martedì 31 luglio 2018

Gli «anti-sette» e l’estremismo pseudo-cattolico

«Ama il prossimo tuo come te stesso»: questa la via chiaramente indicata da Gesù Cristo a chi gli domandava cosa fare di buono per ottenere un domani la vita eterna, come ben illustra il Catechismo della Chiesa Cattolica e come, peraltro, è insegnato anche in altre realtà cristiane non cattoliche.

A quanto pare, vi è però certa parte della Chiesa, una sorta di «scheggia impazzita» una frangia che qui definiamo pseudo-cattolica, la quale non sembra voler aderire a quel basilare, fondamentale principio cardine dell’intera dottrina etica della religione mondiale maggioritaria. Non sembra volervi aderire, o forse vorrebbe aderirvi solo a fasi alterne o quando più fa comodo: se «il prossimo tuo» è un benpensante che s’incontra in chiesa la domenica, allora è degno del nostro amore; se invece è un signore in giacca e cravatta che, assieme ad un compagno, sta proclamando e predicando una dottrina cristiana di corrente diversa, allora non solo va odiato, ma non è neppure degno del nostro rispetto; anzi, va additato a guisa di cancro di questa società, va tenuto a distanza dai bambini, va segnalato come pericoloso; tutto sommato, bene fa il governo russo a dichiararlo «estremista».

L’evidente sarcasmo dell’enunciato appena esteso è forse un poco forte, ma giustificato: nel nostro blog abbiamo documentato (e continueremo a documentare) gli episodi di intolleranza e di incipiente (o concreta) discriminazione messi in atto dai militanti «anti-sette» (cattolici, o atei che siano, in tonaca o in uniforme oppure in abiti civili) in tutta la penisola.

E quest’oggi accendiamo i riflettori su un’altra esponente «anti-sette», già citata nella nostra pagina riepilogativa, Elena Melis del GRIS di Rimini.


Quarantaseienne, nata a Fidenza (PC) anche se di famiglia sarda, iscritta da Febbraio 2001 come psicoterapeuta all’albo degli psicologi di Cagliari, Elena Melis è attiva da diversi anni nel GRIS di Rimini e si è personalmente occupata di organizzare alcuni convegni all’insegna della più intransigente chiusura contro tutto ciò che non è la stretta ortodossia cattolica: teorie ufologiche, satanismo, movimenti religiosi alternativi, ecc.


Di nuovo, una psicologa invade del tutto indebitamente (in quanto priva di qualifiche concrete nell’ambito della sociologia, della teologia o della religione) il campo della spiritualità per lanciare sterili se non dannosi allarmi sociali, come questo di qualche mese fa:


Certo, è la solita propaganda «anti-sette» e questo è lampante dalle modalità con cui viene descritto e reclamizzato lo «scoop» (o presunto tale) dalla rivista milanese «cattolica senza aggettivi, cattolica e basta».

Quello che stona gravemente, più di una «stecca» di Andrea Bocelli, è il fatto che sia proprio una rivista dichiaratamente così «cattolica» a prestarsi ad una tanto superficiale, miope e dannosa campagna. Non si dimentichi l’origine del vocabolo stesso «cattolico» che sta a significare «universale».

Finché a parlare di «sette distruttive» che rappresentano «una vera emergenza sociale ed educativa» e «un fenomeno sempre più pericoloso» sono gruppi e militanti apertamente atei come quelli di CeSAP, FAVIS o AIVS, un qualche senso lo può avere: d’altronde, come si è visto più e più volte, costoro vorrebbero eliminare tutte le religioni. Ma se lo fanno dei cattolici come la Melis, membro del direttivo nazionale del GRIS, non si può non ravvisare una profonda ipocrisia.

Quanto è coerente invocare «aiuto alla chiesa che soffre» per «sostenere la chiesa cattolica oppressa e perseguitata in tutto il mondo», foraggiare chi lavora anni e anni per promuovere la «libertà religiosa» e poi covare nel proprio seno una scheggia impazzita che sistematicamente istiga odio verso le altre religioni e verso la spiritualità in generale?

Esponenti «cattolici» (o pseudo tali) come la qui descritta Melis, come Giuseppe Bisetto o come don Aldo Buonaiuto presentano delle inquietanti somiglianze con i loro predecessori che per secoli hanno denigrato e discriminato gli ebrei, salvo poi sostenere di essere contrari al nazismo e alla shoah. Come definire ciò se non con il termine ipocrisia, o colpevole e perniciosa ipocrisia?

Per converso, vediamo una manifestazione di reale coraggio e di profonda onestà intellettuale in minoranze gravemente perseguitate come la Chiesa di Dio Onnipotente (di cui abbiamo già accennato in questo nostro post):


C’è da augurarsi che la Chiesa metta in atto un’adeguata riforma per adeguare ogni suo organismo agli insegnamenti originari del Cristo.

sabato 28 luglio 2018

Odio «anti-sette» e «hate speech»: cosa dicono le normative (europee e non)

Abbiamo sovente denunciato dalle pagine di questo blog l’opera costante e sistematica di offesa e discriminazione ai danni dei gruppi religiosi di minoranza da parte delle associazioni «anti-sette» come FAVIS, CeSAP e ultimamente soprattutto AIVS.

In molte occasioni abbiamo messo in luce come l’operato di AIVS (e degli esponenti «anti-sette» della loro rete) sia non solo evidentemente riprensibile sotto il profilo morale e deontologico e pure del buon senso, ma di frequente anche ai limiti del lecito quando non chiaramente delinquenziale.

Sovente i post su Facebook, gli articoli di giornale o le dichiarazioni rese in TV o via Internet dagli esponenti «anti-sette» assumono le caratteristiche di quello che nella normativa europea ed internazionale viene da tempo classificato come «hate speech», espressione inglese che in italiano vale per «discorso di odio» o «linguaggio di odio».

Volendo meglio esemplificare e dettagliare le ragioni per cui esprimiamo tali giudizi, prendiamo spunto da un’ottima sintesi della normativa in tema di «hate speech» pubblicata una decina di giorni fa da «Agenda Digitale» (una testata online con sede a Milano) e scritta dalla prof.ssa Maria Romana Allegri, docente di diritto pubblico, informazione e comunicazione presso l’università di Roma La Sapienza.

Anzitutto occorre definire il significato legale del vocabolo «hate speech»: su questo fa fede una raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 30 ottobre 1997, secondo la quale «nel termine “hate speech” si intende raccogliere tutte quelle forme di espressione che diffondano, incoraggino, promuovano o giustifichino il disprezzo razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio fondate sull’intolleranza, fra cui l’intolleranza espressa mediante un nazionalismo aggressivo e l’etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità nei confronti delle minoranze, dei migranti e delle persone di origine straniera».

Facilmente ci sovvengono esempi di tal genere, se pensiamo alle cattiverie anti-nipponiche di Toni Occhiello e dei suoi accoliti, o alle affermazioni evidentemente razziste nei confronti di Rom e Sinti.


Ma proseguiamo la nostra breve trattazione sulla normativa in vigore.

La definizione che abbiamo riportato appena prima è divenuta in seguito la base teorica per diversi altri provvedimenti di diritto internazionale. Si tenga conto che nel 1997 la situazione di Internet era alquanto differente da quella attuale, Facebook era ancora ben lontano dal lancio e la diffusione delle discussioni online era un fenomeno del tutto in embrione.

Alcuni anni più tardi, sebbene i «social network» fossero ancora solo marginalmente di utilizzo comune (ai tempi il più popolare era indubbiamente Myspace ma a partire dall’anno seguente sarebbe stato un po’ alla volta spazzato via dall’avvento di Facebook), tuttavia i forum e i gruppi di discussione erano una realtà ormai consolidata, mentre nei paesi più all’avanguardia erano di uso comune già da una decina d’anni.

In gennaio 2003 a Strasburgo vide così la luce la «Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica»; con questa, gli Stati aderenti si obbligavano ad adottare sanzioni penali per punire la diffusione di materiale razzista e xenofobo attraverso i sistemi informatici, fra cui minacce e insulti, nonché la negazione, la minimizzazione, l’approvazione o la giustificazione di crimini di genocidio o di crimini contro l’umanità.

La Convenzione (firmata anche dall’Italia) afferma chiaramente che ogni firmatario ha il dovere di «adottare provvedimenti legislativi e di altro genere al fine di qualificare come illeciti di natura criminale (secondo i rispettivi ordinamenti), laddove commessi deliberatamente e senza giusta causa, le seguenti condotte: (…) insultare pubblicamente, per mezzo di un sistema computerizzato, (i) altre persone a causa della loro appartenenza ad un gruppo che si distingue per razza, colore, discendenza od origine etnica o nazionale, o per religione (…); oppure (ii) un gruppo di persone che si distingue per una qualunque di queste stesse caratteristiche».

D’altronde, il divieto di ingiusta discriminazione è un principio giuridicamente vincolante, sancito oggi dall’art. 21 della «Carta dei diritti fondamentali», secondo cui «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale».

Si badi bene che fra le caratteristiche così tutelate dalla Carta dei diritti esistono anche le  «convinzioni personali», fatto assai lungimirante da parte dell’estensore di quel documento, poiché esclude a priori l’alibi (peraltro menzognero oltre che profondamente subdolo e maligno) secondo cui i «movimenti religiosi alternativi» non sarebbero da considerare «religioni propriamente dette» ma solo «gruppi di serie B»; alibi spesso accampato dagli «anti-sette».

Anche la direttiva 2000/43/CE del Consiglio d’Europa, del 29 giugno 2000, proclamava il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

Similmente il Parlamento Europeo, con una risoluzione approvata il 14 marzo 2013, ha evidenziato l’esigenza di una revisione della decisione-quadro 2008/913/Gai, in modo da includervi anche le manifestazioni di antisemitismo, intolleranza religiosa, antiziganismo, omofobia e transfobia.

Tutto ciò si rende assolutamente necessario perché, come ben riassume la prof.ssa Allegri in un conciso passaggio del suo articolo: «È indiscutibile che l’ambiente digitale – e in particolare quello dei social network – abbia un potere di diffusione e di pubblicità dell’odio ben maggiore rispetto ai media tradizionali, così come lo è il fatto che l’odio, una volta immesso in Rete, abbia una notevole capacità di persistenza e di resistenza ai tentativi di occultamento dei messaggi offensivi».

Persino l’UNESCO è dovuta intervenire, con un documento di settanta pagine, sulla medesima falsariga.

Va ricordato (sempre con prof.ssa Allegri) che «la Convenzione Europea per i Diritti Umani giustifica talune limitazioni della libertà di espressione, laddove necessarie allo sviluppo di una società democratica e vieta in via generale che l’esercizio di qualsiasi diritto possa tradursi nell’eccessiva compressione dei diritti altrui». In altri termini, è ovvio che non si può limitare il diritto di espressione, in nessun modo (come spesso tentano di fare gli «anti-sette»); le critiche ai movimenti religiosi non possono in alcun modo essere tacitate.

Ma il limite risulta ben chiaro nelle definizioni riportate prima e promulgate dalle istituzioni europee: quando si mettono assieme pagine, siti e gruppi Facebook dedicati a istigare all’odio, a violare la privacy, o a denigrare movimenti religiosi tanto quanto intere etnie (come sopra), allora il confine fra la libera espressione di un disagio personale e l’incitamento alla violenza è stato nettamente travalicato.

Sono dunque legittimati ad osteggiare in continuazione le minoranze religiose i facinorosi di AIVS o i sedicenti «esperti» di CeSAP e FAVIS, espressione della sigla europea FECRIS e referenti privilegiati della squadra «anti-sette» SAS?

È lecito che essi continuino incessantemente ad offenderle e a deriderle?

Stando alle normative qui presentate, la risposta a queste domande è un «no» risoluto.

mercoledì 25 luglio 2018

Gli «anti-sette» tentano un’improbabile ritirata strategica?

Osservando le reazioni degli «anti-sette» e i comportamenti che adottano in conseguenza del lavoro che svolgiamo con questo blog, ci rendiamo conto di quanto sia efficace la nostra opera di smascheramento e di quanto sia indispensabile riaffermare costantemente i principi fissati dai diritti umani fondamentali come la libertà di pensiero e di espressione e di religione, coltivati nel solco della legalità e del rispetto.

Un’opera efficace, a nostro avviso, poiché questo blog e le sue attività correlate sono diventate qualcosa che gli «anti-sette» possono solo tentare - senza riuscirvi - di passare sotto silenzio o possono caso mai fingere di ignorare; in realtà, costoro sono in grande apprensione e tensione a causa di questo blog, poiché se molto sinora vi è stato da dire e da portare alla luce, molto ancora resta da trattare per completare il quadro e per ripristinare un po’ di giustizia per lo meno sul piano intellettuale. Chissà che poi, un domani, i comportamenti illeciti degli «anti-sette» non vengano anche sanzionati in sede giudiziaria.

Già da qualche mese abbiamo captato degli indizi di un possibile cambio di direzione da parte del fronte militante di coloro che contrastano i «nuovi movimenti religiosi». Ma una decina di giorni fa ne abbiamo raccolto un segnale forte e chiaro, proprio nell’articolo di «Famiglia Cristiana» di cui abbiamo discusso qui (e sul quale il nostro Mario Casini ha cercato di lasciare un commento, venendo ovviamente censurato dall’attento controllo di regime):


Quell’articolo non solo era discutibile perché gratuitamente allarmistico e per l’indebita concessione di visibilità ad una figura controversa come don Aldo Buonaiuto. C’è un’altra ragione.

Sembra infatti essere altresì il segnale di una sorta di «ritirata strategica»: a quanto pare Buonaiuto, il prete inquisitore, si sta scontrando con la potenza dei diritti costituzionalmente garantiti e dell’aumento dei consensi in favore di coloro che egli prende di mira.

Forse anche a causa dei guai cui deve far fronte in casa propria con la Chiesa Cattolica spesso sotto accusa a vario titolo, don Aldo fatica sempre più ad ammantare di una qualche accettabilità le sue tirate polemiche contro movimenti che ormai spopolano, si allargano in continuazione ed hanno una presenza sociale sempre più vasta. Sono invece sempre meno le persone che gradiscono una concezione della società da «secoli bui» in cui occorre fare attenzione a come ci si veste, a quale musica si ascolta o quale mantra si recita (e a chi origlia).

Ecco allora una strana, insolita «precisazione» fatta da Buonaiuto al decadente rotocalco dell’editrice San Paolo:


Davvero? Eppure Buonaiuto e i suoi colleghi del GRIS, del CeSAP e di AIVS hanno sempre parlato di «psicosette» e di «movimenti del potenziale umano» riferendosi spesso esplicitamente a gruppi come la Soka Gakkai, Scientology, Arkeon, Hare Krishna e simili. È sufficiente una banale e rapida ricerca online per trovarne decine di conferme.

E invece lunedì 16 luglio scorso troviamo don Aldo a TV 2000 a parlare di «maghi e cartomanti» assieme a un loro detrattore consolidato, Giovanni Panunzio (di quest’ultimo non ci siamo realmente occupati sinora, ci siamo limitati a menzionarlo sul fondo della nostra pagina riepilogativa, ma forse sarà utile prenderlo in maggiore considerazione).

Si direbbe proprio che il prete «anti-sette» stia facendo una decisa retromarcia e torni ad attaccare le forme di devianza del «satanismo» e il business della cartomanzia, che egli forse considera meno pericolosi e più attaccabili rispetto a quelle che lui bolla come «sette» e che invece raccolgono sempre più sostenitori e difensori.

Una retromarcia che, da un lato, dà atto ai paladini dei diritti civili (fra i quali ci collochiamo) che sta venendo fatto un ottimo lavoro in tal senso. Ma da un altro lato, ci dice di un subdolo tentativo di riguadagnare credibilità per poi tornare, in un secondo momento, a colpire.

Certo, alla nostra tesi si potrebbe obiettare che si tratta di conclusioni tratte sulla base di prove indiziarie; sarebbe un’accusa tutto sommato ragionevole. Ma non vi è d’altro canto alcuna ragione evidente per non sostenere il nostro parere o per negarne la fondatezza.

Il fatto concreto è che figure ormai screditate come Buonaiuto e Panunzio hanno perso la faccia con le loro battaglie anti-spirituali; per questo ora ripiegano su «satanisti acidi» e «cartomanti». Forse sono convinti di avere, con presunti maghi e delinquenti conclamati, migliori chance di incrementare la loro dimidiata popolarità.

Siccome ci occupiamo di confessioni religiose e movimenti spirituali, non dovremmo curarci affatto del loro prendere di mira quell’altro genere di fenomeni che il più delle volte non ha nulla a che fare con la preghiera, con l’adorazione o con la metafisica. E invece vogliamo espressamente accendere i riflettori su questa virata tattica del prete inquisitore.

Sì, perché il meccanismo è lo stesso e possiamo solo aspettarci altri soprusi come quello commesso ai danni degli inesistenti «Angeli di Sodoma», specialmente quando Buonaiuto parla di «satanismo» facendo di tutta l’erba un fascio; basti ricordare, a tal proposito, un altro caso come quello di Marco Dimitri e dei «Bambini di Satana», una castroneria (per essere eufemistici) di matrice cattolico-estremista (leggasi GRIS) che è costato ala collettività centomila euro di risarcimento per ingiusta detenzione e altre somme a cinque zeri per le spese processuali.

L’operato degli «anti-sette» finisce infatti per essere nocivo nei confronti della collettività: si comincia istigando un’intolleranza che poi può venire propagata ed estesa contro chiunque è anticonformista, «diverso» o comunque a loro inviso.

In altri tempi chi conduceva una simile propaganda avrebbe impalato gli omosessuali e bruciato gli erboristi sullo stesso rogo che fu poi teatro di tragedie ai danni di ebrei e zingari.

Pertanto, non mancheremo di tenere sotto osservazione questa sfaccettatura del controverso e contraddittorio panorama «anti-sette».

domenica 22 luglio 2018

Aggiornamento breve - ancora sul ‘settarismo’ di AIVS

Riportiamo qui qualche altro elemento che si aggiunge a quelli già riferiti in precedenza, in particolare in questo post e in quest’altro, in merito al ‘settarismo’ di AIVS.

Ricordiamo a scanso di equivoci che «settarismo» lo intendiamo nell’accezione contemplata dall’autorevole vocabolario Treccani, ossia: «l’essere settario, cioè fazioso» e identifica un «accanito spirito di parte»; fra i sinonimi sono infatti inclusi «faziosità, partigianeria, parzialità, fanatismo, intolleranza, intransigenza».

Come non ricorrere a una parola del genere quando si notano situazioni in cui taluni utenti tentano di rivolgere, pacatamente, delle critiche a Toni Occhiello e alla sua «compagnia cantante» (come l’ha recentemente definita un’altra «anti-sette», Sonia Ghinelli), e però invece di essere ascoltati e presi nella dovuta considerazione, vengono sistematicamente messi alla porta in modo tutt’altro che garbato?

Vediamo un esempio di una ventina di giorni fa.

All’interno di una discussione che già è un poco animosa (perché un utente precedentemente ha espresso sdegno, in maniera forse un po’ brusca, per il modus operandi di AIVS), Paola Moscatelli se ne esce con una delle sue (solite) offese all’ex marito, peraltro imperniate (come di consueto) su fatti della sua vita privata schiaffati in piazza a sua insaputa:


Pacata protesta di una utente evidentemente perplessa per tale cattiveria, cui fa seguito il rimbrotto di (presumiamo) Toni Occhiello:


La signora controcorrente cerca allora di elaborare in modo più completo il suo pensiero e tenta di indurre i suoi interlocutori a smorzare i toni e considerare un atteggiamento un poco meno astioso:


La risposta di AIVS si presenta (finalmente!) un po’ più moderata del solito. Sempre nel solco della critica denigratoria, però almeno espressa con un tono sobrio e non offensivo. A questa fa seguito una replica del medesimo tenore.

Sembra quasi che si riesca ad intavolare un dialogo, se non propriamente costruttivo, per lo meno civile:


Nonostante le domande maliziose di Occhiello, che tentano di stuzzicare l’ira della signora controcorrente, in qualche modo quest’ultima riesce a non cascare nella trappola:


Scopriamo però molto presto di esserci completamente illusi: non sembra proprio possibile una normale dialettica o una conversazione pacifica sui forum di AIVS.

Ecco infatti ripiombare sulla scena la Moscatelli, con le sue offese un tanto al chilo.


Tanto livore e veemenza farebbero scivolare per un attimo anche l’utente più pacifico nella tentazione di rispondere per le rime, e questo è press’a poco ciò che capita.

Sicché la situazione precipita, la Moscatelli riesce solo ad inasprire i suoi toni verbali e passa direttamente alle parolacce e al turpiloquio:


Si noti come Occhiello o chi per lui non moderino minimamente la Moscatelli nemmeno quando usa parole volutamente scurrili e ingiuriose, però ha la faccia tosta di richiamare all’ordine l’altra utente che finora ha fatto di tutto per usare una certa educazione e pacatezza.

Così la Moscatelli, ovviamente, ci marcia sopra a tutta forza:


Non senza una certa signorilità, la utente non allineata con AIVS si svincola dal fuoco d’infilata cui è stata sottoposta.

Un trattamento tanto iniquo viene notato e sottolineato anche da altri, persino non difensori di una minoranza religiosa:


Ma l’esito è lo stesso: chiunque osi esprimere un parere appena divergente dai «numerosi personaggi» (come amano definirsi i tre responsabili di AIVS), viene verbalmente preso a ceffoni e messo alla porta.

È questo il giusto operato di un’associazione che «persegue finalità di solidarietà sociale»?

venerdì 20 luglio 2018

Aggiornamento breve - una lamentela incoerente dell’avvocato di AIVS

Abbiamo parlato in precedenza di Annalisa Montanaro, avvocato di AIVS e amica di Lorita Tinelli.

Di lei ci aveva sorpreso il modo improvviso in cui l’avvocatessa tarantina era saltata sul carro degli «anti-sette» senza però avere svolto il benché minimo studio sul fenomeno delle nuove religiosità ma essendosi semplicemente fidata dei racconti dell’amica psicologa, come peraltro ella stessa candidamente rivelò in pubblico un anno fa:


A maggior ragione sono sbalorditive certe sue proteste, come questa che segue:


La Montanaro si lagna (con un lessico piuttosto colorito, ca va sans dire) per la ricostruzione superficiale e tendenziosa di un fatto di cronaca da parte di un media locale di Bari.

Di nuovo, ci domandiamo perché non le venga in mente di dare un’occhiata ai panni di casa per saggiarne la pulizia, viste le strumentalizzazioni (anch’esse, decisamente) «vergognose» messe in atto dai suoi assistiti di AIVS ai danni di minoranze religiose del tutto pacifiche e sovente impegnate nel sociale.

Per non parlare dell’abuso dei media stessi da parte degli «anti-sette», un fatto più volte tristemente osservato.

Torna in mente quel celebre versetto del Vangelo secondo Luca: «Perchè guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?».

mercoledì 18 luglio 2018

Aggiornamento breve - don Aldo Buonaiuto e l’ipocrisia «anti-sette» - noi denunciamo

Abbiamo notato un articolo, pubblicato sulla rivista «Famiglia Cristiana» la scorsa settimana, che merita un breve commento.

Come è ormai ampiamente risaputo, già da tempo il rotocalco dell’editrice San Paolo non rappresenta più la quota maggioritaria degli italiani credenti in Cristo, tant’è che stenta a superare le duecentomila copie vendute.

Non è strano, quindi, che per riempire le proprie colonne (elettroniche o cartacee che siano) si riduca a pubblicare pezzi come questo:


Non esprimiamo un giudizio tanto critico solo per il titolo gratuitamente allarmistico (nel tipico stile «anti-sette» di matrice clericale-estremista), ma anche perché a godere del palcoscenico mediatico è una figura controversa come don Aldo Buonaiuto.

Un prete inquisitore che in passato ha preso cantonate madornali senza mai ravvedersene né chiedere perdono (quanto è cristiana una simile condotta?), che fa dell’allarmismo la sua prassi, e che ciò nonostante viene portato sugli allori da funzionari compiacenti (o compromessi) di istituzioni della Repubblica.

Stavolta, però, paradossalmente abbiamo deciso di prendere Buonaiuto in parola e di fare esattamente come dice lui.

Confidiamo quindi che legga quanto segue.

NON ABBIAMO PAURA DI DENUNCIARE

Denunciamo lo spreco di denaro pubblico perpetrato per finanziare istituzioni discutibili e controverse come la SAS («Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno), i cui sospetti di incostituzionalità sono ben più che fondati.

Denunciamo la scorrettezza che un prete cattolico venga adoperato come referente privilegiato per una siffatta «polizia religiosa».

Denunciamo il fatto che Buonaiuto ha commesso errori madornali provocando danni e ingiustizie, quanto meno paragonabili per gravità ai torti commessi dai peggiori cartomanti che egli sostiene di contrastare.

Denunciamo la compiacenza di un media che si presume debba portare avanti gli insegnamenti di Cristo, e invece favorisce un fautore dell’intolleranza religiosa; pertanto, dovrebbe ricondursi ai veri principi della Chiesa e non prestarsi a meschine e infondate campagne allarmistiche.

Denunciamo infine l’inadempimento di funzionari dello Stato che dovrebbero attenersi alla Costituzione e sollecitarne il rispetto, anziché contribuire alla sua violazione.

Tutto questo denunciamo e continueremo a denunciare.

lunedì 16 luglio 2018

Aggiornamento breve - le lamentele di AIVS

Ci hanno colpito alcuni commenti che abbiamo notato qualche giorno fa su una delle pagine Facebook gestite da AIVS:


Riteniamo che l’autore di questi commenti, in nome e per conto di AIVS, sia Toni Occhiello.

Questa frase in particolare ci dà da pensare: «Ogni giorno è una lotta (…). Sto lottando con la cattiva salute fisica e la depressione».

Ci domandiamo se l’attività portata avanti da lui e dagli altri due «numerosi personaggi» (come amano definirsi i tre dirigenti) responsabili di AIVS non possa avere in qualche modo agevolato l’esacerbarsi del suo malessere: alimentare in continuazione l’odio nei confronti di una minoranza religiosa e additarne i dirigenti come fonte di tutte le sue disgrazie, forse non è la maniera più salutare di vivere.

Gli auguriamo, comunque, di poter superare questi difficili momenti.

sabato 14 luglio 2018

La mentalità «anti-sette» e l’origine fascista: la genesi dell’odio e l’intolleranza a priori

Riprendiamo l’argomento affrontato nel recente post a proposito della Buffarini Guidi, per ampliare il discorso e mostrare come l’influenza di quell’infausto provvedimento, emanato dal governo fascista nel lontano 1935, sia sciaguratamente perdurata anche ben oltre il «ventennio», ben oltre il periodo della seconda guerra mondiale, e addirittura ben oltre il momento del miracolo italiano, per giungere sino alla soglia della seconda repubblica e, di fatto, all’attualità dei giorni nostri.

Il video che riportiamo qui di seguito è stato diffuso solo dieci giorni fa da un canale YouTube legato a un prete cattolico esorcista di nome Tiziano Repetto, e presto pubblicizzato dalla pagina Facebook degli anti-satanisti che asseriscono di essere portavoci degli insegnamenti del fu padre Gabriele Amorth:


Il gruppo così veementemente preso di mira dal video che segue è la Church of Almighty God o Chiesa di Dio Onnipotente, una minoranza religiosa cristiana molto presente in Cina e perseguitata dal governo nazionale con modalità anche violente che hanno fatto e stanno facendo ravvisare gravi violazioni dei diritti umani fondamentali. Vi sarebbe molto da dire in proposito, ma rimandiamo per migliori approfondimenti a questa, questa e quest’altra pagina.


Riteniamo non servano molti commenti: in politica si parla di «populismo» o «demagogia», in questo caso riteniamo di essere di fronte ad una scheggia impazzita che ben esemplifica l’intolleranza e l’estremismo solo ammantato di una religiosità ben lontana dalla propria naturale ed originaria ispirazione.

L’intolleranza che trasuda da questo breve ma significativo video è tanto esasperata da sembrare quasi puerile. Si noti per esempio l’uso di immagini forti e disturbanti come il fungo atomico, il segnale di pericolo o addirittura il teschio in corrispondenza del testo descrittivo:




Un modus operandi a dir poco inquietante, che rammenta periodi quanto mai bui e tragici della storia europea dello scorso secolo.

Se nel 2018 si può giungere a manifestazioni di intolleranza tanto bieche e miopi, vale la pena di esplorare ancora un po’ i collegamenti ideologici fra l’humus culturale che funse da terreno fertile per la circolare Buffarini Guidi e la propaganda ideologica «anti-sette» degli ultimi vent’anni.

Come s’è visto, il sottosegretario Buffarini Guidi poté imperniare il suo provvedimento liberticida sulla base della legge del 1929 sui «culti ammessi»: benché promulgata in pieno periodo fascista, sfortunatamente questa legge è ancora il principale dettato normativo che lo Stato adotta per regolare i rapporti con i culti non cattolici.

Non dimentichiamo che quella circolare faceva parte del corpus delle famigerate «leggi razziali»: ecco perché il punto cardine della stessa consisteva nel suo intento di tutelare la popolazione dalle «pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza».

Di quello stesso ordinamento giuridico che stava mettendo al bando le etnie «impure», faceva parte il «reato di plagio», di cui molto abbiamo parlato nel nostro blog e che oggigiorno gli «anti-sette» vorrebbero ripristinare.

Pochi sanno, però, che appena un anno dopo che la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima quella fattispecie di reato (con la famosa sentenza nr. 96 datata 8 giugno 1981, come accenna in questo articolo Giuseppe Loteta, uno dei protagonisti di quel periodo), degli «anti-sette» italiani ante litteram stavano già affilando le armi per riproporla con una foggia differente.

Ci riferiamo, in particolare, al fu Michele del Re, avvocato penalista con studio in Roma e docente di diritto penale presso l’Università di Camerino (MC), che fra gli anni ’80 e ’90 fu uno dei massimi esponenti della «lotta alle sette».

Dato il suo ruolo di collaboratore/consulente per i servizi segreti oltre che di giurista, è proprio sulla rivista del SISDe. che troviamo una recensione di un suo libro in cui esprime chiaramente la tesi, successivamente abbracciata dagli «anti-sette» tuttora in attività (come Lorita Tinelli, Luigi Corvaglia, Patrizia Santovecchi, ecc.), del «vuoto normativo» che sarebbe stato lasciato dall’abolizione del plagio.

(…)

Ecco riaffiorare il tema della presunta «integrità psichica» della razza, ovviamente reso più «politically correct» eliminando i riferimenti etnici, ma riproposto in maniera pressoché identica a quanto si affermava nei provvedimenti fascisti.

Risulta lampante come la collaborazione fra il prof. Del Re («anti-sette» di allora) e le forze dell’ordine, abbia una netta ed inquietante somiglianza con la situazione attuale, in cui la «polizia religiosa» altrimenti nota come SAS o «Squadra Anti-Sette» collabora strettamente con le associazioni che osteggiano i gruppi religiosi e spirituali di minoranza.

Obiettivi, dichiarazioni e metodologia sono evidentemente i medesimi.

Non va dimenticato, peraltro, che il prof. Del Re fu iscritto alla società segreta P2.

Due anni più tardi (aprile 1999), sulla stessa rivista ufficiale del SISDe, fu pubblicato un altro articolo, ben più corposo del precedente, in cui si riferiva di un convegno sulle «sette» nel quale intervennero, oltre a Del Re, anche il prof. Mario Di Fiorino (di cui parliamo in questo post) e la prof.ssa Cecilia Gatto Trocchi (che, come abbiamo ricordato alcune settimane fa viene a tutt’oggi citata dagli «anti-sette» italiani nonostante sia morta suicida nel 2005)


Come si può facilmente notare, la linea ideologica è sempre la stessa: i nuovi movimenti religiosi vengono descritti come «sette» pericolose perché attentano alla «salute psichica» della gente.

Il controverso rapporto del Ministero dell’Interno del 1998 (a tutt’oggi il più citato come riferimento dalle associazioni «anti-sette», nonostante sia stato ampiamente screditato) e la circolare De Gennaro del 2006 (che istituì la SAS), non sono forse frutto di quella stessa mentalità fascista che diede origine alla Buffarini Guidi?

Si noti per esempio questa nota, riportata su una tesi di laurea del 2009, tuttora disponibile sul sito Internet del FAVIS:


Risulta lampante l’uso strumentale di episodi tragici come il massacro del Tempio del Popolo di cui molto abbiamo parlato nel recente periodo; una strumentalizzazione che avveniva nel 2009 tanto quanto nello stralcio sopra riportato della rivista del Sis.De. (1999), parimenti nel 1982 come chiosa la nota a piè di pagina qui sopra, e così avviene anche attualmente (anche Lorita Tinelli nel suo webinar non ha mancato di reiterare tale prassi).

D’altronde, ecco cosa si legge sul sito del CeSAP, l’associazione per molti anni presieduta proprio dalla Tinelli e oggi dal succitato Corvaglia:


Nel testo come nelle note a fondo pagina, si trovano ancora gli stessi concetti mutuati dalle tesi del prof. Del Re.

In conclusione: per quanto possa essere inquietante, risulta però evidente la continuità dell’ideologia fascista (nella sua declinazione antireligiosa) nell’operato degli «anti-sette» odierni.

giovedì 12 luglio 2018

L’eterna incoerenza degli «anti-sette»: dal razzismo alle lamentele per l’odio

In questa breve raccolta di post, evidenziamo una volta di più (come già abbiamo fatto in precedenza, per esempio qui e qui) quanto gli esponenti «anti-sette» mostrino una lapalissiana incoerenza fra le proprie affermazioni e la propria stessa condotta.

Nel recente post (19 giugno scorso) che segue, l’associazione «anti-sette» AIVS prende spunto dal loro essere stati colti in flagrante (proprio dal nostro blog) a proposito di alcune affermazioni contro la società giapponese rivelatesi infondate ed estremamente superficiali; tuttavia, ben lungi da un serio esame di coscienza, essi ribadiscono le proprie espressioni razziste nei confronti del paese del sol levante, ovviamente raccattando consensi da parte dei soliti tre o quattro seguaci:


Ecco il commento immediato di una delle sostenitrici più livorose dei «numerosi personaggi», come amano definirsi i tre dirigenti responsabili di AIVS:


Dopo un tale sfoggio di erudizione e di approfondimento etnico comparato dei valori di una società orientale dalla storia millenaria e gloriosa come il Giappone, credevamo di aver saziato la nostra curiosità su questo filone. E invece…

... basta attendere il giorno successivo per rendersi conto del livello culturale dell’ideologia «anti-sette» di AIVS:


I francesi mangiano rane, i cinesi i gatti, gli italiani vivono con la mamma fino a quarant’anni, gli albanesi non lavorano, i turchi sono sanguinari, gli inglesi non si lavano... e i giapponesi servono balene e delfini nella zuppa. Insomma, ci si consenta un po' di ironia: la compagine di AIVS è affollata di fini pensatori e studiosi di alto livello.

Lo conferma un paio di commenti successivi:


A questo punto sarebbe lecito e comprensibile attendersi la moderazione da parte di un amministratore del gruppo, quale ad esempio lo stesso Toni Occhiello.

E invece, eccolo a soffiare sul fuoco:


Addirittura una vaga allusione, più seria che faceta, all’opportunità di bombardare ed ammazzare il tanto odiato popolo nipponico.

Ci può stare che nei commenti precedenti si stesse scherzando, seppur con un gusto alquanto discutibile e con concetti di grana grossa. Ma quest'ultimo enunciato è francamente inaccettabile per il rappresentante di un’istituzione pubblica come un’associazione che «persegue finalità di solidarietà sociale».

A noi AIVS pare in tutti i modi un gruppo che continua a fomentare odio nei confronti di minoranze religiose e di etnie diverse dalla loro; nella fattispecie, contro un’intera cultura nazionale.

Ciò che lascia sbalorditi è il fatto che, quando ad essere messi in discussione sono i capisaldi di qualche esponente «anti-sette», sono proprio loro i primi a gridare allo scandalo nei confronti di chi fomenta odio.

Ecco un esempio, niente meno che di Giovanna Balestrino (esponente piemontese del GRIS):


Si riferiva forse a Toni Occhiello e alla sua ganga?

D’altronde, giustamente l’avvocatessa acquese è convinta che non si deve fare di tutta l’erba un fascio, in particolar modo quando si parla della piaga della pedofilia nel clero cattolico:


Quando però si discetta di nuovi movimenti religiosi, allora sì che si può candidamente generalizzare e additare «culti distruttivi», riempirsi la bocca di teorie controverse e screditate come il «plagio», invocare la restaurazione di leggi liberticide, ecc.

Perché la Balestrino non interviene per ricondurre all’ordine i suoi colleghi «anti-sette» di AIVS? Eppure lei dovrebbe conoscere molto bene il diritto e, quindi, anche la cosiddetta «legge Mancino», che punisce «con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»).

Perché, quando descrivono taluni movimenti religiosi, costoro usano sempre parole grondanti di astio ed evidentemente mirate a suscitare intolleranza, mentre quando si parla di temi cari a loro si dovrebbe sempre essere rispettosi e deferenti?

D’altronde, se si parla di incoerenza, non perde occasione l’immancabile Sonia Ghinelli di dimostrarne una propria congrua quota, con questo commento scritto il 16 aprile scorso in una discussione inerente a delle presunte «sette» sataniche:


Quanto ha ragione la Ghinelli? Molta, anzi - a nostro avviso - tutta. Peccato che sia lei stessa la prima a mostrare, giorno dopo giorno, di comportarsi in modo diametralmente opposto a un tanto nobile principio.

E purtroppo non è nemmeno sola, poiché tanto lei quanto gli altri nomi principali del panorama «anti-sette» italiano operano esattamente nella stessa maniera: «sbatti il mostro in prima pagina», e se ci si sbaglia, a chi importa?

Esattamente come è accaduto nel caso della Comunità Shalom, di cui abbiamo parlato in un nostro recente post (che tanto ha dato fastidio), e che al momento rappresenta un clamoroso caso dei risultati disastrosi della propaganda ideologica e mediatica incentivata dagli «anti-sette»:



mercoledì 11 luglio 2018

Contributo esterno: la vera storia del «Tempio del Popolo» (torazina letale)

Ecco la quinta puntata della serie sulla strage del «Tempio del Popolo», il «suicidio di massa» fasullo che in realtà, come si è ampiamente dimostrato, fu un massacro organizzato.

Siccome – almeno per il momento – si tratta dell’ultimo post sul tema, riepiloghiamo qui di seguito tutti gli articoli di questa serie così da fornirne un indice completo per rapido riferimento:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)

Come background per capire certe premesse, valga inoltre questo post:

- [6 Marzo 2018] Gli «anti-sette» e il «condizionamento mentale»

In questo approfondimento, il nostro Epaminonda esamina accuratamente l’aspetto forse più macabro dell’eccidio della Guyana.

martedì 10 luglio 2018

Aggiornamento breve - come opera AIVS: accuse fasulle e prove zero

Torniamo a parlare di AIVS perché le loro attività in Facebook (e quindi le loro dichiarazioni pubbliche, che si sommano a quelle diffuse tramite TV e stampa) sono sempre estremamente rilevanti per dimostrare l’operato «anti-sette».

In questo specifico caso, focalizziamo un piccolo ma – a nostro parere – significativo esempio del modo in cui i «numerosi personaggi» (come amano definirsi i tre dirigenti) responsabili di AIVS formulano accuse anche gravi ai danni di un’intera confessione religiosa che conta decine di migliaia di fedeli nel solo territorio italiano.

Riportiamo dunque qualche stralcio di una discussione di metà maggio scorso, seguita ad un post in cui Toni Occhiello prendeva di mira uno dei suoi bersagli politici preferiti e sviluppatasi sul filone dell’otto per mille.

Nell’esordio, un altro utente (Stefano Martella, apostata e – manco a dirlo – oppositore dei Testimoni di Geova) fa presente di avere appena scoperto che l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, avendo stipulato l’intesa con il governo tre anni fa, gode ora dell’opportunità di ricevere l’otto per mille dell’IRPEF:


Francesco Brunori (alias «Italo») e Toni Occhiello colgono la palla al balzo: il primo per esprimere la propria invidia e per ribadire lo stato di miseria in cui si troverebbe AIVS, il secondo per reiterare con malizia le sue recriminazioni ai danni del movimento religioso di cui ha fatto parte per trent’anni.


Si noti che Occhiello non si limita al solito repertorio di cattiverie; in tal caso, rincara la dose con un’accusa non da poco: i proventi dell’otto per mille verrebbero inviati «direttamente in Giappone».

Vediamo se e come viene circostanziata tale accusa che va a incidere su un gruppo religioso radicato in Italia ormai da quarant’anni.

Tanto per cominciare, Occhiello non si fa scappare l’opportunità di usare qualche parola pesante o cruenta, che lasci un che di torbido nel pensiero del lettore (nella fattispecie, «truffa»). È poi Brunori a ricamarci sopra, prendendo di mira uno degli esponenti di maggior spicco della Soka Gakkai in Italia, Roberto Minganti:


Ci domandiamo da quale fonte costoro abbiano tratto tale informazione che peraltro, anche ammesso (ma decisamente non concesso) che sia vera, sarebbe del tutto tutelata dalla privacy in quanto «dato sensibile» perché afferente alla sfera finanziaria personale del soggetto. L’unico fatto certo, sin qui, è che tale affermazione da parte di Brunori è del tutto autoreferenziale e destituita di qualsiasi elemento di prova.

Sarebbe come se noialtri si volesse affermare che Brunori e Occhiello navigano nell’oro e accedono a fondi esteri non dichiarati al fisco italiano: chiacchiere da bar, nulla di più.

Nel seguito, c’è anche spazio per le consuete teorie da «cospirazione» e «spionaggio» cui Toni Occhiello ama spesso dar voce nei suoi post; fra queste, però, viene nuovamente ribadita la tesi del flusso di liquidità dall’Italia al Giappone:


Tornando con i piedi per terra, un interrogativo che ci poniamo è questo: Occhiello è realmente sicuro che l’otto per mille sia già stato erogato alla Soka Gakkai? Anche tenendo conto che l’intesa è stata stipulata appena tre anni fa (Maggio 2015)? A noi pare decisamente improbabile.

Secondo il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, le prime preferenze dell’otto per mille alla Soka Gakkai possono essere state specificate (da parte di fedeli e simpatizzanti) nella dichiarazione dei redditi del 2017 (per l’esercizio fiscale 2016) in quanto la legge per l’attuazione dell’intesa sotto questo aspetto è stata promulgata in giugno 2016. In considerazione di tali fatti, quando quei fondi saranno stati effettivamente erogati?


Occhiello sembra molto sicuro delle proprie informazioni, ma allora perché non cita fonti ufficiali come abbiamo fatto noi nel paragrafo precedente?

Ecco la risposta a questa domanda, postagli peraltro anche dall’utente che ha inizialmente sollevato l’argomento:


La risposta, davvero eclatante viste le accuse precedenti: «NON lo sappiamo».

Esatto, questa è l’unica risposta reale e veritiera: parla di fatti che non conosce.

Ma il corollario di Brunori è anche più sbalorditivo:


Verrebbe da domandare: non li ha proprio sfiorati il dubbio che gli introiti dell’otto per mille non sono nel bilancio semplicemente perché non sono stati ancora erogati e quindi incassati? No, troppo semplice.

Forse Occhiello ha fiutato la magra figura che lui e il suo socio stavano facendo? Di fatto, cercando un qualche straccio di riferimento ufficiale, ha finito per aggrapparsi a un articolo dello statuto della Soka Gakkai che non ha alcunché a che vedere con l’argomento:


Lo statuto parla di «estinzione» dell’associazione: se proprio la si vuol buttare sull'utilitarismo, anche nella prospettiva più maliziosa, non avrebbe alcun senso l’ipotesi che la Soka Gakkai possa deliberare la cessazione delle attività proprio nel momento in cui sta iniziando a percepire i fondi dell’otto per mille!

Insomma, ben ci si rende conto (e non per la prima volta, ma per l’ennesima) di come le affermazioni di AIVS siano sovente prive di fondamento, accuse vomitate a casaccio e con il solo intento di fare effetto sull’audience.

Quanto, dunque, si dovrebbero ritenere attendibili i rappresentanti di quest’associazione?