sabato 30 giugno 2018

Assolte altre vittime della macchina del fango «anti-sette»: il caso della «Comunità Shalom»

Nel nostro blog abbiamo raccontato più volte dei «risultati» (dal dannoso al disastroso) che scaturiscono dall’operato degli «anti-sette».

Questo che menzioniamo oggi è un altro caso alquanto emblematico del loro allarmismo strumentale, amplificato dal megafono mediatico tramite il solito giornalismo prezzolato di bassa lega.

In realtà, abbiamo ormai ampiamente documentato che la prassi degli «anti-sette» è di riprendere notizie (o presunte tali), specie quelle più sensazionali o allarmanti e con poco riguardo al fatto che siano state adeguatamente verificate, e riproporle o diffonderle attraverso i loro canali (Facebook, siti Internet, blog, convegni, ecc.) nel tentativo di fare in modo che vengano largamente accettate come «fatti» o «verità» anche quando non lo sono.

Abbiamo anche documentato la disarmante superficialità, al limite della pseudoscienza, di certe dichiarazioni ufficiali rese dai principali esponenti «anti-sette», i quali spesso compiono incursioni in settori non di loro competenza e finiscono per mettere in luce le proprie enormi, preoccupanti lacune. Lacune che, se si limitassero a rimanere all’interno del loro perimetro, non nuocerebbero a nessuno; sfortunatamente così non è, dato che costoro si propongono ai media come «esperti» e lanciano anatemi e proclami additando intere minoranze religiose pacifiche e attive nel sociale.

Si parla – solo in Italia – di decine di migliaia di persone come minimo, ma allargando un poco la prospettiva, di fatto sono incontestabilmente centinaia di migliaia (si pensi solo a una sommatoria dei fedeli di Testimoni di Geova, Soka Gakkai, Cammino Neocatecumenale, Damanhur e Scientology). Fedeli di estrazione spirituale radicalmente differenti, ma tutti accomunati dalle infamie e dalle angherie che vengono rivolte contro di loro dai militanti «anti-sette».

In questo quadro, preoccupante per l’ordine pubblico del futuro (giacché i movimenti religiosi continuano a crescere: e cosa succederà quando qualche «anti-sette» un po’ troppo animoso passerà alle vie di fatto?), si incastra anche la vicenda cui vogliamo accennare oggi. Sarà appunto solo un accenno, perché sul triste caso mediatico-giudiziario della Comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio (BS) molto vi sarebbe da raccontare e numerosi sono gli aspetti rimasti in ombra sui quali sarebbe doveroso fare chiarezza.

Shalom è una comunità di recupero dalla tossicodipendenza e dalla disabilità, accreditata presso gli enti preposti, che ha sede in una grande cascina ristrutturata in un paese situato nel Nord Italia, fra le province di Brescia e Bergamo. Fortemente ispirata ai principi cristiani cattolici, è per l’appunto gestita da una suora laica di nome Rosalina Ravasio e propone la riabilitazione dal tunnel della droga mediante il lavoro, la preghiera e la ricerca di Dio secondo il Vangelo. Sono centinaia le testimonianze di persone che hanno riguadagnato la propria vita e sconfitto l’angoscia delle dipendenze grazie al percorso di recupero proposto dalla Shalom, che non è certo una vacanza in villeggiatura o un soggiorno per relax, tanto quanto non è un’emicrania o un comune malessere la condizione (spesso disastrosa e al limite dell’irrecuperabile) dalla quale a suor Ravasio e ai suoi collaboratori tocca ripescare i nuovi ospiti che bussano alla loro porta per chiedere aiuto.

Catalizzata da un tam tam mediatico quasi istantaneo, in maggio 2012 nei confronti di questo centro di recupero scatta un’indagine della magistratura per dei presunti maltrattamenti e abusi. Una situazione sorprendentemente simile a quella verificatasi alcuni anni prima, poco lontano (sempre nella provincia di Brescia), e che abbiamo anche noi sintetizzato in questo post, dell’Associazione Sergio Minelli e della sua responsabile (e benefattrice) Fiorella Tersilla Tanghetti, tacciata dai media in stile «anti-sette» di essere una «santona», ecc. (le solite accuse poi rivelatesi infondate).

Nel marzo del 2015, il «caso» era ormai diventato una succosa preda per qualche giornalista assetato di «contenuti» scabrosi da poter vendere alle TV nazionali, così ecco un «servizio» su Sky realizzato con la modalità tipica di questo genere di «inchieste» (musiche da thriller, testimonianze di persone camuffate, toni foschi da film del terrore, ecc.):


I soliti noti (leggasi Sonia Ghinelli e Maurizio Alessandrini) della solita associazione «anti-sette» (leggasi FAVIS) non perdono l’occasione di riprendere questo discutibile «contenuto» allarmistico e smerciarlo a loro volta sui propri canali:


Si noti, fra l'altro, come l'accento viene posto sull'aspetto teologico-dottrinale («guarire con Dio») dei servizi erogati dal centro di recupero: ciò che sembra voler essere colpevolizzato è l'ispirazione religiosa stessa dell'assistenza prestata da suor Ravasio e dal personale (volontario, lo si tenga ben presente) della comunità. Persone che non guadagnano un centesimo per il lavoro, tanto difficile quanto amorevole, che svolgono ogni giorno. Insomma, un sarcasmo che incarna un attacco alla religione tout court, come del resto si è già visto in precedenza.

Chiaramente, siccome in quel momento la Shalom era nell’occhio del ciclone e la versione resa «popolare» dal megafono mediatico era quella che vedeva suor Rosalina e i suoi collaboratori colpevoli delle peggiori nefandezze, Ghinelli e Alessandrini cavalcano l’onda e invece di fare informazione in maniera obiettiva sfruttano l’allarmismo già fomentato per ingigantirlo ulteriormente. Ecco la notizia del rinvio a giudizio, avvenuto (guarda caso) solo pochi mesi dopo la gogna mediatica:


E non mancava la Ghinelli di condividere la stessa notizia sulla propria pagina Facebook anonima (il controverso pseudonimo Ethan Garbo Saint Germain di cui ci siamo più volte occupati):


Ecco la «giustizia mediatica» degli «anti-sette»: una condanna già pronunciata ancora prima che la magistratura abbia potuto svolgere il suo lavoro. Nulla di nuovo, potremmo dire: è la loro solita prassi.

In seguito, il processo ha avuto il suo svolgimento e si è celebrato con fasi alterne e con la consueta copertura mediatica. Ma un po’ alla volta si è fatta chiarezza e sono venute a cadere le principali accuse.

Sicché è notizia di tre settimane fa che, addirittura, la pubblica accusa ha richiesto l’assoluzione per suor Ravasio e i suoi più stretti collaboratori:


L’udienza in cui il giudice ha espresso la propria decisione sul caso si è celebrata questa settimana.

Ed eccone un breve sunto (qui il link all’articolo originale):


«Suor Rosalina Ravasio esce di scena senza colpe» dice giustamente il giornalista della stampa locale. In buona sostanza, la sentenza rappresenta una vittoria completa per la Comunità Shalom e una sonora, clamorosa smentita di tutte le accuse che erano state loro rivolte. Al contrario, gli unici due condannati sono degli ex ospiti.

Si attendono entro la fine del mese prossimo le motivazioni della sentenza, e possibilmente (ma, a quanto si apprende, solo in assenza di ulteriore fango mediatico) una dichiarazione da parte della Shalom.

Ad oggi, però, il blog della FAVIS mantiene un silenzio «assordante»: nessuna rettifica, niente scuse, nemmeno una pubblicazione di questa importante notizia.

Il sito gestito da Ghinelli e Alessandrini è fermo al 2 maggio scorso e ben si guardano i due responsabili dal rendere noto che il processo ha avuto questa determinante svolta:


Ecco come fanno «informazione» gli «anti-sette»: in realtà una disinformazione sistematica e deliberata.

martedì 26 giugno 2018

Aggiornamento breve - gli «anti-sette» di AIVS istigano a violare la privacy?

Tempo addietro abbiamo denunciato il fatto che, secondo i responsabili di AIVS, il diritto alla privacy e alla riservatezza dei dati personali è del tutto secondario rispetto alla finalità della loro associazione, ossia (espressamente) ostacolare, attaccare e, se possibile, eliminare fisicamente interi gruppi spirituali di minoranza fra cui delle confessioni religiose i cui rapporti con lo stato sono stati regolati per mezzo di un’intesa.

Ben lungi dall’essersi moderati in questo ambito, i tre «numerosi personaggi» (come amano definirsi loro stessi) gestori dell’associazione AIVS nonché amministratori dei relativi gruppi Facebook e pagina Internet, , quasi fossero assurti a giudici inquisitori, continuano a identificare con nomi e cognomi persone che essi si arrogano il diritto di additare come «colpevoli» di praticare il proprio credo.

Riportiamo qui un paio di esempi a questo proposito, così che rimangano anch’essi documentati, mentre continuiamo a sottoporre ad adeguato monitoraggio le loro attività, riferendone di volta in volta a chi di competenza quando ci è possibile. Chissà che un giorno o l’altro non si verifichi un intervento da parte delle figure deputate a tutelare i diritti dei cittadini.

In questo post del 5 giugno scorso, l’associazione AIVS (per bocca – riteniamo – del suo presidente Toni Occhiello) fa accenno ad un proprio «archivio» nel quale sarebbe contenuto il documento citato nella parte iniziale; si tenga sempre conto che l’associazione religiosa di cui parlano costoro (peraltro con frasi di tenore evidentemente calunnioso) è niente meno che l’Istituto Buddista Soka Gakkai, è una confessione religiosa confessione religiosa che gode (se mai fosse necessario) di un pieno riconoscimento dalla Repubblica italiana.


Si tenga conto, fra l’altro, che tale indizio di «dossieraggio» era già emerso in precedenza e non è mai stato oggetto né di delucidazioni né tanto meno di smentite da parte di nessuno dei tre «numerosi personaggi».

Ma se nel post riportato qui sopra sembra si parli, tutto sommato, di informazioni reperibili in Internet, in quello che segue (datato 13 giugno 2018) si assiste a una vera e propria, inequivocabile, istigazione a violare la privacy altrui.

Per comprendere il discorso, si tenga presente che l’utente intervenuto nel gruppo Facebook gestito da AIVS sta raccontando da qualche giorno dei fatti relativi a dei suoi vicini di casa che, a suo dire, praticano la religione buddista Soka Gakkai (che egli ha invece abbandonato).


Facciamo notare (e mettiamo l’accento) sul commento – ancora – di Toni Occhiello: «registra e pubblica»! Con tanto di emoticon, il «personaggio» di AIVS strizza l’occhio all’utente da poco arrivato nel suo gruppo e lo incita (di fatto) ad effettuare una sorta di rudimentale intercettazione ambientale (di nascosto e senza alcuna notifica o autorizzazione) nei confronti di un proprio dirimpettaio.

La risposta dell’utente esprime timore; la replica di Occhiello cerca ulteriormente di incoraggiarlo a compiere quell’atto, al quale poi per fortuna non viene dato seguito per ragioni (però) di carattere «tecnico».


Ad ogni buon conto, fatto concreto è che il presidente di AIVS ha incitato un utente a registrare e pubblicare l’audio di un suo vicino di casa che recita mantra buddisti e canta dal balcone di casa propria. La ragione? Forse perché è molesto o esagera con il volume? Tutt’altro (lo dimostrano anche altri punti della discussione): l’unico motivo è che quel ragazzo è «colpevole» di essere un fedele della Soka Gakkai.

Si noti inoltre che la risposta «se mi beccano, temo la reazione», equivale in modo palese ad una confessione, da parte dell’utente incitato a registrare, di essere pienamente consapevole che quanto richiestogli dal Sig. Occhiello è illecito.

Lasciamo anche riflettere su un’ulteriore fattispecie di reato descritta dal codice penale, la «interferenza illecita nella vita privata» (art. 615 bis), che così recita: «chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni (…) Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo».

Quanto, dunque, è giusta e lecita la condotta dei gruppi «anti-sette» italiani?

lunedì 25 giugno 2018

Aggiornamento breve - quanto sono attendibili le testimonianze degli «anti-sette»?

Con questo breve post vogliamo stimolare una riflessione sull’attendibilità (peraltro già da più parti contestata e in generale alquanto dubbia) delle dichiarazioni e delle testimonianze degli «anti-sette».

Focalizziamo di nuovo, in particolare, la sigla più recentemente affacciatasi nel panorama dei gruppi militanti contro gruppi spirituali e minoranze religiose in Italia (e talvolta parrebbe anche minoranze etniche), ossia la AIVS.

Prendiamo, a mo’ di campione, un post che è della scorsa settimana, e lo sottoponiamo ad una breve analisi perché lo riteniamo piuttosto esemplificativo ed emblematico delle modalità operative di questi gruppi.


Questa nuova utente, che sembra provenire da Roma, dichiara anzitutto di avere avuto «una breve esperienza nella Soka Gakkai» e di avere deciso di abbandonarla quando era ancora «una principiante».

I due enunciati, se presi nella dovuta considerazione (soprattutto in rapporto all’amplificazione che possono subire grazie al megafono mediatico), vanno a formare un elemento assolutamente fondamentale: la conoscenza e la frequentazione del gruppo religioso da parte di questa utente si limita a un periodo di tempo ristretto (potremmo ipotizzare, da come ne parla, qualche mese o al massimo un annetto).

Già a questo punto e con quest’unica osservazione, la perplessità è sin da subito enorme ed importante: una frequentatrice occasionale di un dato gruppo che l’ha poi abbandonato senza averlo vissuto con particolare intensità, si arroga la facoltà di giudicarlo in modo globale o totalizzante. Sicuramente la sua esperienza non è stata buona e nessuno dovrebbe permettersi di metterlo in dubbio, ma (logicamente parlando) chi l’autorizza a generalizzare il proprio vissuto apponendolo su un intero contesto che coinvolge decine di migliaia di persone solo in Italia?

Vediamo però come prosegue questa utente di AIVS improvvisatasi giudice monocratica di un’intera confessione religiosa.


Ecco un’ulteriore notazione che può solo aumentare le nostre perplessità e riteniamo finisca per inficiare completamente l’importanza e la rilevanza delle esternazioni di questa utente: dice ella infatti che «a questa analisi» è arrivata «già mentre era dentro» e spiega di aver cominciato a nutrire dei dubbi «a seguito di un episodio» che la aveva «insospettita»; a quel punto aveva iniziato ad «informarsi» su Internet. Il resto sono le solite accuse di carattere persecutorio che vengono rivolte più o meno a tutti i «movimenti religiosi alternativi».

Il che equivale (se si vuole realmente dire le cose come stanno al di là delle infiorettature e degli arzigogoli) ad una implicita ammissione che questa ragazza:
1) si è avvicinata alla Soka Gakkai senza troppa convinzione;
2) l’ha frequentata per un breve periodo senza lasciarsi coinvolgere granché; soprattutto, non ci capiva granché come lei stessa ammette palesemente;
3) al primo momento di difficoltà (forse uno screzio, forse un comportamento scorretto di qualche altro fedele) invece di confrontarsi con i diretti interessati ed affrontarli con cognizione, è andata a cercare le voci infamanti degli apostati su Internet, raccattando ovviamente ragioni «valide» per poter fare come la volpe nella celeberrima favola di Esopo;
4) poco alla volta si è defilata quatta quatta;
5) alla fine, senza che nessuno le abbia torto un capello, si è affacciata sui gruppi Facebook di AIVS per unirsi alla macchina del fango.

Un comportamento che, come minimo, ci pare tutt’altro che adulto; al contrario, è ben più simile a quello del fanciullo cocciuto che per protestare contro qualche ipotetica offesa lascia il campo portandosi via il pallone.

Aggiungiamo che ad un’occhiata più attenta il profilo Facebook di questa utente (e il suo stesso nome) lasciano qualche dubbio in termini di autenticità: che sia un’identità fasulla manovrata da uno dei tre «numerosi personaggi» (come amano definirsi loro stessi) amministratori di AIVS?

Ma anche lasciando da parte i nostri sospetti, restano forti e gravose le perplessità su quanto possa ritenersi attendibile una «testimonianza» del genere.

domenica 24 giugno 2018

Contributo esterno: la vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)

Ecco la quarta puntata della serie di Epaminonda sulla strage del «Tempio del Popolo».

A coloro che hanno seguito i contributi precedenti è ormai evidente che la versione ufficiale del «suicidio di massa» è una bufala colossale, per essere eufemistici; volendo essere più incisivi dovremmo definirlo un clamoroso, inquietante, colpevole e delinquenziale «falso storico» che nessuno più dovrebbe permettersi di reiterare.

Tanto meno dovrebbero avere la tracotanza di perpetrare un tale insabbiamento della realtà gli esponenti «anti-sette» italiani, sedicenti esperti di religiosità alternativa che spesso citano a proprio uso e consumo l’eccidio del «Peoples Temple», in quanto i media (di regime) di tutto il mondo lo hanno inculcato nell’immaginario collettivo come una «strage compiuta da una setta». Quanto lontana dalla verità è tale reboante versione!

«Cessate di uccidere i morti», implorava Giuseppe Ungaretti riferendosi alle vittime del sanguinoso conflitto mondiale, la cui memoria poteva tristemente venire ancor più funestata dall’odio politico e dagli scontri di ideologie da parte di persone non paghe, forse, di tutto il sangue che già era stato versato.

Similmente, gli «anti-sette» sfruttano quel tragico evento, di cui fra pochi mesi ricorrerà il quarantesimo, per veicolare la loro campagna di odio contro i gruppi religiosi e spirituali di minoranza.

Che non avvenga più! Che non si deturpi nuovamente la memoria di quelle vittime, immolate sull’altare non già di un presunto «culto», ma di un reale, sadico opportunismo politico portato alle sue estreme, efferate conseguenze.

Eccoci, dunque, a presentare un altro piccolo passo verso la verità… e, in chiusura, a tentare di stemperare almeno un po’ l’orrore di una tale tragedia.



sabato 23 giugno 2018

La fallimentare questua di AIVS, i conti in rosso e l’esclusione degli utenti che non pagano

Torniamo a parlare della potentina «Associazione Italiana Vittime Sette» (AIVS) per alleggerire un po’ i toni, quasi un intermezzo ameno rispetto ai temi ben più forti e drammatici di cui ci stiamo occupando in questo periodo (episodi storici sanguinosi come l’eccidio del «Tempio del Popolo», ecc.).

Ci ha colpito una discussione che ha avuto luogo qualche giorno fa su uno dei gruppi Facebook gestiti dai «numerosi personaggi» (come amano definirsi, ossia i tre amministratori e principali attivisti) di AIVS.

L’esordio è di un simpatizzante di AIVS che racconta di aver risposto in maniera volutamente offensiva e denigratoria ad un proprio amico (?), a suo parere colpevole di appartenere tuttora al movimento religioso da lui abbandonato (e costantemente nel mirino di AIVS). Interviene un altro utente che cerca di smorzare i toni:


La risposta immediata è di Toni Occhiello, che coglie la palla al balzo per vendergli l’iscrizione all’associazione (come s’è visto già in precedenza, per lui deve trattarsi di una sorta di anomalo business), senza considerare che la proposta dell’utente aveva evidentemente un carattere gioviale.

Prevedibile la reazione un po’ scherzosa e un po’ di stupore, che però – a quanto pare – non viene recepita affatto bene dall’ex regista di Cerignola:


Diligentemente, Occhiello propugna l’iscrizione descrivendone le modalità e le prerogative.

L’utente, però, pare poco convinto di voler affrontare un esborso anche tanto esiguo, sicché manifesta nuovamente (a modo suo) le proprie perplessità:


Sorvoliamo sulla ragione, di non chiara interpretazione, per cui Occhiello risponda non più dal proprio profilo personale ma proprio da quello ufficiale di AIVS, e per lo più usando un po’ l’italiano e un po’ l’inglese.

Naturale l’obiezione dell’utente, un po’ meno comprensibile la reazione piccata e sprezzante di Occhiello:


Dalle parole ai fatti: dopo avergli dato del «cazzaro» e «agent provocateur» (insomma, dopo averlo accusato ed offeso per bene) Occhiello lo mette alla porta escludendolo dal gruppo.

Sarà perché AIVS può contare su un numero talmente copioso e sovrabbondante di iscritti da potersi permettere di escludere chiunque non vada loro a genio, anche se simpatizza con la loro linea «anti-sette»?

Probabilmente è così, o almeno questa poteva essere una prima conclusione sulla base di alcune loro rutilanti dichiarazioni, come questa che è del 19 marzo scorso:


Quasi mossi a compassione nei loro confronti, verrebbe da fare un rapido, entusiastico conto.

Sorvoliamo sull’evidente contraddizione in termini: «ben 40.000 fuoriusciti» pare essere un dato certo, però i «75.000 membri» sarebbero «millantati». A quale delle due cifre si dovrebbe credere dunque? Lasciamo stare e proseguiamo.

Su «ben 40.000 fuoriusciti», fosse anche soltanto un 1% coloro che corrono ad iscriversi ad AIVS per arruolarsi nella loro «lotta» da «combattenti» contro la Soka Gakkai, si tratterebbe comunque di 400 persone. Non certo un esercito, ma comunque da tenere in una qualche considerazione per lo meno a livello locale.

E invece, ci tocca ammettere che siamo stati completamente fuorviati da quella strombazzata allarmistica.

Infatti a fornirci una mesta, quasi angosciosa smentita interviene niente meno che Francesco Brunori (alias Italo) con un suo recentissimo post:


Niente «arricchimento», quindi. Almeno per ora.

Forse il business «anti-sette» non è così redditizio come costoro speravano?

venerdì 22 giugno 2018

Contributo esterno: la vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)

Prosegue la serie di Epaminonda sulla strage del «Peoples Temple» («Tempio del Popolo»), che gli «anti-sette» tuttora tentano di far credere sia stato un «suicidio di massa» grazie al megafono dei mass media compiacenti.

La verità, invece, è ben più difficile da digerire.

Eccone un altro risvolto; anche questa volta, una lettura per stomaci forti.

Prossimamente prenderemo di mira un’altra delle tristi «fole» portate avanti da costoro.


giovedì 21 giugno 2018

Gli «anti-sette» di FAVIS riciclano «notizie» già completamente screditate?

Come ha avuto modo di commentare online il nostro Mario Casini (a dispetto degli iniziali tentativi di censura ai suoi danni), è balzato all’occhio un momentaneo e improvviso ritorno sulla scena di Maurizio Alessandrini, il pittoresco fondatore e presidente della sigla «anti-sette» riminese FAVIS a proposito della quale, più di frequente, nel nostro blog ci siamo occupati dell’esponente più attiva, Sonia Ghinelli, socia di sempre dell’ex ragioniere in pensione.

Il 27 maggio scorso è stato infatti pubblicato online un articolo (che si potrebbe a tutti gli effetti definire di stampo  «autoreferenziale»), nel quale lo stesso Alessandrini ripesca e ripropone vecchi attestati di benemerenza e libelli propagandistici come l’opuscolo sulle «sette» compilato dalla FAVIS e promosso dalla Provincia di Rimini, ente presso cui aveva lavorato prima del pensionamento.

A quel post aveva fatto immediatamente seguito un altro sul medesimo media, dello stesso tenore (come d’altronde vuole l’inveterata prassi «anti-sette»).

Ad alimentare le perplessità che Casini aveva subito espresso senza troppi giri di parole in calce ad entrambi gli articoli, entro breve tempo è arrivato un estimatore del nostro blog che conosce a fondo la FAVIS per averla frequentata molto da vicino, se non addirittura dalla sua anticamera.

Un po’ retoricamente, il nostro lettore ci ha posto uno stimolante quesito a proposito del libercolo «anti-sette» reclamizzato nel primo post di «Ananke News»: non si tratterà per caso di quello stesso opuscolo che scatenò diverse polemiche quando sfuggi di mano a Samuele Zerbini, consigliere comunale di Rimini fino a giugno 2016, nonché socio fondatore della stessa FAVIS?

Abbiamo approfondito la segnalazione ed esaminato i documenti sottopostici, così vi proponiamo quanto abbiamo trovato.

Venerdì 22 aprile 2005 il Corriere Romagna, edizione di Rimini, pubblicava un articolo in cui si leggeva che Zerbini stava lavorando ad un libro sulle «sette» in collaborazione con la FAVIS e il cattolico GRIS di Rimini. La Voce di Romagna riportava inoltre che l’opuscolo sarebbe stato stampato a spese del Comune di Rimini.


Dato l’utilizzo evidentemente strumentale delle istituzioni, questa notizia ed i contenuti del libretto in questione pare siano sfuggiti di mano tanto da sollevare per giorni diverse polemiche.

Immediate infatti arrivarono le repliche del Comune e del GRIS di Rimini.

Ecco su La Voce di Romagna il richiamo addirittura in prima pagina:


Il consigliere Zerbini cercò allora di evitare guai peggiori correndo ai ripari, con un tentativo che, tuttavia, parve davvero alquanto goffo e scarsamente credibile:


Il giorno successivo (24 aprile 2005) è ancora La Voce di Romagna a tornare sull’argomento titolando:


La Voce tornerà sull’argomento anche venerdì 29 aprile 2005 con una cronaca di una seduta del consiglio comunale di Rimini in cui si dovette di nuovo affrontare l’argomento anche perché era finita direttamente coinvolta la Curia.

Passata la bufera del momento, i guai per il socio fondatore del FAVIS e politico locale Samuele Zerbini erano però destinati a non concludersi ancora.

Infatti in gennaio 2015, sui media locali, apparve la notizia di una indagine a suo carico per peculato quando rivestiva la carica di consigliere comunale e di presidente della Commissione Bilancio del Comune di Rimini.


Ma torniamo al libretto divenuto per alcuni burrascosi giorni il pomo della discordia: il Comune, Il GRIS di Rimini e lo stesso Zerbini, nell’immediato, cercarono di rettificare quanto avevano pubblicato in quei giorni i media locali prendendo le distanze da un siffatto libercolo palesemente superficiale ed offensivo.

Degli attori principali della vicenda, l’unico «non pervenuto» pare sia stato proprio Alessandrini, presidente della FAVIS, che guarda caso qualche anno più tardi volle ugualmente dare alle stampe un libretto sulle «sette», molto simile a quello controverso di cui si parlava in aprile 2005. Un libercolo che oggi Alessandrini riesuma e pubblicizza nel succitato articolo di «Ananke News». Che sia una coincidenza?

Di certo si può dire che stranezze all’interno della FAVIS ve ne sono state e ve ne sono tuttora.

Basti sentire quanto ha dichiarato il figlio di Alessandrini (proprio il figlio che l’ex ragioniere protesta gli sia stato «rubato») in un’intervista rilasciata alla nota emittente televisiva riminese Telerimini sia a proposito dei suoi genitori, sia a proposito dell’altro elemento cardine della FAVIS, la succitata Sonia Ghinelli alias Ethan Garbo S. Germain.

venerdì 15 giugno 2018

Gli «anti-sette» fanno spendere denaro pubblico (e privato) per foraggiare i loro giornalisti?

In questo post riprendiamo una riflessione a proposito di un’ulteriore sfaccettatura del dispendio di risorse pubbliche ad opera (o in favore) degli «anti-sette» e della loro propaganda ideologica. Diciamo «ulteriore» per distinguere rispetto all’utilizzo della macchina dello stato, in qualche caso drammaticamente deleterio, che avviene invece sul piano giudiziario o sul piano della reputazione anche commerciale. Qui invece parliamo dell’aspetto squisitamente mediatico e giornalistico.


Già in precedenza e a più riprese, si è detto di come taluni giornalisti (ne elenchiamo qualche nome nella nostra pagina di riepilogo) siano palesemente schierati con qualche gruppo o esponente «anti-sette» (come Carmine Gazzanni, Andrea Sceresini e Giuseppe Borello), quando non personalmente e direttamente coinvolti in una militanza attiva (come Stefano Pitrelli e Gianni Del Vecchio) contro i «nuovi movimenti religiosi».


Di tali connivenze e collaborazioni ci informano loro stessi in post e commenti pubblici facilmente reperibili in Internet, come questo (solo per citare un esempio, ma ve ne sarebbero anche altri):


Il minimo che si possa dire di questi giornalisti è che non possono essere obiettivi: pretendono di descrivere e raccontare vita e opere di interi movimenti religiosi (parliamo di gruppi con migliaia o decine di migliaia di aderenti) basandosi sulle indicazioni di tre o quattro persone che da quei movimenti sono stati cacciati via o se ne sono andati sbattendo la porta e che quindi – come anche un demente potrebbe capire – potranno solo parlarne male o sottolinearne le caratteristiche negative. Difficile confutare tale nostra affermazione, che è ovvia di per sé.

Eppure la deontologia giornalistica di questi sedicenti «reporter d’inchiesta» li vorrebbe «fornitori di un'informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata» come afferma ampia giurisprudenza della Corte Costituzionale, particolarmente la sentenza del 24 marzo 1993 nr. 112, secondo la quale «il “diritto all'informazione” garantito dall'art. 21» si richiede che «sia qualificato e caratterizzato [...] dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti». Situazione evidentemente lontanissima dal caso di specie.


Fra l’altro, facendo qualche ricerca un po’ più approfondita su alcuni di loro, come i succitati Sceresini e Borello, si scoprono persino dei curiosi «altarini» che essi cercano di passare sotto silenzio ma qua e là affiorano grazie a siti che si occupano di «debunking» o giornalisti indipendenti che affermano di voler differenziarsi dalla corrente mediatica prevalente. Veniamo così a sapere che i giornalisti «anti-sette» mentre con una mano fanno tanto chiasso sui «culti distruttivi» e lanciano allarmi per le loro presunte nefandezze, nel frattempo manipolano la contabilità dei soldi che ricevono tramite raccolta fondi (online, quindi da parte del popolo di Internet) per finanziare le loro «inchieste», salvo poi produrre dei risultati decisamente discutibili sotto il profilo squisitamente professionale.

Andrea Sceresini

Eppure costoro vengono pubblicizzati sulla TV di stato, quella stessa RAI in cui s’intrecciano collegamenti di chiara matrice «anti-sette»; quella stessa RAI che dovrebbe operare sotto la garanzia della laicità dello stato, e invece batte la grancassa per il controverso «reato di plagio» di fascista memoria.

Per cui ci domandiamo: dove finiscono i soldi dei contribuenti che lo Stato spende per sovvenzionare la RAI?

Finiscono nelle tasche dei «consulenti» di Gazzanni, come Pier Paolo Caselli (la cui assoluta inconcludenza è un fatto oramai conclamato), come Lorita Tinelli (che in fatto di religione non detiene alcuna qualifica di tipo accademico e lo si vede bene dai risultati del suo sovrabbondante eloquio) o come Sonia Ghinelli (la quale addirittura pare vantarsi della sua assoluta assenza di titoli di studio in materia di spiritualità, e infatti viene clamorosamente smentita quando discetta di «lavaggio del cervello» ed altre simili amenità)?

Finiscono nelle tasche dei «consulenti» di Pitrelli e Del Vecchio, come Toni Occhiello, Francesco Brunori (alias Italo) o Luciano Madon che sono null’altro se non degli apostati inaciditi, facinorosi e (a nostro modesto parere) degli istigatori di odio?

Quanti cittadini italiani sono soddisfatti di ritrovarsi il canone RAI da pagare «comodamente» nella bolletta della corrente elettrica per ricevere un «servizio pubblico» di tal fatta?

Non crediamo siano molti: al contrario, abbiamo fornito già in precedenza elementi concreti per dimostrare il fatto che la gran maggioranza della gente non condivide affatto l’operato degli «anti-sette» e nemmeno la loro ideologia. Tutt’altro: le persone aderiscono per lo più al principio del «vivi e lascia vivere» e al concetto che laddove vengano commessi dei reati, questi vanno accertati e giustamente sanzionati in quanto tali, senza dover montare processi alle intenzioni e creare nuove fattispecie di reato che puniscano credenze e ritualità ritenute «pericolose» da qualcuno solo sulla base di pregiudizi o lamentele.

E che dire delle aziende che acquistano spazi pubblicitari costosissimi sulle TV private? Anche loro sono d’accordo a finanziare simili attività propagandistiche? Noi non siamo affatto di quest’idea.

Tanto più che le attività «anti-sette» ledono i diritti di tutti, non solo delle minoranze religiose: la libertà di credo, la libertà di pensiero e la libertà di espressione non sono appannaggio di qualche sedicente «esperto», sono invece diritti non negoziabili di tutti i cittadini, di ogni età, razza e religione.

mercoledì 13 giugno 2018

Aggiornamento breve - che s'inventa AIVS pur di raccattare denaro?

Abbiamo riferito già in precedenza della questua a nostro parere un po’ squallida messa in atto dalla AIVS (un’associazione «anti-sette» particolarmente chiassosa negli ultimi mesi), sin da marzo scorso, per racimolare un po’ di soldi dai propri simpatizzanti e dagli utenti che si inseriscono nei loro gruppi Facebook.

Con il presente post diamo conto che tale raccolta fondi appare continuare, evidentemente seguendo le necessità di volta in volta manifestate dai tre principali amministratori dell’associazione.

Ecco infatti che giovedì scorso Francesco Brunori (alias Italo) lancia una colletta online tramite un sito Internet specializzato:


Sorvoliamo sull’asserzione secondo cui AIVS avrebbe «conoscenze» e competenze tal da poter fornire «sostegno sia legale che psicologico», quando nessuno dei «personaggi» (come essi stessi li descrivono) che la compongono detiene delle qualifiche attinenti alla sfera in cui opera. Sinora, l’unica attività in cui sembrano essersi impegnati con tutte le loro forze è una sorta di «settarismo anti-sette».

Neanche 24 ore più tardi, l’altro «personaggio» rappresentante di AIVS, Toni Occhiello, ripropone pari pari il medesimo post di Brunori:


Qualche giorno prima, AIVS aveva pubblicato un post in cui sembrava voler esplicitare il carattere di certune sue attività (forse promozionali? chissà) finalizzate a reclutare nuovi associati.

Attività che, ci si consenta il commento (fra il serio ed il faceto), non ci appaiono particolarmente attinenti al suo oggetto sociale:


A quanto pare, l’iniziativa di Occhiello sembra aver raggiunto l’obiettivo prefissato:


Non è la prima volta che notiamo come Occhiello possa apparire un tantino ossessionato dalla sfera erotico/sessuale: ne avevamo riportato degli esempi in questo post e ne abbiamo trovato un ulteriore indizio in un suo commento della scorsa settimana:


Certamente sono fatti suoi, del tutto privati, oltre che ovviamente legittimi; ciò che però balza all’occhio è il modo come egli paia voler metterli in piazza in quanto responsabile di un’associazione che sostiene di voler fare un servizio pubblico.

Un «servizio pubblico», quello di AIVS, che sinora si è concentrato su dichiarazioni come queste (curiosamente anch’esse rivolte, ma in senso differente, contro il «gentil sesso»):


È per finanziare propaganda come questa, che AIVS raccoglie fondi e richiede iscrizioni?

martedì 12 giugno 2018

Contributo esterno: la vera storia del «Tempio del Popolo» (gli «anti-sette» sbugiardati di nuovo)

Mentre noi continuiamo a pubblicare e far conoscere (in parte apertamente, in parte dietro le quinte) i fatti concreti che smentiscono clamorosamente la propaganda degli «anti-sette», costoro si agitano e compiono dei goffi e speciosi tentativi di giustificare il proprio discutibile operato.

Come sempre, essi non mirano dritto al punto e cioè non intervengono sui punti specifici che noi portiamo come obiezioni o critiche ragionate. Al contrario, cercano appoggi là dove l’obiettività si fa di più difficile valutazione, accampano «testimonianze» ardue da verificare e probabilmente prezzolate, dopo di che naturalmente la buttano sulla critica ad hominem (la loro massima specialità), come quando tentano di intimidire chi prova a farli ragionare.

Un motivo di più per proseguire la nostra opera, dunque questa volta abbiamo noi voluto sollecitare il nostro più affezionato contributore, Epaminonda, ad esaminare gli ultimi frizzi e lazzi di Sonia Ghinelli, Lorita Tinelli e Toni Occhiello: anzitutto, si voleva capire se avessimo in qualsiasi modo tralasciato qualche fatto o qualche elemento; solo in secondo luogo, se così non fosse stato, si sarebbe dovuto argomentare ulteriormente i fatti che stiamo qui un po’ alla volta documentando.

Ed Ecco il risultato di questo ulteriore approfondimento: gli «anti-sette» smentiti e sbugiardati per l’ennesima volta.

Ad ogni buon conto, ricordiamo che il presente post rappresenta una naturale prosecuzione dei seguenti:
- [17 Aprile 2018] Demolizione della controversa teoria del «lavaggio del cervello» (parte 1)
- [26 Aprile 2018] Demolizione della controversa teoria del «lavaggio del cervello» (parte 2)
- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)

Di questo passo, ci toccherà aprire un intero nuovo sito o blog specificamente dedicato al tema dei falsi miti «anti-sette»...


sabato 9 giugno 2018

Ecco come la propaganda «anti-sette» può nuocere anche alle religioni tradizionali

Spesso la martellante propaganda «anti-sette» finisce per nuocere anche alle religioni tradizionali.

Nel nostro paese, la religione maggioritaria è quella professata dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

In questo post, proponiamo alcuni elementi di esempio che rendono l’idea di come il tam-tam mediatico «anti-sette», oltre a rappresentare un business per i suoi principali esponenti, danneggia anche la concezione di spiritualità e religione nella gente.

Avevamo toccato già in precedenza questo tema: non è infatti un mistero (anzi, è assodato) che gli «anti-sette» abbiano nel loro mirino anche gruppi esoterici o elitari di matrice cattolica come l’Opus Dei, i Legionari di Cristo, i Focolarini, il Cammino Neocatecumenale, ecc., tanto quanto gli Hare Krishna, i Mormoni, Scientology, la Chiesa dell’Unificazione del Reverendo Moon, Damanhur, il Buddismo Soka Gakkai, ecc.

A qualcuno potrà apparire una novità, ma l’uso spregiudicato del vocabolo «setta» (che, come s’è visto, genera uno stigma) viene messo in atto non solo contro i «movimenti religiosi alternativi» più o meno discussi come quelli appena citati, ma anche – appunto – contro le formazioni di derivazione cattolica maggiormente caratterizzate da una morale rigida e attentamente codificata per cui vi è una richiesta di adesione globale e di partecipazione attiva in misura assai più elevata rispetto alla pratica del cattolicesimo normalmente diffusa o tradizionale.

Vi sono numerosi siti Internet italiani di chiara ispirazione «anti-sette» (che, infatti, spesso fanno riferimento a Lorita Tinelli del CeSAP piuttosto che a don Aldo Buonaiuto o a qualche altro esponente del loro fronte militante, nessuno dei quali però dotato di reali e concrete qualifiche accademiche in tema), in cui vengono presi di mira i succitati gruppi cattolici tanto quanto gli altri movimenti «alternativi».

Quei siti, blog e pagine Facebook «anti-sette», naturalmente, non mancano di portare avanti l’ideologia del controverso concetto di «manipolazione mentale» o «plagio», oramai completamente screditato (e non solo da noi, ma da altre e ben più autorevoli fonti), nel sistematico tentativo di fare pressione su un governo dopo l’altro affinché sia ripristinata una fattispecie di reato, già presente nel periodo fascista e giudicata incostituzionale nel 1981, mediante la quale si possano colpire le credenze «alternative» o «non convenzionali». È un tema che abbiamo affrontato molte volte in questo blog.

Ed ora passiamo alle prove e riportiamo qualche esempio a corredo di quanto stiamo qui affermando.

Fra i movimenti cattolici più colpiti dalla propaganda «anti-sette» vi è senz’altro il «Cammino Neocatecumenale»: in Internet vi sono numerosi siti, blog e gruppi Facebook che lo osteggiano seguendo il solito leitmotiv adoperato nei confronti di tutti gli altri gruppi minoritari: storie di apostati («fuoriusciti»), resoconti di «vittime», critiche al vetriolo, scherno, qua e là offese e turpiloquio.

Ecco un esempio, il post è del Febbraio 2015:


Quanto odio, quanto astio, quanta intolleranza, naturalmente senza alcuna possibilità di replica e di comprensione di tanto livore, dato che non vi è alcuna circostanza precisa né alcuna opportunità per chi sta venendo accusato di discolparsi e di fornire una qualche giustificazione del proprio comportamento.

È un modus operandi tipico degli «anti-sette»: cristallizzare recriminazioni e lamentele malevole senza mai la benché minima parvenza di una par condicio.

Naturalmente, secondo costoro, guai a chi osa divulgare la dottrina del Cammino Neocatecumenale cercando di coinvolgere sempre più persone per pregare assieme e portare avanti quel credo:


In altri termini, guai a rifarsi a ciò che dice la Costituzionehttps://www.senato.it/1024 della Repubblica Italiana: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto» (cfr. art. 19).

Ma non solo i Neocatecumenali sono soggetti a tali episodi di intolleranza: in tutta Internet si trovano i germi dell’ideologia antireligiosa. Qui mostriamo uno stralcio di un intero blog (con decine e decine di post) che attacca i Focolarini, gestito da una psichiatra (naturalmente anche lei apostata del movimento). Il post è piuttosto datato (2010), ma il blog è tuttora attivo e c’è materiale ben più recente:


Per non parlare, poi, dell’allarmismo vero e proprio profuso in trasmissioni televisive come quella già citata all’inizio del presente post, e di molte altre anche recenti: programmi in cui si fa di tutta l’erba un fascio con il chiaro intento di «fare share» diffondendo terrore per la spiritualità e repulsione nei confronti del «diverso».

Tutta questa propaganda mediatica da parte degli «anti-sette» conduce a situazioni grottesche e quasi imbarazzanti come quella che si è verificata a Lugano (Svizzera) il mese scorso, in cui il comune di Lugano ha negato ad una congregazione cristiana denominata Helvetia Christiana (emanazione del più noto movimento Tradizione, Famiglia e Proprietà o TFP, con sede in Roma) il permesso di svolgere una manifestazione (ovviamente pacifica) imperniata sulla recitazione pubblica di un rosario alla presenza di una statua della Madonna di Fatima.

Tale manifestazione, in programma per sabato 26 maggio, voleva anche rappresentare un contraltare del «gay pride» che si sarebbe svolto la settimana successiva (sabato 2 giugno); il municipio di Lugano, però, ha negato il permesso all’evento di Helvetia Christiana mentre ha concesso autorizzazione e patrocinio al «gay pride».

La reazione del movimento cattolico è stata di assoluta indignazione ed ha anticipato la presentazione di un ricorso presso le autorità svizzere, sulla base della protesta per una lampante negazione della loro libertà di espressione e del diritto di professare in pubblico il loro culto.

Di fronte a tali accuse, la replica di un consigliere municipale (tale Lorenzo Quadri) è stata alquanto tranchant e si è incentrata sullo screditare la stessa TFP definendola una «associazione estremista e settaria»: ecco affiorare il tipico metodo «anti-sette», con l’uso offensivo di una certa terminologia «ad effetto».


Non si fa attendere la risposta della TFP, i cui responsabili sono evidentemente ben consapevoli dello stigma che accompagna la parola «setta»:


E pensare che ad utilizzare certa terminologia e certi toni intolleranti, qualche volta, sono persino dei sacerdoti (quelli sì, forse, estremisti) che sembrerebbero voler riesumare la «santa inquisizione», come il succitato don Aldo Buonaiuto!

Ma – anche se non si è cattolici e persino se non si è affatto religiosi perché atei o agnostici – quali dovrebbero essere dei valori di puro e semplice buon senso sui quali fondare le proprie azioni e il proprio comportamento nei confronti di chi porta avanti idee anche radicalmente diverse dalle proprie? Facciamolo dire ad Annalisa Montanaro, l’avvocatessa di una delle sigle più estremiste fra gli «anti-sette», la AIVS:


Ci domandiamo: quanto è in linea una tanto nobile dichiarazione con l’operato concreto degli «anti-sette», documentato nel nostro blog?

mercoledì 6 giugno 2018

Contributo esterno: la vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)

Ecco l’annunciato seguito dello «speciale», scritto da Epaminonda (ormai il nostro più affezionato contributore), sulla vera storia del «Tempio del Popolo». Ricordiamo anche un suo precedente articolo, in due puntate, sul «lavaggio del cervello».

Questo nuovo post descrive l’agghiacciante verità su quel massacro: dimostra, in base a testimonianze dirette e attendibili, come andarono veramente le cose.

Gli «anti-sette» nostrani continuano a sfruttare la valenza «mitologica» del «Peoples Temple» («Tempio del Popolo») per fomentare un allarmismo sociale generalizzato (sfruttando quella che oramai è diventata una sorta di «credulità popolare») e al contempo attirano la curiosità di media e di enti compiacenti e promuovere così la loro campagna ideologica. Campagna che riteniamo dannosa perché infarcita di notizie infondate.

Fra i principali portabandiera di tale propaganda vi è senz’altro Lorita Tinelli, psicologa pugliese, la quale recentemente, nel corso di un seminario via Web tenuto in collaborazione con l’Ordine degli Psicologi della Lombardia, ha sfruttato di nuovo la valenza «mitologica» del «Tempio del Popolo» per «spiegare» (a modo suo, e con argomentazioni alquanto superficiali) il fenomeno dei «culti distruttivi».

Auspichiamo dunque che Lorita Tinelli si informi e si documenti meglio in futuro, soprattutto se deve essere chiamata cattedra professandosi «esperta» di religiosità «non convenzionale» pur non avendo una qualifica accademica in merito.



lunedì 4 giugno 2018

Gli «anti-sette» e la censura continua e sistematica per reprimere la libera opinione

di Mario Casini

Diventa sempre più evidente il continuo, energico e costante tentativo da parte degli «anti-sette» di mettere a tacere le voci critiche e di impedire l’emersione di fatti per loro scomodi.

Si tratta di un modus operandi ormai consolidato, e mentre sul nostro blog ne abbiamo più volte dato conto dimostrandolo con prove concrete, con  l’andar del tempo ho potuto constatare che già ben prima di noi il fenomeno era stato notato e denunciato anche da altri, non solo detrattori tout court degli «anti-sette», ma anche studiosi, figure accademiche, ecc.

Ben lungi dal moderarsi a questo proposito, al contrario gli «anti-sette» sfruttano ogni possibile mezzo per offuscare chiunque possa intaccare la loro immagine mediatica o anche solo fornire dei semplici spunti di riflessione per pensare in maniera diversa da come loro vorrebbero.

Di conseguenza fanno togliere commenti dai loro articoli, bloccano utenti Facebook per impedire di interagire con i loro profili, non accettano «richieste di amicizia», respingono conversazioni, fingono di non sapere quali osservazioni sono state mosse pubblicamente nei loro confronti così da non doverle affrontare, ecc.

Insomma, si barricano dietro una trincea di indisponibilità e insofferenza, ovvero: di intolleranza.

Voglio descrivere qualche esempio degli ultimi tempi.

Questi tre commenti che seguono li ho scritti io stesso e li ho inviati ai rispettivi media, senza che venissero mai pubblicati.

Questo sulla rivista online «Aleteia» (parola che - ironia della sorte - in greco nella sua grafia corretta significherebbe «verità»):


Come si può notare, sia questo che il successivo (su «Gossip Blog») riguardano la campagna pubblicitaria messa in atto da Michelle Hunziker per assicurarsi dei buoni ricavi dal suo ultimo libro, a spese dei movimenti religiosi alternativi:


Qui invece è il ben più blasonato «Eco di Bergamo» a cercare di tapparmi la bocca:


Mi domando: quanti altri commenti sono stati cestinati perché simili al mio o comunque sfavorevoli alla tendenziosa réclame contenuta in quegli articoli?

Quanto è attendibile, quindi, l’informazione proposta da questi media per ciò che concerne il sentimento reale degli utenti?

E proseguiamo con questo commento riguardante l’inquietante caso giudiziario di Mario Pianesi. Altra ironia della sorte, questa volta a censurarmi è la rivista online «Democratica» (di nome, ma non di fatto a quanto pare).

Nell’immagine seguente si vedono due commenti, ma pochi minuti più tardi uno dei due (il più significativo) è stato oscurato e resta visibile solo a me e ai miei «amici» di Facebook, a tutti gli altri no (qui il link a quel post, per chi volesse verificare ciò):


Concludo la carrellata con un commento che ha tentato di inserire un mio caro amico sulla pagina Facebook del controverso libro «Occulto Italia»; gli avevo chiesto io il favore di scrivere qualcosa in calce a quel post, siccome ero stato «bloccato» perché avevo osato dire la mia in precedenza. La sua sorte è stata la medesima:


Anche in questo caso, il commento è stato eliminato e l’utente bloccato dalla pagina (per cui non può più interagire).

Non stupisce affatto, dunque, che un’associazione «anti-sette» obiettivamente estremista come AIVS arrivi addirittura ad escludere un utente dai loro gruppi Facebook soltanto perché si è permesso di reclamare il fatto (inconfutabilmente vero) che la Soka Gakkai è una confessione religiosa riconosciuta dalla Repubblica italiana:


Se non è censura questa (e delle più rigide!), cos’altro è?

A ragion veduta, per una volta non possiamo che essere d’accordo con Lorita Tinelli per il senso di una sua condivisione di qualche tempo fa, che riportiamo qui:


Un messaggio alquanto sorprendente da parte della Tinelli: che stia cominciando a rendersi conto delle proprie lacune e stia quindi svolgendo un serio esame di coscienza? Davvero vorrei poter nutrire questa speranza. Infatti, che abbia un «atteggiamento dogmatico» è palese sulla base delle sue affermazioni di repertorio contro i movimenti religiosi; che non solo «creda», ma sia addirittura interprete di una «pseudoscienza» e stato reso inequivocabilmente chiaro da lei stessa con il mirabolante seminario online che ha tenuto il 18 Aprile scorso, e che sia un po’ fondamentalista rispetto ai fenomeni religiosi risulta pure piuttosto evidente da certi discorsi che fa pubblicamente.

Pertanto, non deve stupire che denoti uno «scarso approccio analitico» e «poca apertura mentale» (tanto lei quanto gli altri «anti-sette» suoi colleghi), tali da indurla al rifiuto costante (e alla veemente censura) di opinioni divergenti, invece che essere predisposta al dialogo costruttivo e all’esame di critiche obiettive.