorita Tinelli

Non finiremo mai di stupirci per le assurdità che di quando in quando emergono dal torbido acquitrino pozza del controverso mondo «anti-sette».

L’altroieri Lorita Tinelli ha annunciato che il 18 Aprile prossimo terrà un «webinar» (ossia un «seminario via web») sotto l’egida dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia e (naturalmente) parlerà di «sette».

Ecco la locandina dell’evento:


Sorvoliamo sulla citazione da «1984» e focalizziamo per bene la presentazione di questo webinar perché merita davvero di essere esaminata:


Che una siffatta prefazione venga considerata emanazione di un «centro studi» (quale il CeSAP dice di essere) e quindi contrassegno di un’adeguata qualificazione, è alquanto indicativo del tenore della campagna propagandistica in essere.

Seguendo infatti pedissequamente il ragionamento incardinato dalla Tinelli, si giunge non a delle conclusioni, ma a degli interrogativi che rimangono irrisolti.

Infatti: se «una stima esatta» (del numero di adepti delle «sette») è «impossibile» e se mancano «numeri ufficiali», come si può allora dichiarare che «il fenomeno continua a crescere»? Continua a crescere rispetto a cosa? Rispetto a numeri «impossibili da stimare»?

Questa non è solo un’affermazione palesemente insostenibile e antiscientifica (come minimo nella metodologia): è un’affermazione semplicemente ridicola.

Da dove proviene l’asserto che «il fenomeno continua a crescere»? Da qualche veggente o da qualche «analista» della Squadra Anti-Sette (SAS)? Quali sono le fonti, e perché di fatto non vengono mai esplicitate?

Vista, dunque, l’incertezza (per non dire l’assoluta inconsistenza) dei dati a disposizione, su quale base la Tinelli afferma che «per chi vuole uscirne la strada è sempre più difficile»? Quali sarebbero i riscontri di una tale accusa, quando in effetti vi è parecchia gente (inclusi ex affiliati dei vari movimenti religiosi) che dice tutt’altro?

Chi, come la Tinelli, si presenta come studioso ma espone affermazioni tanto gravi (seppur vaghe e fumose) dovrebbe premurarsi di fornire cifre precise e una casistica verificabile (quanto meno dalle autorità): documenti e fatti accertabili, non sparute testimonianze pilotate e prive di contraddittorio.

Facciamo un esempio: se un criminologo dichiarasse pubblicamente che in Italia ci sono 500 gruppi organizzati di violentatori con migliaia di seguaci (quindi centinaia di migliaia di potenziali stupratori) ma non fornisse alcun dato verificabile, che cosa si aspetterebbe la gente dallo Stato? Se non gli facessero un TSO alla seconda conferenza, lo processerebbero per procurato allarme e perderebbe qualsiasi parvenza di credibilità. E allora perché questa fantasiosa ricercatrice viene ascoltata e lasciata indisturbata a smerciare proclami allarmistici senza freni né morali né professionali?

Un interrogativo interessante, il nostro, che probabilmente impone una riflessione sul tornaconto evidentemente ricercato da coloro che danno spazio a una tale pseudo-scienza.

Seguiremo con molto interesse il webinar di Lorita Tinelli per capire se le nostre tesi vengono confermate o smentite.

venerdì 30 marzo 2018

Gli «anti-sette» di AIVS: anti-religiosi, astiosi e «leoni da tastiera»

Abbiamo più volte documentato in post precedenti (come questo, questo o questo) come l’operato della più recente associazione «anti-sette», AIVS, e dei suoi tre o quattro militanti, sia palesemente improntato al turpiloquio sistematico e all’aggressione verbale nei confronti non solo della Soka Gakkai, comunità religiosa principalmente nel loro mirino, ma anche all’intolleranza verso gli altri movimenti «non convenzionali» adeguatamente demonizzati come «culti distruttivi».

I loro intenti belligeranti si palesano ad ogni occasione, con un linguaggio più che colorito e con espressioni veementi ed astiose; un vero e proprio incitamento all’odio come possiamo leggere qui in un post di febbraio 2017:


Ci sarebbe da domandare ad Occhiello se abbia mai realmente provato l’esperienza che tanto va lamentando: come si «ruba la vita» a qualcuno? Probabilmente potrebbe parlarne a ragion veduta chi abbia patito un periodo di prigionia in qualche zona di guerra, chi sia stato sequestrato da rapitori, chi sia rimasto rinchiuso in una stanza ad opera di uno squilibrato o anche chi sia finito disperso a causa di qualche sciagura dovuta a un errore umano. Quelli, sì, sono «furti di vita» dal drammatico al tragico che nessuno può mai riparare.

Ma aver aderito ad una fede ed essersi poi ricreduti e aver quindi cominciato a sputare veleno su coloro che fino a poco tempo prima erano i propri amici e compagni… questo secondo Occhiello è un «furto di vita»? No, il suo ci pare davvero un comportamento eccessivo e melodrammatico, se non grottescamente infantile.

Eppure Occhiello e i suoi compari continuano imperterriti ad addossare alla Soka Gakkai le proprie frustrazioni:


Addirittura insinuano legami con la criminalità organizzata per dare più nerbo alle proprie sparate:


Naturalmente, queste accuse sono tutte asserite e non vi è alcuna prova (o, per lo meno, se esiste non viene esibita) al di fuori di «testimonianze» palesemente tendenziose o comunque innegabilmente di parte, sulla cui attendibilità molto vi sarebbe da obiettare.

Viste le modalità espressive di Occhiello, verrebbe da pensare che le linea politica di AIVS sia quella del dialogo a tutti i costi e della libera espressione «totale», senza freni e senza censure. Macché… tutt’altro.

Finché sono Occhiello o i co-gestori di AIVS Luciano Madon e Francesco Brunori (alias Italo Brunori?) a sparare a zero contro i movimenti religiosi, tutti dovrebbero essere d’accordo con loro. Guai, invece, a levare una voce contraria (d’altronde, abbiamo raccontato noi stessi delle loro intimidazioni nei nostri riguardi, peraltro alquanto sconclusionate); guai, persino, a tentare di contattarli per farli ragionare.

Ecco come la pensano (il post è proprio di oggi):


A quanto pare, anche il giornalista «anti-sette» Carmine Gazzanni approva questi toni e queste modalità. Fatto curioso, specie se messo in relazione con la deontologia professionale che dovrebbe seguire in qualità di giornalista. Ma è davvero tenuto a seguire quel codice? Sembra, da una prima e superficiale verifica, che il «reporter» (tanto sbandierato dal CeSAP nelle persone di Lorita Tinelli e Pier Paolo Caselli e dal FAVIS nella persona di Sonia Ghinelli) sia, di fatto, solo un pubblicista e non un giornalista professionista. Almeno così appare qui; va detto, tuttavia, che secondo voci non ancora confermate (ma piuttosto plausibili) Gazzanni deve essersi «laureato» giornalista professionista il 18 Gennaio scorso; ancora non figura nell’elenco dell’ordine dei giornalisti però dovrebbe ormai farne parte. Chissà che questo non lo induca ad una maggiore osservanza dell’etica professionale.

Di sicuro, quando scriviamo «tanto sbandierato» non stiamo esagerando: basta vedere quante volte Tinelli e Ghinelli condividono, riciclandoli, gli articoli di Gazzanni e quali puerili attestati di stima arrivino al pennivendolo molisano da parte di Caselli (il post è di gennaio 2017):


Ma… stiamo divagando, dunque torniamo all’argomento di questo post e vediamo quali sono gli effetti dell’incessante propaganda di AIVS per stimolare l’acredine nei confronti della Soka Gakkai e dei movimenti religiosi in generale.

Tanto per cominciare, esaminiamo qual è la posizione ufficiale e recente di AIVS (da un loro post del 24 marzo scorso) nei confronti di un gruppo pacifico che, stando alle stime attuali, conta fra gli 80.000 e i 90.000 membri:


Alquanto inequivocabile: qui il rispetto per l’altro da sé è andato a farsi benedire e rimane solo l’astio più rabbioso che fatica a tenersi a freno. Forse un caso da «curare», come direbbe Lorita Tinelli?

Ma vediamo ora i commenti ad un altro post, precedente di appena otto giorni:


Si spazia da meri malauguri come questo:


Alla pura e semplice offesa gratuita, tanto per non essere da meno di Toni Occhiello:


Per poi inneggiare fra il serio e il faceto ad atti violenti:


Oltretutto vi sarebbe tutta una storia da raccontare a proposito di questa utente che adopera il cognome del marito, da cui sembra però essere separata. Ma evitiamo di divagare nuovamente e stiamo in tema.

Anche questo commento la dice lunga sulla qualità ideologica delle iniziative di AIVS:


E i dirigenti di AIVS che fanno? In risposta ad un tale sfoggio di cultura (gli intenti ostili e l’inciso alquanto ambiguo), mettono dei «tag» a diversi giornalisti già in precedenza mostratisi compiacenti nei loro riguardi: Elisabetta AmbrosiRaffaella Pusceddu, e ovviamente l’immancabile succitato Gazzanni assieme alla sua fidanzata Flavia Piccinni. Tutti evidentemente interessati a cavalcare l’onda della campagna mediatica contro le minoranze spirituali.

I risultati dannosi, le conseguenze umane vere e proprie, non tardano a venire. Ecco ad esempio di cosa ci informa una delle accolite di AIVS:


Questo sì che dovrebbe far riflettere: che benefici porta questo continuo berciare contro il tale o il talaltro movimento? Litigi, contrasti e conflitti, di gradazioni certamente differenti, ma pur sempre motivo di disarmonia e agitazione.

Ci ha poi incuriosito il commento di un altro utente che, apparentemente (stando cioè alle informazioni pubbliche disponibili sul suo profilo), è impiegato presso il Ministero dell’Interno, come si può vedere da queste immagini:



Chissà in quale branca del Viminale opera questo utente della provincia di Roma: ce lo domandiamo non tanto per una banale curiosità, ma proprio perché AIVS e i suoi tre o quattro responsabili continuano imperterriti a battere il chiodo sul fatto che le «sette» commettono reati di qui, crimini di là, sono una sorta di mafia, ecc.

Ma allora ci domandiamo: se esistesse davvero un tale coacervo di illeciti, perché tali fatti non vengono semplicemente riferiti alle autorità competenti così che possano venire fatti oggetto di indagine e quindi adeguatamente sanzionati?

Perché Occhiello, Madon e Brunori non chiedono aiuto proprio a quell’utente che afferma di lavorare niente meno che al Ministero dell’Interno?

A nostro modesto avviso, a fronte di quanto abbiamo riferito e documentato nel nostro blog, ci pare di poter dire che AIVS abbia tutto l’aspetto e i tratti di una banda di facinorosi, non certo di un’associazione di pubblica utilità.

Ma anche a prescindere dalle nostre valutazioni, ci domandiamo: è dunque questa la qualità dialettica dei «consulenti» del Ministero dell’Interno assoldati dalla SAS (Squadra Anti-Sette)?

martedì 27 marzo 2018

I danni degli «anti-sette»»: la verità sugli «Angeli di Sodoma»

In precedenza abbiamo denunciato l’operato degli «anti-sette» nel triste, clamoroso e deleterio caso giudiziario degli inesistenti «Angeli di Sodoma».

Un’inchiesta penale, scatenatasi con titoloni sensazionalistici come «Riti sui bambini, blitz polizia a Pescara» (ADN Kronos, 15 ottobre 2002), «Bambini drogati e violentati per riti satanici / I ragazzini venivano adescati a scuola e in spiaggia» (Corriere della Sera, 15 ottobre 2002), «Pedofili e satanisti, quattro arresti / Cannibalismo e scarnificazione i loro riti prevedevano la morte» (Repubblica, 16 ottobre 2002), «Gli «angeli di Sodoma» forse preparavano il sacrificio di un bimbo» (Il Tirreno, 16 ottobre 2002), «Riti satanici e droghe giovani adescati nei locali» (Repubblica, 18 febbraio 2003); addirittura il comunicato della Polizia di Stato il 15 ottobre 2002 recitava «Riti satanici: bimbi violentati e drogati, 4 arresti della Polizia di Stato di Pescara».

Quegli articoli scandalistici sono poi finiti per fare da foraggio a libri di testo sul «satanismo», non solo come «Le mani occulte» (2005) dello stesso don Aldo Buonaiuto (diretto responsabile di quel sopruso), ma anche «L’abisso del sé – satanismo e sette sataniche» (2011), «L'Indagine Investigativa - Manuale Teorico-Pratico» (2015), «Satanismo, sette religiose e manipolazione mentale» (2015), «Criminologia Esoterica» (2016), e si potrebbe continuare.

Ultima ma non meno importante, addirittura una proposta di legge (la nr. 3770 del marzo 2003 a firma di Roberto Alboni (agente di commercio, diplomato, al tempo in forza ad Alleanza Nazionale) citò ad esempio il «caso» degli «Angeli di Sodoma», con parole inquietanti come queste:

«Basti ricordare la raccapricciante scoperta avvenuta lo scorso 16 ottobre ad opera della polizia di Pescara di reati efferati compiuti dalla setta "angeli di Sodoma". In questo antro degli orrori in cui si consumavano messe nere e riti satanici, venivano perpetrate nei confronti di minori, spesso prelevati fuori dalle scuole e ridotti in schiavitù con l'impiego di sostanze stupefacenti, violenze di ogni tipo, comprese quelle sessuali. Si predicava un odio sviscerato nei confronti dei bambini e la necessità della loro purificazione attraverso atti di vampirismo umano, capaci di "purificarli".»

Sbalorditi da come un simile caso di «fake news» possa essere diventato niente meno che un elemento tanto «importante» da sostanziare un progetto di legge parlamentare, abbiamo ripreso in mano l’argomento.

Ci siamo interessati ulteriormente a questo caso e abbiamo raccolto informazioni più dettagliate sulle ragioni che hanno portato a un caso tanto clamoroso di ingiustizia di matrice «anti-sette» ai danni di un gruppo di ragazzi abruzzesi finiti nel mirino di don Aldo Buonaiuto e di quella che in seguito sembra essere diventata la «polizia religiosa» della Repubblica Italiana… uno stato laico per natura (sic!).

Qui di seguito relazioniamo ciò che abbiamo scoperto: per rispetto di chi è stato rovinato dalla macchina del fango «anti-sette» e dal conseguente tritacarne giudiziario, non citeremo nomi in chiaro né espliciteremo le fonti; tuttavia, il materiale (la parte non di pubblico dominio) è disponibile e viene custodito da un professionista di fiducia.



Chi erano i componenti della «setta degli Angeli di Sodoma»

Il principale indiziato è G.C., un pescarese che all’età di trentun anni si ritrova sbattuto sulle prime pagine dei giornali come «mostro» di turno, per la fantomatica vicenda degli «Angeli di Sodoma»: è l’ottobre del 2002.

Vicenda che, tuttavia, si riferisce a fatti che risalgono a un arco di tempo fra il 1996 e il 1998, ovvero quattro/cinque anni prima. In quel periodo, G.C. viveva appunto a Pescara, sua città natale.

Ventisettenne, i genitori deceduti prematuramente, una sorella trasferita in un’altra città per motivi di studio, il giovane G.C. era rimasto da solo in un ampio appartamento arredato; in breve tempo la sua casa divenne luogo di incontro della sua compagnia di amici, tutti amanti della musica rock e dell’arte figurativa. Fra l’altro, G.C. componeva poesie e questo dettaglio è tutt’altro che superfluo, come si capirà in seguito.


L’inchiesta della magistratura accertò la presenza di stupefacenti

Forse si potrebbe definirli errori di gioventù, i più intransigenti li classificheranno come comportamenti riprensibili da sanzionare in nome della legge.

Di fatto, in occasione di qualche compleanno ogni tanto gli amici di quella compagnia pescarese consumavano tutti insieme piccole quantità di droga: un po’ di fumo, qualche «striscia» di coca, qualche pasticca… si parla di piccole quantità che i giovani goliardi acquistavano in gruppo mettendoci un po’ di soldi ciascuno.

Si parla senz’altro di serate o feste un po’ «trasgressive», ma va detto che saranno state in tutto non più di una decina nell’arco di un paio d’anni e non vi è prova alcuna che sia mai accaduto nulla di veramente grave; tant’è che nemmeno in sede giudiziaria è stato accertato alcun fatto criminoso degno di nota, con l’unica eccezione che tratteremo più avanti.

In seguito (seconda metà del 1998) G.C., proprietario di quell’abitazione, si trasferisce in un’altra città per seguire un corso di sceneggiatura: i contatti fra i componenti di quella compagnia si diradano progressivamente fino ad esaurirsi.

Ecco dunque che quei divertimenti «sopra le righe» si concludono nel corso dell’anno 1998: l’ampio appartamento arredato non era più a disposizione e ognuno di quegli amici aveva scelto una propria strada.

È solo in seguito che parte l’inchiesta della magistratura, quando oramai quelle situazioni appartenevano già al passato.

I media parlarono di stupefacenti con titoli ad effetto, sicché tutti chiaramente pensarono allo spaccio, ma non fu così nemmeno in termini processuali: G.C. venne infatti condannato per «cessione di stupefacenti» che è ben diversa dallo «spaccio», anche perché non prevede un fine lucrativo.

Ma non solo: il fascicolo giudiziario dimostra che durante le varie perquisizioni a carico degli indagati non fu mai trovato nemmeno un singolo spinello; fatto, questo, che si può leggere come una conferma della tesi difensiva del «consumo di gruppo», ben lontano dalla «cessione» e ancor più dallo «spaccio». Tanto che l'avvocato di G.C. ebbe a commentare, ironizzando, che s'era trattato di un caso di «droga parlata».


L’intervento della magistratura e la «perizia» di don Aldo Buonaiuto: cherchez la femme!

Scavando nei ricordi di chi quella vicenda l’ha vissuta, si scopre che la denuncia da cui è partito tutto venne sporta da una ragazza che frequentava regolarmente quella casa nel periodo dei divertimenti «sopra le righe».

Una ragazza con cui almeno due frequentatori stabili di quella compagnia avevano avuto brevi relazioni che s'erano concluse in modo un po’ burrascoso.

Ed ecco svelato il «segreto di Pulcinella»: tutta la storia degli (inesistenti) «Angeli di Sodoma» deriva proprio da quella denuncia, una vendetta tardiva di una giovane donna respinta, che decide di trascinare in tribunale due suoi ex amanti quando le frequentazioni erano oramai interrotte già da un paio d’anni.

Persino l’idea, del tutto indiziaria, che si trattasse di una «setta» (come riportato nella «perizia» di don Aldo Buonaiuto) proviene da una raccolta di poesie che G.C. stava scrivendo ed era contenuta in una cartellina che gli fu sequestrata dagli inquirenti.

Di fatto, non è mai esistito alcun gruppo organizzato denominato «Angeli di Sodoma», nemmeno tacitamente.


La condanna penale per droga

Nel corso del processo, l’avvocato degli imputati (e in particolare di G.C., il principale accusato) ha sostenuto in tutti i gradi di giudizio la tesi secondo cui non solo non esisteva alcuno spaccio, ma nemmeno la «cessione di stupefacenti» dal momento che vi era stato caso mai un «consumo di gruppo» che, se moralmente può essere discutibile, sotto il profilo legale però non è illecito.

A quanto si capisce, però, la polizia aveva messo sotto torchio tutti i frequentatori di quella casa e tutti coloro che potevano avere qualcosa da riferire al riguardo, e – come è facilmente comprensibile – alcuni di loro, per trarsi d’impaccio senza conseguenze fornirono delle versioni «compatibili» con l’indagine in corso e utili per confermare che la droga la forniva G.C. gratuitamente. Un fatto che, di per sé, probabilmente oggigiorno non sarebbe nemmeno più sanzionabile in sede penale, ma che secondo le leggi allora in vigore condusse ad una condanna per «cessione di stupefacenti» per la quale in primo grado venne comminato il massimo della pena (6 anni + 1).


La perizia di don Aldo Buonaiuto era basata sul nulla?

Nel nostro blog abbiamo più volte sottolineato su che genere di «notizie» spesso si fondano le dichiarazioni degli anti-sette.

In realtà qualche elemento utile a sostenere la tesi di don Aldo Buonaiuto (prete cattolico arbitrariamente nominato consulente del Ministero dell’Interno) esisteva: nel corso delle indagini venne raccolto un vecchissimo teschio umano. Dalla nostra piccola indagine abbiamo scoperto che quel teschio era stato regalato a G.C. da alcuni amici che l’avevano trovato in un vecchio cimitero ormai in disuso e in completa rovina, in un paesino nei dintorni di Pescara (stando a chi vide quel camposanto, le tombe erano usurate dal tempo e le ossa addirittura affioravano dal terreno). Insomma, un regalo un po’ particolare per una persona con dei gusti (per così dire) atipici. D’altronde, secondo un antico adagio, «sui gusti non si discute».

Ma grazie alla «perizia» di don Buonaiuto e al clima di terrore generato dai media, quei semplici gusti divennero illeciti e si trasformarono in una condanna per «profanazione di tomba» e «sottrazione di parti di cadavere» (altri due anni con i quali si arriva al totale dei nove anni della sentenza di primo grado). Reati che, protestò G.C., egli non aveva mai commesso e per i quali l’unica «prova» fu quel teschio ricevuto in regalo.

Se è un crimine essere attratti dall’immaginario gotico, dall’horror e dall’occulto, ci si lasci dire che persone come Stephen King dovrebbero essere condannate all’ergastolo!


Produzione e diffusione di materiale pedopornografico

Anche di questo furono accusati gli «Angeli di Sodoma», ma pure qui c’è una verità molto semplice e lineare.

In quella compagnia di amicizie uno degli interessi condivisi era la fotografia, nelle sue diverse declinazioni fra le quali una certa passione era dedicata al nudo artistico. Si pensi al fatto che quei ragazzi erano sì adulti ma ancora piuttosto giovani, dunque l’approccio alla materia era sicuramente amatoriale. Amici e amiche che dunque di quando in quando posavano per fotografie che senz’altro un prete non può che condannare come «oscene»; se poi si tratta di don Aldo Buonaiuto, la cui intransigenza si traduce in feroce intolleranza, meglio si comprende come si è arrivati ad un’accusa tanto pesante.

Tuttavia, con grande scorno dei giustizialisti «anti-sette», semplicemente non c’era materiale pedopornografico nemmeno a cercarlo col lanternino, infatti quelle accuse caddero completamente nel vuoto già in primo grado per assoluta insussistenza del presunto fatto criminoso.

Ma intanto le accuse erano state formulate e sui media si erano letti titoli pruriginosi come «Riti satanici – giovani adescati nei locali» (Repubblica, 18 Febbraio 2003).


Allarmismo infondato e interpretazioni strumentali

In fin dei conti, quell’allarmismo risultò completamente infondato: la «setta», il «cannibalismo» e le «orge con adolescenti» furono fantasie senza costrutto. Tuttavia, certi titoli in cui si dava la notizia della pesante condanna di primo grado fecero pensare che ci fosse stato chissà quale narcotraffico.

Ma non solo: nella «perizia» di don Aldo Buonaiuto si parlava di un non meglio accertato «desiderio di uccidere un bambino» e di un appetito per la «carne di bambina cucinata». Non sono altro che un paio di frasi che vennero estrapolate dal proprio contesto e combinate con le intercettazioni telefoniche che furono fatte ai tempi, ricamate in modo artificioso da don Buonaiuto per avvalorare una presunta cattiveria nei confronti dei bambini. Anche in questo caso, prove concrete non ve n’erano: fu invece una macchinazione, e lo si comprende meglio leggendo le trascrizioni integrali (e ben diversamente comprensibili, se lette nella loro completezza).

Per esempio, in una di queste ci si imbatte nella seguente conversazione telefonica tra G.C. e l’amico G.D.C. – descritto, ai tempi, come il «braccio destro», si noti la terminologia che fu adoperata; si trattava semplicemente di due amici, ma li vollero dipingere come una specie di banda di delinquenti prima ancora che venissero processati. La scena si svolge in Giugno, G.D.C. stava a Catania e chiamava dalla spiaggia:

- G.D.C.: “Gia’, non ci crederai, sta passando un bambino ciccione bruttissimo tutto vestito di jeans. Cappellino di jeans, camicia di jeans, pantaloni di jeans e pure le scarpe di jeans.”

G.C.“Inguardabile! Da sparargli a vista!”

È ovviamente una battuta, tutt’al più un’uscita infelice se proprio si fosse costretti a commentarla, eppure è diventata la dimostrazione che vi era un sotteso «desiderio di uccidere un bambino», secondo la relazione del solerte don Aldo Buonaiuto. Eppure qualunque persona con un briciolo di raziocinio si renderebbe conto che si è trattato di una semplice, estemporanea boutade telefonica tra due amici e non dell’espressione di una volontà omicida.

Situazione simile per la faccenda del «cannibalismo»: furono stralci di conversazioni interpretate in modo tendenzioso.


Condanna ridotta, ma nel silenzio generale

Nel secondo grado di giudizio, la pena venne più che dimezzata. Ma ben si guardarono i giornali e le TV dal diffondere la notizia tanto quanto avevano strombazzato i roboanti titoloni nel corso dell’inchiesta. Solo un trafiletto su un giornale locale, da tutti gli altri un «silenzio assordante».

Nel frattempo, gli indiziati avevano dovuto vivere un inferno: anche coloro (tutti tranne uno) che furono completamente assolti dovettero sottostare alla gogna mediatica.

La pena definitiva per G.C., sebbene in secondo grado fosse stata ridotta, alla fine fu di quattro anni e tre mesi. A questi andava sottratto un anno che, in sede di indagine, aveva già espiato tra carcere e domiciliari. In galera, in fin dei conti, solo per delle feste trasgressive fra amici in casa sua.

Sofferenze, fra l’altro, che non terminano quando si esce dal carcere o quando la pena è estinta: ci sono dei postumi, c’è la difficoltà di ricostruire una vita normale, senza nemmeno contare le perdite economiche e la flagellazione del proprio nome, intaccato da accuse tanto infamanti quanto fasulle.

Accuse scaturite da una «perizia» commissionata (con soldi pubblici!) a don Aldo Buonaiuto, una sorta di «prete inquisitore» del terzo millennio che vorrebbe mandare al rogo tutti i seguaci di realtà religiose diverse dalla sua, quasi si fosse tornati nel tredicesimo secolo.

Se lo scandalo c’è, allora è quello dei gruppi «anti-sette» che continuano a cercare di costruire «casi» pompando delle notizie più o meno veritiere per invocare la reintroduzione del reato fascista di plagio.

Sebbene i fatti del recentissimo periodo non sembrino auspicare alcunché di buono, nondimeno ci auguriamo che un domani non troppo lontano questi soprusi possano cessare e la Repubblica Italiana torni ad essere il «libero Stato» in cui ognuno ha il diritto di avere i propri gusti e le proprie passioni, senza dover temere la perniciosa, inquisitoria persecuzione dei faccendieri «anti-sette».

sabato 24 marzo 2018

Contributo esterno: il caso di Mario Pianesi e la macrobiotica

Presentiamo il seguito del nostro primo post sull’avvilente caso di Mario Pianesi e della sua catena di punti vendita di prodotti e cucina macrobiotica.

Sebbene l’inchiesta sia in corso e la verità resti ancora tutta da accertare, i giornali e le TV aizzati dai (soliti) «anti-sette» hanno messo in atto un linciaggio mediatico violento e assordante.

Ecco una lettura controcorrente (e – lo ammettiamo – anche un poco satirica) di questi fatti.


giovedì 22 marzo 2018

Gli «anti-sette»: lamentele, incoerenza e intolleranza contro tutti

Come s’è già visto numerose volte in precedenza, il controverso mondo degli «anti-sette» è una sorta di miniera d’oro quando si tratta di ricercare discrepanze, discordanze e assurdità che spaziano dall’esilarante al grottesco.

Ultimamente, la propaganda mediatica «anti-sette» si è intensificata e sta raggiungendo livelli che rammentano inquietanti periodi storici e tragici eventi del passato.

Sebbene facciano della maldicenza il loro pane quotidiano, talvolta gli «anti-sette» mostrano persino una tracotanza tale da riuscire a lamentarsi per le critiche che subiscono o, peggio, per gli atteggiamenti propagandistici altrui.

Ecco un esempio. Qui una rappresentante del GRIS (il cattolicissimo «Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-Religiosa», già «Gruppo di Ricerca e Informazione sulle Sette») e amica della controversa SAS (la «Squadra Anti-Sette») Giovanna Ballestrino, si lagna perché Marcello Veneziani, giornalista e scrittore, ha avuto parole non del tutto compiacenti nei confronti di Papa Bergoglio e soprattutto ha travisato un suo discorso a proprio uso e consumo.


Lamentela più che comprensibile e giustificata, nel principio che esprime; nettamente meno comprensibile se arriva proprio da coloro che di tale espediente hanno fatto un modus operandi consolidato, quando si tratta di criticare e osteggiare i «nuovi movimenti religiosi».

Non solo: la Balestrino sembra addirittura comprendere quanto è vero che «le parole sono pietre», per citare un celeberrimo pensiero letterario.


Ma allora è logico domandarsi: perché quando oggetto delle critiche è il Santo Padre dei cattolici occorre misurare le parole, e invece quando ad essere presi di mira sono decine di migliaia di fedeli dei gruppi spirituali di minoranza allora tutto è «lecito», a cominciare dal turpiloquio?

Persino un seguace di Toni Occhiello come Luciano Madon, pur sempre mettendo in mostra la sua dabbenaggine con le solite dicerie trite e ritrite sulle «sette», si ritrova a dover fare dietro front quando a venire messa sotto torchio è una corrente di pensiero che incontra le sue simpatie. Nella fattispecie, il post in questione riportava un post fortemente critico nei confronti di Zecharia Sitchin, studioso azero che seppur deceduto nel 2010 è tuttora un nome di primissimo piano per i numerosi appassionati della cosiddetta «archeologia eretica» e delle teorie che mettono in collegamento gli UFO con la storia dell’antichità:


Insomma, se si è cultori della «archeologia eretica» si è autorizzati a «credere a ciò che si vuole»; se invece si è fedeli della Soka Gakkai, devoti di Sai Baba o cittadini di Damanhur, allora no, si è «manipolati» ed è giusto vedere il proprio credo dileggiato e messo alla berlina e la propria organizzazione calunniata con le accuse più raccapriccianti.

Questo è l’AIVS-pensiero, evidentemente, tenendo conto che Madon è un amicissimo di Toni Occhiello e un attivista della sua associazione.

E non è affatto strano, se si pensa che il presidente della consociata di AIVS, Luigi Corvaglia del CeSAP, addirittura sta cominciando a parlare di network commerciali come di «culti», e per lui (ben si sa) ogni culto è «distruttivo»:


Quindi se si vende Amway adesso tocca pure venire sospettati di essere dei terroristi (ma Corvaglia ha anche un ruolo come investigatore per l’Interpol, o parla solo per sentito dire?).

Esattamente come, se si è malati di tumore e si commette l’errore di cercare conforto in una disciplina «non convenzionale» come i Fiori di Bach, «naturalmente» il proprio decesso deve essere attribuito a quest’ultimo fattore e non alla tragica fatalità di una malattia dalla quale solo una data percentuale di pazienti riesce a guarire. Così pare sostenere Sonia Ghinelli del FAVIS, alleata di Corvaglia e soprattutto della sua stretta collaboratrice Lorita Tinelli:


La Tinelli, però, mentre da un lato spara a zero contro Mario Pianesi e il suo network di ristoranti macrobiotici, dall’altro promuove la nutrizione come terapia (sic!):


Probabilmente la Tinelli fa così perché ricerca un proprio tornaconto di carattere politico o in termini di popolarità.

A noi sembra solo di ravvisare la massima incoerenza, come di consueto del resto.

mercoledì 21 marzo 2018

La giornalista «anti-sette» Raffaella Pusceddu e il suo conflitto d’interessi

Abbiamo ampiamente parlato della deludente trasmissione televisiva «Presa diretta» (andata in onda su RAI 3 il 24 Febbraio scorso) e del clima di tendenziosità e di superficialità da cui ha tratto ispirazione.

Nel commentare i contenuti di quella trasmissione confutandone talune asserzioni sibilline, come noi e meglio di noi hanno fatto altri studiosi e ricercatori del settore (ne accennavamo all’inizio di questo post).

Tuttavia, vi è un ulteriore aspetto che sinora non è stato trattato, e di cui si è voluto anche dare un’anticipazione in un commento all’ottimo articolo di Camillo Maffia su «Agenzia Radicale» a proposito di «Presa Diretta».

Fra le reazioni a caldo sulla trasmissione, ve ne è stata una di Toni Occhiello che abbiamo voluto approfondire:


Abbiamo fatto qualche tentativo di verificare se realmente la sorella della giornalista fosse una devota del buddismo Soka Gakkai.

Sebbene non possiamo dire di aver raccolto notizie certe al 100%, riteniamo però di aver trovato degli indizi importanti in base ai quali poter ritenere che quell’indicazione sia veritiera: la sorella della giornalista si chiama Cristina Pusceddu e vive a Cagliari. Una foto pubblicata sul suo profilo Facebook in dicembre 2016 e tuttora disponibile anche ai visitatori «non amici» mostra una netta somiglianza con Raffaella, come si può notare qui di seguito.

(Teniamo a precisare che ci siamo limitati a riprendere soltanto informazioni apertamente e pubblicamente disponibili a chiunque su Facebook; tuttavia, qualora la signora Cristina dovesse dissentire da tale utilizzo, non avrebbe che da scriverci per comunicarcelo.)


L’appartenenza alla Soka Gakkai sembra confermata da un post di Ottobre 2014 relativo a un incontro pubblico tenutosi ad Arborea (OR), a un’ora di strada da Cagliari.

Tutto ciò evidenzia un clamoroso conflitto d’interesse della giornalista che ha realizzato il reportage: sua sorella fa parte di una delle associazioni religiose di cui si è occupata la trasmissione (che, lo ricordiamo, ha invocato il ripristino del controverso «reato di plagio» ai danni delle minoranze spirituali bollate come «culti distruttivi»).

Sebbene la Soka Gakkai sia stata certamente l’organizzazione meno infamata fra quelle altre prese di mira dal «servizio» della RAI (forse in ossequio al legame familiare?), nondimeno è stato riconosciuto da tutte le parti in gioco che l’orientamento ideologico seguito dalla trasmissione è di forte opposizione ai nuovi movimenti religiosi e porta avanti la campagna di allarmismo «anti-sette» indicando come «attendibili» i pareri di Lorita Tinelli, Luigi Corvaglia, Gianni Del Vecchio, ecc.

Addirittura, secondo Toni Occhiello, la Pusceddu avrebbe chiesto assistenza a lui e alla sua associazione (AIVS) per capire «come fare uscire la sorella dalla Soka Gakkai».

Un’ennesima, lapalissiana conferma che il servizio televisivo della RAI è profondamente viziato dal pregiudizio e dal rancore nei confronti dei movimenti religiosi «alternativi».

Ma non solo: che dire del comportamento da sciacallo di Toni Occhiello? Proprio così: costui, senza scrupolo morale alcuno, avrebbe «consegnato» ai boia televisivi una sua ex correligionaria, se la giornalista autrice del servizio non fosse stata proprio la sorella di quest’ultima e non l’avesse risparmiata. Poi, siccome il «massacro» mediatico non si è concretizzato con un sufficiente «bagno di sangue» come avrebbe voluto lui, non contento, Occhiello è passato a denigrare quegli stessi reporter con cui aveva tentato di collaborare.

D’altronde, che moralità ci si può aspettare da chi nei confronti di una corrente religiosa buddista usa pubblicamente parole del seguente tenore? (commento di febbraio 2017)


Raffaella Pusceddu avrà condiviso questo orientamento quando si era rivolta a Occhiello per avere «assistenza»?

domenica 18 marzo 2018

Il controverso «reato di plagio» e l’ignoranza degli «anti-sette»

Una decina di giorni fa, replicando in tema di «plagio» a un nostro pezzo con cui abbiamo voluto fare un po’ di chiarezza su cosa sia realmente il «lavaggio del cervello» e in quali contesti avvenga, Sonia Ghinelli del FAVIS ha pubblicato un post sulla sua pagina Facebook (sempre utilizzando l’anonimo e controverso profilo di Ethan Garbo Saint Germain) in cui ha messo in dubbio il fatto che le teorie «anti-sette» sulla «manipolazione mentale» abbiano incontrato un’opposizione accademia forte e sostanziale risultando infine screditate in più luoghi del mondo, a cominciare proprio dagli USA. Per motivare la propria asserzione, la Ghinelli ha condiviso un articolo trovato in Internet:


Per la cronaca, l’articolo è firmato da tale Chris Weller, un giovane giornalista che vive a New York e le cui competenze in tema non ci sono note.

Tuttavia, la Ghinelli fa cenno alle dichiarazioni di un professore di psichiatria (che curiosamente però non nomina) docente presso la Vanderbilt University, un ateneo sito in Nashville, nel Tennessee (America) e fondato nel 1873. Dunque, soprassedendo sull’omessa esplicitazione del nome, è lecito presumere che possa trattarsi di una figura qualificata e competente in materia, per lo meno limitatamente agli aspetti psicologici.

Così ci siamo presi la briga di leggere attentamente l’articolo proprio perché, contrariamente agli «anti-sette», noi e la maggior parte della gente siamo in grado di esercitare un’autocritica e di metterci in discussione; l’idea dunque è stata individuare eventuali spunti di riflessione che potessero fornire elementi anche differenti da quelli che avevamo prospettato.

Un esame obiettivo dell’articolo proposto da Sonia Ghinelli, tuttavia, ci ha fatto trarre conclusioni ben diverse dalle sue, che riteniamo possano essere state avventate (forse limitate dalla sola lettura del titolo?) oppure ostacolate dalla diversità linguistica (l’articolo è interamente in Inglese).

Il giornalista (Weller) esordisce con un breve excursus sul massacro di Jonestown, poi cerca di definire il «lavaggio del cervello» utilizzando quell’eccidio come chiave di lettura. Afferma infatti che «Jonestown fornisce prospettive sorprendenti dei meccanismi che possono provocare cambiamenti nel cervello e nel modo in cui quei cambiamenti possono verificarsi ogni giorno». Weller riporta quindi una citazione tratta dal libro «Lavaggio del cervello, la scienza del controllo del pensiero» (titolo originale: «Brainwashing: The Science of Thought Control») scritto dalla dott.ssa Kathleen Taylor, giornalista e scrittrice con un dottorato presso l’Università di Oxford, in cui si legge:

«Ciò che ritengo stia avvenendo è che le persone stanno adoperando tecniche di psicologia sociale che vengono usate in continuazione, mettendole però in atto in circostanze alquanto estreme. Tali tecniche sono talmente comuni che potrebbero apparire invisibili. La pubblicità e i venditori amano distrarre i clienti in modo tale da far loro focalizzare il proprio messaggio, ribadendo taluni enunciati più e più volte; inoltre (forse questa è l’azione più stringente) riempiono i clienti di dubbi riguardo alle loro passate decisioni. Tale principio resta valido con qualunque prodotto, che sia detersivo per i piatti o fondamentalismo religioso».

Sempre citando la dott.ssa Taylor, Weller spiega come il «lavaggio del cervello» possa venire inteso in due fondamentali accezioni: quello violento che viene praticato in ambito bellico (mediante la tortura, la privazione del cibo, ecc.), e quello non violento che viene messo in atto in modo furtivo: «Il primo è il lavaggio del cervello effettuato con la forza, reso noto dai campi di prigionia (…). Ma siccome ovviamente i pubblicitari non possono fare quel genere di cose, ciò che adoperano è quello che io chiamo il lavaggio del cervello tramite furtività».

A questo punto sembrerebbe di dover dare piena ragione a Sonia Ghinelli e al suo asserto secondo cui la «manipolazione mentale» è una pratica «scientificamente certificata». Ma così non è. Sopportiamo ancora un po’ e proseguiamo nella lettura.

È a questo punto che viene chiamato in causa il prof. William Bernet (docente presso la succitata Vanderbilt University), ossia colui che la Ghinelli menziona nel suo post. Ed è qui che casca l’asino, prima inciampando e poi con un sonoro tonfo.

Inciampa la Ghinelli anzitutto perché l’autore dell’articolo è il giovane Weller e non il titolato prof. Bernet, come lei dà a intendere nel post con cui sembra voler riassumere il tema concettuale del testo.

Casca poi clamorosamente perché le citazioni del prof. Bernet parlano di studi sui problemi psicologici legati ai divorzi e ai conflitti di natura familiare e coniugale che conducono alla «distruzione da parte dei genitori» nei confronti dei figli: «Direi che la sindrome di alienazione genitoriale è provocata dal lavaggio del cervello o indottrinamento del bambino. Devastato dal risentimento, il genitore alienante racconta al bambino quanto l’altro genitore sia terribile, insultandolo apertamente, impedendo che s’incontrino e qualche volta addirittura mentendo circa situazioni di abuso solo per accaparrarsi l’affido». Il che varrebbe a dire che la tanto strombazzata «manipolazione mentale» compiuta dalle «sette religiose» e dai «culti distruttivi» equivarrebbe né più né meno alle scenate dei genitori in lite che tentano di accattivarsi le simpatie dei figli un po’ per ripicca, un po’ per malizia e un po’ per istinto protettivo.

Ma noi non ci accontentiamo di registrare lo scivolone di Sonia Ghinelli, vogliamo accertarci di aver compreso bene il senso dell’articolo e di non esserci sbagliati; chissà mai che invece la Ghinelli avesse ragione.

Tutt’altro: il giovane collaboratore del Medical Daily (Weller) prosegue spiegando come la sindrome di alienazione genitoriale possa combinare «entrambe le forme di lavaggio del cervello menzionate dalla Taylor, il che rende alquanto arduo stabilire quando abbia luogo l’alienazione», anche perché «la linea di demarcazione fra un’attività di genitore condotta con emotività e un comportamento illecito è quasi impercettibile».

Tant’è che la dott.ssa Taylor finisce per concludere come l’analisi di tali fenomeni susciti non poche perplessità: «la manipolazione della psicologia di una persona è decisamente un’area di ambiguità nell’etica medica. A che livello è riprensibile colui che adotta il lavaggio del cervello sotto il profilo morale e legale? Il lavaggio del cervello scolpisce nuovi percorsi neurali nel cervello della vittima, ma quando quei percorsi si formino e quali siano maggiormente responsabili di comportamenti distruttivi sono misteri che la scienza è ancora ben lontana dall’aver risolto».

L’articolo chiude poi spiegando come nella società in cui viviamo vi è un continuo «lavaggio del cervello» inteso proprio come bombardamento costante di messaggi, proposte e indicazioni di natura principalmente pubblicitaria o ideologica che svolgono la medesima funzione (come la dott.ssa Taylor indicava inizialmente) della coercizione messa in atto nei campi di prigionia tanto quanto le scenate del marito che sparla della moglie di fronte ai figli; quell’invasione mediatica di informazioni produce nelle persone una sorta di «esaurimento, quando non propriamente una paralisi, nel momento in cui si deve prendere una decisione». Un fenomeno, però, che è del tutto normale e fisiologico per l’era «informatica» in cui viviamo, tanto che l’autore chiude citando ancora la dott.ssa Taylor: «A tutte queste cose (esaurimento, distrazione, spossatezza, tempo, pressioni) si può resistere, se lo si ritiene di qualche importanza; ma per la maggior parte delle persone e per la maggior parte del tempo, non lo si ritiene importante. Dunque, non lo è».

E questo, secondo la Ghinelli, sarebbe un articolo che dimostra come il «plagio» praticato nelle «sette» è una realtà riconosciuta dalla scienza? Delle due l’una: o non ha capito ciò che ha letto, oppure si è limitata a qualche scorsa superficiale per poi interpretare a proprio uso e consumo quanto ha condiviso. E non sarebbe affatto la prima volta...

Insomma, senza mezzi termini, anche questo è un caso di «fake news» propalate da una esponente «anti-sette».

D’altronde, i concetti espressi dalla dott.ssa Taylor e dal prof. Bernet sono del tutto in linea con quanto ha affermato recentemente un sacerdote cattolico, sociologo e studioso di religioni, il prof. Luigi Berzano proprio in risposta alle tendenziose domande della giornalista Raffaella Pusceddu: «Se il lavaggio del cervello [inteso nell’accezione di “manipolazione mentale” come interpretata dagli «anti-sette», N.d.R.] è un reato, tutto rischia di essere reato. I monasteri cattolici che hanno il noviziato attuano un anno che è chiaramente di grande limitazione delle libertà individuali, ma è di tipo formativo»:



Ne dobbiamo dunque concludere che, per l’ennesima volta, in quanto rappresentante del FAVIS Sonia Ghinelli si dimostra inattendibile e inaffidabile: l’antitesi del genere di figura che lo Stato dovrebbe considerare una fonte qualificata per prendere decisioni che influenzano le libertà personali.

venerdì 16 marzo 2018

Inquisizione «anti-sette»: il caso di Mario Pianesi

Pubblichiamo per intero un contributo esterno sottopostoci da uno nostro lettore e sostenitore fra i più affezionati.

Contributo che ha sicuramente il pregio di stimolare una riflessione seria e obiettiva.


mercoledì 14 marzo 2018

Intolleranza e repulsione: ecco la merceologia degli «anti-sette»

Come abbiamo più volte dimostrato in questo blog, gli «anti-sette» lavorano in continuazione per generare intolleranza, repulsione, ostilità e odio nei confronti dei movimenti religiosi «alternativi»; essi descrivono il proprio operato come «informazione di pubblica utilità» e tale da «mettere in guardia» e «sensibilizzare» a proposito di quello che essi descrivono un «problema sociale» o un «pericolo».

La libertà di professare un proprio credo diverso da quello della maggioranza e di proclamarlo e diffonderlo attivamente, dunque, sembra da loro considerato qualcosa che deve essere deriso, dileggiato, criticato e costantemente messo in discussione.

Il risultato della loro continua opera di «informazione» tendenziosa e ostile (quando non propriamente fuorviante o falsa), è né più né meno il timore nei confronti di quei movimenti religiosi e la conseguente intolleranza.

Le pagine Facebook di Lorita Tinelli, Sonia Ghinelli, Luigi Corvaglia, Maurizio Alessandrini, ecc., infatti traboccano di post di quel genere e sono costellate di commenti di utenti che li seguono e che vengono influenzati in tal senso dalla loro propaganda.

Commenti come questo, scritto da una militante «anti-sette» come Mimma Manganiello:


Aizzata dalla Ghinelli contro gli Evangelici, la Manganiello finisce per generalizzare contro tutte le religioni.

D’altronde, come si è visto in più di un post (ad esempio qui, qui, qui e qui) il costante lavorio di propaganda da parte degli «anti-sette» finisce per infangare davvero tutte le religioni, persino quelle maggioritarie, non solo le tanto detestate «sette» come loro amano chiamarle con una terminologia ormai ampiamente sconfessata dal mondo accademico.

Non è strano, infatti, che la stessa Ghinelli abbia definito il proprio impegno come una «guerra alle sette». Una dichiarazione d'intenti dalla belligeranza alquanto esplicita.

Una lotta, la sua, che in realtà finisce per essere contro ogni religione e che spesso prende di mira il clero cattolico in una maniera consona forse più al tifo da stadio che all’ambiente accademico con cui pretenderebbe di confrontarsi:


Tanto è vero che fra i molti commenti istigati da Ghinelli e compari, si leggono addirittura delle uscite infelici come quella che segue:


In poche parole la Russia, contro cui mezzo mondo accademico sta protestando per i gravi episodi di discriminazione religiosa in ambito giudiziario e sociale, sarebbe «all’avanguardia nella prevenzione». Un po’ come dire che la propaganda studiata e messa in atto da Joseph Goebbels fu un saggio piano di «prevenzione» rispetto al rischio di «contaminazione della razza ariana».

Ma fossero soltanto i commenti su Facebook l’esito del loro operato, forse il fenomeno non sarebbe così preoccupante.

Al contrario, proprio come nel caso della Russia cui abbiamo appena accennato, quella continua produzione di onde di intolleranza genera alla fine uno stato di allarmismo e tensione in cui tacciare questa o quella fazione avversa di essere una «setta pericolosa» è ormai all’ordine del giorno, sembra essere diventata una «moda». Basta sfogliare le pagine dei giornali soprattutto nel periodo pre-elettorale (ma il trend prosegue tuttora) per rendersene conto.

Lo stigma nei confronti delle «sette», dunque, sta diventando un ottimo strumento per isolare e ghettizzare avversari nella politica, nello sport e in altri ambiti.

Il punto di arrivo è purtroppo la persecuzione giudiziaria di persone innocenti (con la certezza di rovinarne l’esistenza per anni, se non per sempre) come nel caso degli inesistenti «Angeli di Sodoma»), la distruzione di nuclei familiari a causa della disarmonia e dei contrasti sobillati dalla pressione mediatica contro i presunti «culti distruttivi», la …

E qual è lo scopo finale di un tanto discutibile modus operandi?

Ce lo esemplifica molto bene Lorita Tinelli con un paio di commenti ad un post di alcuni giorni fa in cui fa ironia sul caso di Paola Catanzaro (alias Sveva Cardinale):


Anzitutto l’assimilazione di un santone con un attore, quasi a voler dare a intendere che il comportamento di ogni leader religioso debba essere improntato alla finzione e all’inganno. Un’opinione che molto dice sulla sua considerazione ostile rispetto alla spiritualità e alla trascendenza.

Ma l’intenzione lucrativa che resta sottesa allo specioso operato della psicologa pugliese «anti-sette» trapela da quell’ultimo commento: «chi si reca da simili personaggi è in un grande stato di bisogno». Bisogno di che cosa? Di diventare un suo «paziente» e di pagarla profumatamente per venire «curato»?

È sempre più chiaro il progetto degli «anti-sette»: creare una clientela generando nella gente la convinzione che i fedeli dei movimenti religiosi o dei gruppi spirituali e filosofici denigrati e descritti come «distruttivi» o «pericolosi» siano «malati» o abbiano «problemi psicologici» o siano «a rischio di subire manipolazione mentale» e quindi debbano ricevere questo o quel trattamento o seguire il tale o talaltro percorso di analisi con figure «specializzate» come Lorita Tinelli, Luigi Corvaglia, Patrizia Santovecchi, ecc.

In ultima analisi, è un mero tentativo di generare o mantenere un business e chiunque sembri opporsi ad esso deve venire spazzato via, poco importa se è un movimento religioso, un esperto di religioni o un critico indipendente.

martedì 13 marzo 2018

Aggiornamento breve - AIVS e Toni Occhiello, «anti-sette» sempre più business

Si era già detto in un precedente post della squallida questua messa in atto tramite Facebook da Toni Occhiello nei confronti degli utenti che si mostrano interessati ai contenuti diffuso dalla pagina di AIVS e delle diverse pagine infamanti nei confronti della Soka Gakkai.

A giudicare dagli sviluppi degli ultimi giorni, non si può che notare un accentuarsi di tale attività che, a poco a poco, assume sempre più i tratti del business.

Come in ogni attività commerciale, Toni Occhiello e i suoi tre o quattro «fedelissimi» mettono in promozione alcuni post su Facebook per pubblicizzare AIVS, come si è riferito precedentemente e come si può notare anche qui con un post uscito la scorsa settimana:


Chiaramente la réclame attira persone sulle loro pagine e richieste di inserimento nel loro gruppo chiuso, come avviene normalmente per qualsiasi pagina Facebook i cui gestori desiderano aumentare il «parco clienti».

Una volta nel recinto, alla prima occasione, gli utenti ricevono richieste di iscriversi (a titolo oneroso, ossia pagando) all’associazione; richieste che vengono propinate in modo più o meno accattivante, come si è visto in precedenza e come vediamo nuovamente qui nei commenti a questo post del 24 Febbraio scorso:


Ma la raccolta fondi di AIVS non si ferma qui: evidentemente dev’essere stato «fiutato il filone», se Toni Occhiello riesce addirittura a inventarsi un «Gold Club» (con relativo tesseramento) stile «carta fedeltà» del supermercato.

Eccone l’annuncio, che è proprio di ieri:


Con un po’ di ironia, si potrebbe dire che manca solo la «raccolta punti» per gli «omaggi AIVS».

Sfortunatamente, passata l’ironia, si può solo constatare quali sono i «prodotti» che AIVS «mette in vendita»:


«Testimonianze» anonime, prive di un contraddittorio serio e coscienzioso, probabilmente nemmeno sottoposte a un vaglio per accertarne l’attendibilità; storie che, per quanto ne può sapere un ignaro spettatore, potrebbero anche essere inventate di sana pianta, tanto più che sono alquanto scarne in termini di circostanze, nomi e fatti precisi.

Ecco la «merce di scambio» di AIVS e degli «anti-sette».

sabato 10 marzo 2018

Gli «anti-sette» e l’informazione «selettiva» e tendenziosa: Dhamma Atala

In questo blog affrontiamo spesso il carattere della (pseudo) informazione portata avanti dagli «anti-sette» con il loro operato tendenzioso; rendiamo noto il modo continuo e sistematico in cui cercano di generare un’immagine di pericolo e di tensione rispetto ai fenomeni religiosi minoritari o di frangia o ai movimenti spirituali più «discussi».

D’altronde, gli stessi «anti-sette» sovente lamentano che chi invece (come noi) tende a difendere la libertà di culto (peraltro sancita dalla Costituzione, checché loro ne dicano) tende anche a dare poco risalto alle notizie meno favorevoli a questo o quel movimento.

Ammesso e non concesso che le cose stiano in questi termini, il guaio è che fin troppo spesso le «notizie» propalate dagli «anti-sette» sono delle pure e semplici «fake news», oppure si tratta di fatti veri per una minima percentuale ma per il resto «condimenti» o «ricami» che replicano semplicemente le solite roboanti dicerie da comari di paese.

Dal canto nostro, siamo del semplice e lineare parere che laddove vengono commessi degli illeciti essi debbano venire sanzionati dalla giustizia con gli strumenti messi a disposizione della legge, senza alcun favoritismo e con equità, nei confronti di chi la magistratura accerta averli posti in essere. Esattamente come riferivamo nel post sul caso del giovane congolese macchiatosi di un turpe delitto. Che poi gli «anti-sette» sfruttino a proprio uso e consumo l’onda emotiva legata a certi delitti, è esattamente ciò che riteniamo ricada nella categoria della becera strumentalizzazione.

Ma lasciateci per una volta ribaltare quella concezione, a nostro avviso strampalato, che per «fare informazione» si debba a tutti i costi ricorrere alla «cronaca nera».

Ci siamo imbattuti in un interessante e curioso articolo che racconta l’esperienza di una fisioterapista 26enne di Roma, felice di aver sperimentato (e di raccontare) alcuni giorni di eremitaggio presso il centro «Dhamma Atala» di Lutirano (Firenze), gestito dall’associazione «Vipassana Italia» che pratica l’omonimo metodo di meditazione, descritta come un’antica tecnica indiana.

Il resoconto si può leggere integralmente qui.

Ci domandiamo: perché gli «anti-sette» non ne parlano?

Perché non menzionano mai e poi mai alcuna delle innumerevoli manifestazioni di gratitudine da parte dei fedeli di questo o quel movimento?

La Soka Gakkai, per esempio, conta più di 80mila associati solo in Italia e la stragrande maggioranza di loro (migliaia, dunque) sarebbe pronto a dichiararsi apertamente contento della fede che professa, come dimostrano i numerosi commenti (pubblici) che si trovano qua e là nella rete. Lo stesso vale per i Testimoni di Geova che contano oltre 250mila fedeli, per non parlare di gruppi dai rapporti ponderali più disparati, dai Sikh a Scientology e dai Baha’i alla Universal Peace Federation (Chiesa del Reverendo Moon). Quanti di loro sono felici di professare quelle fedi e quanti invece sono gli apostati? Le proporzioni sono nettamente a favore dei primi.

E allora perché gli «anti-sette» si limitano a pubblicare, ritrasmettere e diffondere solo ed esclusivamente notizie negative sul conto dei nuovi movimenti religiosi? E questo non solo quando quelle notizie sembrano avere una parvenza di fondamento, ma anche e soprattutto quando si basano su meri sospetti.

Come questo post di Sonia Ghinelli del FAVIS, in cui si parla di «sospetti» piuttosto che di «fatti concreti»:


La domanda, forse destinata a rimanere senza una risposta, quindi, è: perché?

venerdì 9 marzo 2018

L’intolleranza degli «anti-sette» è anche «politica»: il caso di Tiziana Santaniello

Si era già accennato in un precedente post ad uno degli innumerevoli casi di discriminazione da parte degli «anti-sette»; questa volta si potrebbe addirittura ipotizzare un fine di strumentalizzazione politica, dato che l’episodio si colloca due settimane prima dalle ultime elezioni per il nuovo governo (4 Marzo scorso).

Ad essere presa di mira, questa volta, è stata Tiziana Santaniello esponente politica e candidata al senato nel collegio uninominale di Milano 2 per il Movimento 5 Stelle che (come è noto) ha poi stravinto le consultazioni elettorali in buona parte del paese. La Santaniello non è stata poi eletta, tuttavia ha raccolto poco meno di 55mila voti pari al 19 per cento delle preferenze.

Il 20 di Febbraio, a seguito di un articolo di Repubblica che critica aspramente la Santaniello per la sua profonda credenza e partecipazione ad una disciplina di meditazione denominata Sahaja Yoga parte la relativa macchina del fango in completo stile «anti-sette», tanto che Lorita Tinelli non manca di diffonderla al suo stuolo di seguaci mediante l’immancabile post su Facebook:


L’articolo riproposto dalla Tinelli non quello di Repubblica ma uno successivo, tratto da Next Quotidiano, che però sostanzialmente riprende l’originale e addirittura cerca di sostanziarne una delle principali accuse, cioè che l’associazione della Santaniello proponga «la cura del cancro o
dell’AIDS attraverso la meditazione».

Sfortunatamente, si tratta dell’ennesimo caso di «fake news» di stampo «anti-sette», dal momento che non vi è alcuna simile asserzione, nemmeno per allusioni, sul sito istituzionale di Sahaja Yoga. Tant’è che del caso si è occupato anche il sito «Bufale un tanto al chilo» confermando appieno che l’associazione della Santaniello non si è mai spinta a formulare teorie di alcun genere a proposito della cura del cancro. L’unico elemento che possa dare una qualche forma di giustificazione a un’accusa tanto grave da parte di Repubblica e degli «anti-sette», semmai, è che in India (paese che, ça va sans dire, ha cultura e tradizioni radicalmente differenti dalle nostre) esponenti di spicco di quel movimento hanno formulato ipotesi più azzardate in quel senso.

Ma allora perché il giornalista di Repubblica, Daniele Autieri, si spinge ad affermare un’esponente politica emergente di propugnare «terapie» abusive dichiarando falsamente: «si legge sul sito del Sahaja, la cura del cancro o dell’Aids attraverso la meditazione»?

La matrice «anti-sette» è lampante e nemmeno questa volta è casuale.

Infatti, con una semplice ricerca in Internet si può trovare un articolo di Dicembre 2013 (guarda caso) proprio di Lorita Tinelli, nel quale si legge che il Sahaja Yoga «sostiene quindi di curare tutte le malattie (compreso l’AIDS e il cancro)». Praticamente la stessa frase del giornalista di Repubblica.

Anche la meditazione Yoga, quindi, è nel mirino del CeSAP, evidentemente percepita come una pratica «concorrente» alle sedute di analisi psicologica da pagarsi lautamente.

Eppure è semplicemente una mera falsità il fatto che Sahaja Yoga affermi quanto viene sostenuto dalla Tinelli, come si può ben vedere sul sito istituzionale di Sahaja Yoga. Si legga con obiettività: «I benefici della meditazione sahaj sono stati riscontrati da numerosi studi medico-scientifici. In particolare, le evidenze sono state notevoli su alcune malattie psicosomatiche, dall’asma all’ipertensione, dalla sindrome da deficit di attenzione (A.D.H.D.) alla depressione e alla menopausa». Qui parla di benefici correlati, altro che «terapie»!

Ecco dunque l’ennesimo caso di «fake news» propiziate dagli «anti-sette» e diffuse dai loro «megafoni» giornalistici.