sabato 10 marzo 2018

Gli «anti-sette» e l’informazione «selettiva» e tendenziosa: Dhamma Atala

In questo blog affrontiamo spesso il carattere della (pseudo) informazione portata avanti dagli «anti-sette» con il loro operato tendenzioso; rendiamo noto il modo continuo e sistematico in cui cercano di generare un’immagine di pericolo e di tensione rispetto ai fenomeni religiosi minoritari o di frangia o ai movimenti spirituali più «discussi».

D’altronde, gli stessi «anti-sette» sovente lamentano che chi invece (come noi) tende a difendere la libertà di culto (peraltro sancita dalla Costituzione, checché loro ne dicano) tende anche a dare poco risalto alle notizie meno favorevoli a questo o quel movimento.

Ammesso e non concesso che le cose stiano in questi termini, il guaio è che fin troppo spesso le «notizie» propalate dagli «anti-sette» sono delle pure e semplici «fake news», oppure si tratta di fatti veri per una minima percentuale ma per il resto «condimenti» o «ricami» che replicano semplicemente le solite roboanti dicerie da comari di paese.

Dal canto nostro, siamo del semplice e lineare parere che laddove vengono commessi degli illeciti essi debbano venire sanzionati dalla giustizia con gli strumenti messi a disposizione della legge, senza alcun favoritismo e con equità, nei confronti di chi la magistratura accerta averli posti in essere. Esattamente come riferivamo nel post sul caso del giovane congolese macchiatosi di un turpe delitto. Che poi gli «anti-sette» sfruttino a proprio uso e consumo l’onda emotiva legata a certi delitti, è esattamente ciò che riteniamo ricada nella categoria della becera strumentalizzazione.

Ma lasciateci per una volta ribaltare quella concezione, a nostro avviso strampalato, che per «fare informazione» si debba a tutti i costi ricorrere alla «cronaca nera».

Ci siamo imbattuti in un interessante e curioso articolo che racconta l’esperienza di una fisioterapista 26enne di Roma, felice di aver sperimentato (e di raccontare) alcuni giorni di eremitaggio presso il centro «Dhamma Atala» di Lutirano (Firenze), gestito dall’associazione «Vipassana Italia» che pratica l’omonimo metodo di meditazione, descritta come un’antica tecnica indiana.

Il resoconto si può leggere integralmente qui.

Ci domandiamo: perché gli «anti-sette» non ne parlano?

Perché non menzionano mai e poi mai alcuna delle innumerevoli manifestazioni di gratitudine da parte dei fedeli di questo o quel movimento?

La Soka Gakkai, per esempio, conta più di 80mila associati solo in Italia e la stragrande maggioranza di loro (migliaia, dunque) sarebbe pronto a dichiararsi apertamente contento della fede che professa, come dimostrano i numerosi commenti (pubblici) che si trovano qua e là nella rete. Lo stesso vale per i Testimoni di Geova che contano oltre 250mila fedeli, per non parlare di gruppi dai rapporti ponderali più disparati, dai Sikh a Scientology e dai Baha’i alla Universal Peace Federation (Chiesa del Reverendo Moon). Quanti di loro sono felici di professare quelle fedi e quanti invece sono gli apostati? Le proporzioni sono nettamente a favore dei primi.

E allora perché gli «anti-sette» si limitano a pubblicare, ritrasmettere e diffondere solo ed esclusivamente notizie negative sul conto dei nuovi movimenti religiosi? E questo non solo quando quelle notizie sembrano avere una parvenza di fondamento, ma anche e soprattutto quando si basano su meri sospetti.

Come questo post di Sonia Ghinelli del FAVIS, in cui si parla di «sospetti» piuttosto che di «fatti concreti»:


La domanda, forse destinata a rimanere senza una risposta, quindi, è: perché?

Nessun commento:

Posta un commento