domenica 31 dicembre 2017

Aggiornamento breve - Oggi a me, domani a te

Come si è più volte denunciato (e si continuerà a denunciare) in questo blog, gli «anti-sette» generano rumore e allarmismo (fondato o meno, per loro non sembra essere molto importante) ai danni di gruppi da loro opinabilmente ritenuti «controversi» o «distruttivi», formulando sospetti e fomentando timori ingiustificati, tanto da arrivare a istigare accuse che si tramutano in indagini e processi, dei quali qualcuno finisce poi vittima.

Ne sono stati casi eclatanti il processo ai «Bambini di Satana», l’inchiesta contro i presunti «Angeli di Sodoma», la vicenda giudiziaria di Fiorella Tersilla Tanghetti additata come la «santona» del bresciano, il caso Arkeon ed altri tutti italiani, per non parlare delle tragedie di risonanza internazionale come il rogo del ranch di Waco (Stati Uniti) del 1993.

Quando a venire sbattuto in prima pagina come «mostro» di turno è un seguace di qualche culto religioso emergente o gruppo spirituale di minoranza, gli «anti-sette» calcano la mano, usano toni forti, lanciano anatemi, gridano allarmi e invocano l’intervento dello stato.

Quando invece è qualcuno dei loro  ad essere sotto accusa, allora diventano improvvisamente garantisti. Emblematico ed esemplare è, a tal proposito, il caso dello psichiatra anti-sette Marco Casonato, indiziato per l’assassinio del fratello dopo anni di litigi per una questione ereditaria. Ne avevamo accennato in un precedente post.

Attualmente Casonato è in prigione per motivi cautelari, tuttavia vale o dovrebbe valere, per lui come per ogni altro cittadino italiano, il sacrosanto principio che si è ragionevolmente innocenti fino a prova contraria.

Ecco come reagiscono gli «anti-sette» e i loro amici a una carcerazione ritenuta ingiusta:


«Il processo mediatico»? Ma guarda un po’, sembra proprio tale e quale ciò che avviene per i «culti distruttivi» ben prima che si possa accertare se hanno commesso qualche marachella o se qualche «ex» inacidito s’è inventato tutto.


Parole sante, non c’è che dire. Ma come mai costoro non insorgono anche quando un devoto di Sai Baba viene messo sotto accusa per aver «manipolato la mente» di qualche suo compagno di fede?


In linea di principio non possiamo che convenire: è ingiusto che una persona rimanga in carcere in attesa che la giustizia faccia il proprio corso, e se proprio ciò deve avvenire, dovrebbe limitarsi a un tempo brevissimo.

Ma perché Di Fiorino e i suoi amici non hanno protestato in modo simile quando a venire tranciati dalle affilate lame della macchina giudiziaria messa in moto dalla mitraglia mediatica «anti-sette» sono stati i quattro giovani pescaresi additati come gli «Angeli di Sodoma»?

Sarà forse una nemesi? Sarà da intendersi come karman?

Eppure anche don Aldo Buonaiuto è stato indagato per pedofilia. Sì, proprio il don Buonaiuto che si scaglia in modo tanto veemente contro le «sette», contro i criminali sessuali e contro gli sfruttatori della prostituzione: fu sotto inchiesta da parte della procura di Ancona all’inizio del 2004 per un’accusa di abuso sessuale ai danni di un minorenne.

In Internet ormai non vi è più alcuna traccia di quella vicenda giudiziaria, evidentemente alquanto scomoda per un prete che deve mantenere un’immagine irreprensibile; tuttavia, un lettore che era a conoscenza del caso ci ha mandato questo contributo:


In poche parole, anche don Aldo Buonaiuto, secondo giustizia, è stato innocente fino a prova contraria. Per l’accusa di pedofilia è stato infatti prosciolto il 29 marzo 2004 «perché il fatto non sussiste» in virtù del fatto che la testimonianza della presunta vittima fu ritenuta «totalmente inattendibile».

Nulla del genere per i seguaci dei nuovi movimenti religiosi: la loro reputazione dev’essere infangata e poco importa se un domani verranno riconosciuti innocenti; così sembrano voler ragionare gli «anti-sette» come lo stesso don Buonaiuto.

Due pesi e due misure, quindi?

sabato 30 dicembre 2017

Fiorella Tersilla Tanghetti, come costruire un «mostro» dal nulla

In questo post diamo conto del modus operandi degli «anti-sette», approfondendo in particolare il caso di Fiorella Tersilla Tanghetti, un’imprenditrice ingiustamente additata e sottoposta alla gogna mediatica come una «guru» dispotica e violenta, la «santona di Prevalle» (un paese della provincia di Brescia)

Anzitutto, un breve riassunto della vicenda: Fiorella Tanghetti è una donna d’affari bresciana che già intorno al 1992, nel pieno del proprio successo, aveva fondato un’associazione senza fini di lucro di matrice cattolica impegnata nell’attività di assistenza alle famiglie per l’alloggio e il recupero di ex tossicodipendenti. Si chiamava «Casa del Pellegrino». Successivamente si allargò e divenne la «Comunità Sergio Minelli», in seguito denominata Associazione Minelli onlus.

Nei primi anni 2000, l’associazione venne sottoposta al vaglio della magistratura per delle denunce da parte di ex ospiti della comunità: nel 2004 e nel 2006 furono svolte delle indagini approfondite per verificare dei presunti casi di maltrattamenti ed altre irregolarità, al punto che fu disposta una maxi perquisizione congiunta fra carabinieri e Guardia di Finanza, con tanto di elicotteri a sorvegliare i luoghi. Tuttavia, non solo non venne riscontrata alcuna irregolarità, ma le istituzioni locali continuarono a collaborare con l’associazione per portare avanti iniziative di assistenza sociale.

A scatenare quelle inchieste erano state delle denunce da parte dell’ex compagno della Tanghetti, il bergamasco Michelangelo Inverardi, e di un’altra signora che aveva vissuto nella comunità per diversi anni, tale Orietta Reboldi:


È il solito schema che si osserva pressoché ogni volta in cui un «culto» o un movimento «discutibile» viene preso di mira dai media o dai gruppi «anti-sette»: qualche ex seguace di un gruppo che ha una certa caratterizzazione religiosa lo abbandona e comincia ad opporvisi con sempre maggiore veemenza, fino a conseguenze conflittuali estreme.

Nel Dicembre del 2006, viene istituita la «Squadra Anti-Sette» (SAS) presso il Ministero dell’Interno. Ed ecco che meno di tre anni più tardi, nel 2009, di punto in bianco, viene riaperta l’inchiesta a carico di Fiorella Tanghetti e della «Comunità Sergio Minelli», sempre sulla base di quelle stesse testimonianze che erano già state oggetto di indagini. Un accanimento che ha evidentemente trovato terreno fertile nel solco della propaganda «anti-sette».

Infatti, ecco uno dei primi titoli che si leggono sui giornali locali bresciani:


Sin da subito, i legali dell’associazione commentarono: «Lagnanze di pochi soggetti inattendibili e animati da risentimenti e rancori, a fronte di centinaia e centinaia di persone che hanno fruito di vantaggi morali, materiali ed educativi dalle associazioni al centro dell’indagine».

Addirittura il sindaco del piccolo comune di provincia in cui ha sede la comunità spezzò una lancia in favore dell’associazione: «Quando la comunità arrivò a Prevalle era naturale che anche come amministrazione ci interrogassimo sulla sua attività. Con il tempo siamo riusciti non solo a conoscerli ma anche a rivolgerci a loro per la realizzazione di alcuni interventi in campo sociale e assistenziale. Sapevamo da tempo, perché coinvolti istituzionalmente, dell’inchiesta della magistratura e a nostra volta avevamo compiuto alcune nostre verifiche di tipo amministrativo. Da cui non è mai emerso nulla di irregolare».

Ma purtroppo, ad onta di un ragionamento tanto logico e chiaro come quello esposto dagli avvocati e dall’amministrazione locale, l’accento mediatico e il rimbombo dei titoloni segue sempre le accuse più infamanti: «alcuni ex ospiti hanno denunciato di aver subìto maltrattamenti e che un trattamento durissimo e spesso inumano sarebbe stato messo in atto nei confronti tanto di adulti quanto di bambini».

E naturalmente, già all’indomani, si mette in moto la macchina del fango «anti-sette» del CeSAP di Lorita Tinelli:


Ecco il solito titolo allarmistico, «la setta della porta accanto»: il massimo risalto viene dato alle accuse di parte, poco importa che siano ancora tutte da verificare, anzi, poco importa che accuse di quel genere siano già state accuratamente verificate in passato e si siano rivelate infondate. Al CeSAP è sufficiente riprendere pari pari l’articolo scandalistico di Carmelo Abbate pubblicato da «Panorama».

Una decina di giorni più tardi, l’allora consociata potentina del CeSAP, la fantomatica ed oggi scomparsa «Associazione Tutor» (di cui si parla in dettaglio nel blog «Pensieri Banali»), pubblica a sua volta una «notizia» sul caso Tanghetti riferendo che lo scandalo nasce appunto dall’inchiesta di Panorama:


E da lì in avanti è una escalation di titoloni scandalistici e roboanti che mirano a spaventare e fare sensazione:



Parole forti come «La comunità degli orrori»: di nuovo, viene dato ampio spazio a una dozzina di persone che protestano contro l’indagata Tanghetti (la quale, lo ricordiamo, andava considerata innocente fino a prova contraria):


Al contempo, fortunatamente, la stampa non può esimersi dal riferire anche che «le indagini sono state chiuse senza provvedimenti cautelari e non è ancora stato chiesto il rinvio a giudizio».

Nel periodo appena successivo, in risposta a una tanto pesante copertura mediatica, si mobilitano gli affiliati della comunità, peraltro ben più numerosi dei pochi scontenti che hanno ottenuto la riapertura del caso giudiziario:


La folla di aficionados della Tanghetti conta circa dieci volte le persone che le avevano manifestato contro.

Ma non solo: le loro dichiarazioni si sovrappongono completamente a quelle rilasciate dagli accusatori, perché si tratta degli stessi soggetti chiamati in causa proprio dai querelanti:


Ciò nonostante, sul sito del CeSAP non vi è traccia di tali dichiarazioni: in altri termini, la solita «informazione» (per modo di dire) tendenziosa e a senso unico.

Al contrario, di lì a poco gli «anti-sette» non mancano di ridare fiato alle trombe:


A dare un’ennesima dimostrazione che la «longa manus» dei gruppi «anti-sette» è ben presente ed attiva anche in questo caso dietro alla macchina del fango contro la «Comunità Sergio Minelli», è l’unico commento lasciato in calce a questo articolo e scritto da Maria Pia Gardini (ora defunta), rappresentante della famigerata ARIS («Associazione per la Ricerca e Informazione sulle Sette»), una sigla del tutto in linea con l’operato di FAVIS e CeSAP:


Infatti, il commento porta avanti la fumosa teoria del «plagio» e dei relativi progetti di legge, un cavallo di battaglia non solo dell’ARIS ma anche di Lorita Tinelli, Sonia Ghinelli e Maurizio Alessandrini.

Sotto una tale pressione mediatica, persino la Diocesi di Brescia abbandona la Tanghetti al proprio destino: con un comunicato ufficiale del 21 febbraio 2011, la Curia prende le distanze dalla «Comunità Sergio Minelli» e dichiara di non averla mai ufficialmente riconosciuta; addirittura, mette in guardia «davanti al pericolo di ogni indebita mescolanza tra sacro e profano».

Tanto per non smentirsi, il CeSAP non manca di dare risalto a quest’ultima notizia, mentre non c’è traccia sul loro sito della manifestazione con cento persone a favore dell’accusata:


D’altronde, Lorita Tinelli ha tutto l’interesse a fomentare l’allarmismo e il terrore di realtà non di immediata comprensione come la comunità nata per iniziativa di Fiorella Tanghetti: infatti, è proprio grazie a quel can can sulla stampa e in TV che lei riesce ad ottenere interviste e «contributi» a riviste come «Viver Sani & Belli». Pubblicità gratuita per la sua attività di psicologa e più punti a favore della sua nomea di «esperta»:


E pensare che in gennaio del 1994 fu presentata addirittura un’interrogazione parlamentare per sbloccare la macchina burocratica a causa della quale stava venendo impedita la realizzazione di una comunità di recupero per tossicodipendenti, gestita dalla «Casa del Pellegrino».


Insomma, ecco come un’imprenditrice di successo che si tanto impegnata nel sociale facendo del bene a centinaia di persone è stata trasformata nel Mengele di Prevalle, solo ed esclusivamente sulla base delle testimonianze di «ex» inviperiti e grazie al battage mediatico dei soliti «anti-sette».

Conclusione dell’inchiesta? Ne parlavamo in questo post: dopo quattro anni di processi fino al massimo grado di giudizio, la Tanghetti è stata prosciolta da tutte le accuse più infamanti, dalla riduzione in schiavitù al sequestro di persona; lo stesso è avvenuto per l’imputazione di associazione a delinquere a capo della comunità, in parte per intervenuta prescrizione e in parte perché, come si è già detto, erano già state svolte delle indagini che non avevano accertato alcun illecito.

Addirittura, ne è scaturito un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani nel tentativo di ottenere, se non un risarcimento danni, almeno il riconoscimento dello status di vittima di malagiustizia.

Ecco il «lavoro» degli «anti-sette»: costruire «mostri» inesistenti per trarne vantaggi personali.

Un interrogativo: gli «anti-sette» sono estremisti di destra?

A scanso di equivoci, precisiamo sin da principio che, per una volta, vogliamo fare una «eccezione alla regola» e pubblicare un testo un po’ diverso dal solito. Infatti, qui formuliamo più che altro delle ipotesi e diamo voce a degli interrogativi che ci sono sorti nell’ultimo periodo collegando tutta una serie di fatti antecedenti: potremmo sbagliare, pertanto non consideriamo queste riflessioni dei dati di fatto, ma le proponiamo ai lettori come spunti da riesaminare.

Partiamo dalla fine degli anni ’90, quando il neonato movimento politico di estrema destra «Forza Nuova», guidato da Roberto Fiore, pregiudicato per banda armata e associazione sovversiva nel processo per la strage di Bologna, da poco rientrato in Italia dall’Inghilterra, congloba nel proprio manifesto la «lotta alle sette religiose»:


Come si può notare, si trattava di dichiarazioni piuttosto esplicite e categoriche che non lasciavano spazio a nessun genere di dialettica, tant’è che già in quel periodo alcune «squadracce» di forzanovisti si resero responsabili di atti violenti, fra cui in particolare vanno ricordati i fatti di Roma del Maggio 1998 e il coinvolgimento nei tragici disordini di Genova del 2001.

Ma il legame con i gruppi «anti-sette» si evidenziò in maniera inequivocabile nel Marzo del 2002, quando Forza Nuova diede spazio ad una sigla famigerata come la «Associazione per la Ricerca e Informazione sulle Sette» (ARIS, oggi sostanzialmente defunta dopo vari guai giudiziari dei suoi soci) avendola assunta come punto di riferimento per fornire l’indispensabile materiale ideologico al fine di combattere i movimenti da loro considerati più «discutibili» e quindi (va da sé) più facilmente attaccabili sul piano dell’opinione pubblica.

Le attività antireligiose di Forza Nuova scemarono un po’ alla volta di fronte al rigetto pressoché spontaneo che se ne registrò da parte della stragrande maggioranza dei cittadini italiani, a cui la repressione violenta della diversità (per quanto la si possa dipingere come «discutibile») non sembra proprio andare a genio.

Nel 2001, Renato Meduri, senatore della Repubblica di «fede politica» notoriamente fascista (sic!), presentò il progetto di legge nr. 800 «Norme per contrastare la manipolazione psicologica», espressamente mirato contro i nuovi movimenti religiosi anche se, ovviamente, presentati alla maniera allarmistica tipica degli «anti-sette».

Per la cronaca, quella proposta di legge non ebbe alcun seguito concreto, ma negli anni successivi vi furono ancora vari tentativi simili di restaurare il «reato di plagio», nessuno dei quali però passò il vaglio del dibattimento parlamentare.

Sempre Meduri, in Gennaio 2006, presentò un’interrogazione parlamentare palesemente istigata dall’associazione FAVIS di Maurizio Alessandrini e Sonia Ghinelli. Anche quell’iniziativa finì lettera morta in quanto la situazione tanto «allarmante» che veniva riferita (con tanto di esplicita richiesta di intervento dello Stato) risultò essere più che altro una bega di cortile. Infatti, in seguito fu proprio il figlio di Alessandrini a smascherare le gravi incongruenze nell’operato della FAVIS, che in fin dei conti era composta principalmente dai suoi stessi genitori e da quella Sonia Ghinelli che oggi cerca di operare nell’anonimato tramite il controverso profilo Facebook «Ethan Garbo Saint Germain». A questo proposito vi è una interessante intervista resa pubblicamente da Fabio Alessandrini.

Sono invece recentissimi le dichiarazioni sdegnate degli «anti-sette» nei confronti (addirittura!) del cardinale Giuseppe Betori, a loro avviso «reo» di aver contrattato con un’altra confessione religiosa (la comunità islamica) la cessione di un terreno sul quale edificare un luogo di culto. Ecco come commenta il fatto lo psichiatra Mario Di Fiorino, un «anti-sette» e sostenitore delle teorie sul «plagio» sin dagli anni ’80:


Addirittura esorta i suoi contatti alla protesta pubblica contro il porporato:


Di Fiorino, il cui colore politico notoriamente non rosseggiante, si accoda alle voci polemiche di bigotti e intransigenti che, in effetti, attaccano il vescovo di Firenze con le stesse identiche argomentazioni degli estremisti di Forza Nuova:


Ecco infatti un post pubblicato su un gruppo Facebook che frequentemente pubblica le stesse notizie propalate da CeSAP, FAVIS, ecc.


I commenti stimolati da quel post parlano da sé:


Notare il livello culturale, come sempre elevatissimo, della dialettica «anti-sette»:


E poi non mancano mai i «leoni da tastiera» che da «anti-sette» si palesano per quel che sono, antireligiosi:


Avanziamo solo di una decina di giorni, quando l’accoppiata Lorita Tinelli (CeSAP) e Sonia Ghinelli (FAVIS) dà spazio e pubblica condivisione a questa notizia:


Lo stesso fa Toni Occhiello dell’AIVS praticamente in coincidenza:


Piccola nota di colore, questi post sono stati condivisi il giorno di Natale! Sbalorditivo… non pare un’ossessione?

Ma a parte la peculiarità cronologica, la condivisione e ripubblicazione di questa notizia richiama alla memoria quanto era avvenuto solo qualche mese prima (Luglio  2017) quando un tale di nome Adrian Oertli, un ex militante di estrema sinistra, raccontò ai media il suo «caso» per dimostrare in che modo, a suo dire, le organizzazioni comuniste sono del tutto equiparabili a «sette» nelle quali si pratica la «manipolazione mentale» coercitiva. Manco a dirlo, un’altra occasione creata ad arte per riproporre il solito minestrone del «plagio nei culti distruttivi»:



Non pare affatto strano che Oertli abbia stretto proprio in quel periodo amicizia su Facebook con Luigi Corvaglia, lo psicologo amico di Lorita Tinelli dalla quale ha anche raccolto il testimone della presidenza del CeSAP:


Tutto ciò premesso, dobbiamo ammettere che da queste riflessioni ne sono scaturite altre e ci siamo via via resi conto che l’argomento meriterebbe ulteriori e più consistenti indagini.

Sebbene molte delle attività degli «anti-sette» coinvolgano dei nostalgici del «ventennio» o, in ogni caso, degli estimatori dell'autoritarismo, forse non è completamente corretto sostenere che gli «anti-sette» siano tendenzialmente di destra.

Infatti, in più occasioni personaggi come Maurizio Alessandrini della FAVIS e i suoi compari si sono aggrappati al carrozzone della sinistra, pur di ottenere qualche interrogazione parlamentare preconfezionata: basti pensare al comunista Tiziano Arlotti o al democristiano Pino Pisicchio (ne davamo conto in questo post).

Sarebbe allora più corretto, forse, affermare che agli «anti-sette» piacerebbe essere di estrema destra per dispensare olio di ricino e manganellate in tutta libertà, ma al contempo devono fingersi democratici e garantisti per ottenere qualche appoggio politico.

Semplici opportunisti? O profittatori qualunquisti?

giovedì 28 dicembre 2017

L’innocenza del pappagallo e della cocorita



Ormai si sa, a Lorita Tinelli piace salire in cattedra e bacchettare a destra e a manca secondo il proprio umore. Questa volta però se l’è presa con l’Ordine degli Psicologi della Puglia, la stessa organizzazione della quale lei si proclama paladina. Una posizione evidentemente non condivisa da chi invece governa l’Ordine per mandato ufficiale.

Quindi ci ritroviamo in una situazione paradossale: Lorita Tinelli che spara a zero sull’Ordine per lo spreco di denaro nella realizzazione di un sito che, secondo lei, non è all’altezza perché manca di trasparenza.

Un esponente dell’Ordine della Puglia reagisce riportando informazioni che la riguardano, reperite sul Web. Lei lo censura facendo pressione affinché rimuova tali commenti e informazioni dal gruppo di Facebook a cui partecipano entrambi, dimostrando che la trasparenza per Lorita è un concetto a senso unico.

Infine Lorita chiama in causa l’Ordine della Puglia mediante una segnalazione deontologica nella speranza che punisca l’avversario, ma l’Ordine chiude la questione indicando che il malcapitato si era limitato a copiare informazioni già pubblicate da altri. Lorita esce dallo scontro con le piume arruffate.

Ma ecco, immantinente, accorrere un cavalier servente che si erge a sua difesa scrivendo un articolo di critica sull’Ordine: Federico Zanon, uno psicologo di Padova che chiaramente conosce molto bene le problematiche dell’Ordine degli Psicologi della Puglia (in fin dei conti, sono solo 700 chilometri di distanza…) grazie al parere sicuramente imparziale di Lorita Tinelli.

 L'innocenza del pappagallo Lorita Tinelli

Zanon scrive infatti un articolo intitolato: «L’innocenza del pappagallo. Storia di Lorita e dell’Ordine della Puglia». Un titolo curioso visto che uno dei nomignoli affibbiati sul Web a Lorita è proprio quello di «Cocorita» (come riferivamo circa a metà di questo nostro post). Un lapsus freudiano?

Del resto lo stesso Zanon ammette in apertura del suo articolo di aver visitato e letto i blog che parlano della Tinelli che evidentemente hanno lasciato traccia.

Ma la vera questione sollevata da Zanon è l’inaffidabilità del sistema di controllo deontologico dell’Ordine. Lo avevamo riportato anche noi quale forte pecca: gli psicologi vengono giudicati da altri psicologi e, in questo caso, un consigliere dell’Ordine della Puglia è stato giudicato da altri consiglieri.

Zanon s’inalbera e scrive: «Come ci si aspetterebbe che agisse l’Ordine regionale in un caso come questo? Beh, per prima cosa i consiglieri che conoscono il segnalato forse dovrebbero astenersi. Se non partecipo al giudizio deontologico di un collega di studio, perché dovrei giudicare un mio collega di consiglio? Ma così non è stato: in Puglia il caso è stato giudicato».

Quindi contesta l’Ordine per aver seguito la prassi deontologica già definita perché in un caso «speciale» come questo, dove era stata coinvolta nientemeno che Lorita Tinelli, il consiglio dell’Ordine avrebbe dovuto auto-ricusarsi in blocco e lasciare che qualcun altro giudicasse della questione. Chi? Zanon non lo dice, ma ci spiega che la deontologia professionale degli psicologi è un gioco d’azzardo.

Leggiamo nel suo articolo: «Nulla di tutto questo è illegittimo, intendiamoci: per come è oggi la deontologia degli psicologi, vale anche il poker a briscola. Sarebbe da fare ricorso al TAR. Insomma, una tarantella infinita».

Eppure Zanon non si accontenta di biasimare l’Ordine della Puglia per la vicenda Tinelli e tira fuori anche un vecchio scheletro dall’armadio: «C’era già stato un precedente molto simile, in questo Consiglio dell’Ordine Puglia: sempre un consigliere, sempre giudicato dai suoi stessi colleghi consiglieri. In quel caso venne pure sanzionato. Stava in un gruppo politico di minoranza, il che rese tutto ancora più singolare».

Quindi non solo l’Ordine degli Psicologi della Puglia ha sbagliato nei confronti di Loretta Tinelli, ma si è reso anche colpevole di favoritismi politici nelle proprie decisioni deontologiche.

Per fortuna che c’è Zanon che diventa all’istante il Robin Hood del Triveneto e ci spiega come funzionano veramente gli Ordini degli Psicologi in Italia: «Qui c’è un problema che tiriamo avanti dal 1989: i ventuno Ordini regionali funzionano come altrettante contee di Nottingham, ciascuna con i suoi sceriffi e un proprio modo di esercitare la funzione deontologica… Con il fondato pericolo che la deontologia diventi anche strumento di offesa politica».

Insomma, secondo il nostro autore, la deontologia professionale degli psicologi in Italia è una questione da Far West. Ci sono gli sceriffi e i pistoleri e vince chi gioca a poker quando la briscola è bastoni, vale a dire chi ha i giusti agganci politici.

Quello che comprendiamo da questa vicenda è che non ci sono regole né tanto meno garanzie. E’ un mondo di clientele dove l’ago della bilancia pende nella direzione di chi in quel momento ha la voce più forte. Evidentemente non la Tinelli.

Da parte sua Zanon sembra invece volersi in parte sostituire all’Ordine. Compare come membro della redazione di AltraPsicologia.it un sito che si prefigge di fornire «informazione, tutela e promozione». Ma non è forse quello che dovrebbe fare l’Ordine?

Un sito su cui naturalmente scrive anche Lorita Tinelli e che ha redazioni centrali e regionali, ma non ha un direttore responsabile. Forse un conflitto con l’Ordine dei Giornalisti? Magari no, perché sul sito si affrettano a spiegare che non ha periodicità e non è una testata giornalistica registrata. Ma allora perché parlare di redazione? E di certo la cadenza delle pubblicazioni appare fin troppo regolare.

Sicuramente esiste un conflitto con l’Ordine degli Psicologi visto che Altrapsicologia si presenta come: «un’associazione privata senza fini di lucro che si occupa della professione di psicologo e delle politiche professionali di categoria». Praticamente le stesse mansioni che sarebbero affidate all’Ordine professionale.

Stiamo assistendo a una lotta interna tra gli sceriffi della professione di psicologo in Italia? Evidentemente sì e Lorita Tinelli, come suo solito, è al centro del conflitto.

mercoledì 27 dicembre 2017

Aggiornamento breve – Ecco cosa dicono del «plagio» i veri esperti di spiritualità e religione

Gli esponenti «anti-sette», quando vengono posti di fronte a interrogativi diretti e stringenti, non possono far altro che ammettere la lacunosità della loro preparazione in materia di religioni e di spiritualità.

Invece, i veri esperti esistono e svolgono un’attività continua di informazione e di promozione della cultura del rispetto per le diversità e dell’interazione fra le differenti culture ed etnie.

In data 22 Novembre scorso, nell’ambito di una conversazione pubblica sulla nostra pagina Facebook, Sonia Ghinelli (sempre sotto lo pseudonimo del suo controverso profilo Facebook «Ethan Garbo Saint Germain») messa di fronte a una domanda senza fronzoli, risponde ammettendo chiaramente che non ha alcuna qualifica di merito (ovvio che poi fa tutto un peana per accampare pretese sulla giustezza del suo operato, ma il fatto resta):


Similmente, appena qualche giorno fa Giovanni Ristuccia ha altrettanto pubblicamente ammesso (senza che nemmeno glielo domandassimo, ma tant’è) di essere privo di qualifiche accademiche:


Veramente sbalorditivo: Ristuccia non ha mai conseguito titoli «cattedratici» (che forse, con un italiano migliore, più che «cattedratici» avrebbe definito «accademici»), però siccome ha molta «esperienza» (qualità alquanto impalpabile se non si producono numeri, circostanze e prove concrete) si professa «esperto». Bontà sua, con tutto il rispetto non può che definirsi una competenza completamente autoreferenziale.

Discorso non dissimile per la figura di don Aldo Buonaiuto sul quale, come invece citavamo in un recente post, è intervenuto niente meno che Massimo Introvigne (in questa intervista), chiosando come quel prete «anti-sette» sia evidentemente «un militante, non uno studioso», infatti nel suo curriculum non potrà mai elencare «centinaia di pubblicazioni su riviste internazionali, o presso case editrici accademiche, che le sottopongono al vaglio rigoroso della (…) recensione anonima da parte di colleghi universitari», come invece possono fare i veri esperti che si sono dati la pena di esaminare a fondo e in modo obiettivo le spiritualità più disparate e i gruppi religiosi più distanti dalla nostra tradizione.

Qualcuno potrà interrogarsi sulla ragione per cui siamo tanto insistenti a proposito dei titoli di studio: certamente un abito non fa il monaco e non è detto che si debba avere una laurea per concretizzare delle buone intenzioni, tuttavia quando si esprimono giudizi tanto forti e categorici (come fanno Sonia Ghinelli, Maurizio Alessandrini, Giovanni Ristuccia, Lorita Tinelli, don Aldo Buonaiuto, ecc., i principali militanti «anti-sette» italiani) nei confronti di gruppi spirituali o di meditazione, confessioni religiose, minoranze, ecc., si dovrebbe essere come minimo preparati. Inoltre, più severo è il giudizio che si formula o il provvedimento che si adotta, maggiore ci si aspetterebbe che fosse la competenza in materia. Per fare un paragone, non si affiderebbe mai la costruzione di un viadotto a qualcuno che abbia «studiato ingegneria» e che abbia «lavorato per vent’anni nel settore» (magari vendendo attrezzature); no davvero: una tale opera sarebbe da affidare (tanto per cominciare) a un ingegnere iscritto all’albo, e che possa sfoggiare referenze di tutto rispetto e qualifiche certificate! E questo è un concetto talmente banale, che mette in luce in modo ancora più lampante l’assurdità dei discorsi di Ghinelli, Ristuccia e compagnia quando tentano di difendere l’indifendibile.

Non hanno affrontato studi seri e completi in materia, eppure si lanciano in teoremi fantasiosi su vari aspetti del complesso mondo della spiritualità alternativa e dei movimenti religiosi, tanto quanto sul famigerato concetto di «plagio» o «lavaggio del cervello» o «manipolazione mentale» che dir si voglia.

Ed eccoci finalmente al tema proposto nel titolo del presente post: un brevissimo ma interessante video della prof.ssa Raffaella Di Marzio, docente universitaria e studiosa di religioni, sette e spiritualità:


D’altronde, sul controverso (proprio ad opera degli «anti-sette») argomento della «manipolazione mentale» proprio il succitato prof. Introvigne ebbe a scrivere un intero saggio, dall’eloquente titolo «Il lavaggio del cervello: realtà o mito?». Maggiori informazioni a proposito della controversia sul «plagio» si possono trovare in questa pagina.

Ecco, dunque, quanto è netta la distinzione fra i veri esperti (studiosi qualificati) e i facinorosi militanti «anti-sette».

domenica 24 dicembre 2017

I comunisti mangiano i bambini? No… loro no, ma le «sette» sì!

[Post aggiornato il 16 Marzo 2018]
[Nota: i nomi sono stati oscurati per non perpetrare il sopruso.]

Prima che qualcuno prenda troppo sul serio la nostra provocazione, precisiamo che solo per amor di satira abbiamo intitolato questo post ricalcando la «storica» fanfaluca a proposito dei «compagni» di sinistra (per ulteriori spiegazioni, rimandiamo a questo articolo). Oggi la si definirebbe una «bufala», ma la somiglianza con quanto andremo a raccontare è emblematica.

Un lettore ben informato che sta seguendo il blog e che ha letto il nostro post a proposito della vicenda giudiziaria dei presunti «Angeli di Sodoma», ci ha fatto gentile dono di un documento alquanto pertinente che, pur essendo pubblico, non ci risulta abbia mai visto la luce.

Ne pubblichiamo qualche stralcio per fornire ulteriori elementi a dimostrazione dello scellerato modus operandi degli «anti-sette» e del modo in cui essi foraggiano la «Squadra Anti-Sette» (SAS) per colpire le persone più deboli e i gruppi di minoranza da loro opinabilmente classificati come «culti distruttivi».

Si tratta della famigerata relazione di don Aldo Buonaiuto, sulla base della quale non solo la magistratura ha inflitto la carcerazione preventiva (in attesa di giudizio) a quattro imputati, ma la macchina del fango fomentata dai soliti «anti-sette» ne ha anche rovinato per sempre l’esistenza marchiandoli a fuoco con un’ingiusta nomea di maniaci e assassini. L’unica verità è che uno di loro aveva commesso il reato di cessione (nemmeno spaccio) di stupefacenti (ed è stato quindi condannato per tale illecito).

Come si diceva appunto in quel già citato post, pochi mesi prima dell’istituzione della SAS e proprio in occasione dell’inchiesta giudiziaria che era partita su quei quattro giovani satanisti del pescarese, don Aldo Buonaiuto era stato «nominato sul campo ufficiale di polizia giudiziaria» per assistere «i poliziotti nei meandri oscuri dei riti dedicati al demonio». In altri termini, era stato assunto come consulente dalla Polizia Giudiziaria che stava indagando.

Ecco, infatti, come titolava la relazione (nove pagine) redatta da don Buonaiuto:


Ed ecco come veniva giustificato, nell’introduzione di quel documento (prima pagina), il ruolo del prete cattolico:


Vorremmo soffermarci su un elemento che viene qui fornito: «dopo (…) aver esaminato tutto il materiale acquisito» significa, senza mezzi termini, che don Buonaiuto ha avuto accesso sin dall’inizio a tutti i documenti dell’indagine, ovviamente secretati e quindi preclusi a chiunque altro, persino ai legali degli imputati. Ne consegue che a un prete cattolico (peraltro privo di qualsivoglia titolo accademico in materia di religioni e spiritualità con l’unica, ovvia eccezione della propria) viene affidato l’incarico – singolarmente (per non dire paradossalmente) – di redigere una relazione riguardo a un gruppo di satanisti: quale obiettività potrà mai avere una tale figura? In forza di un simile incarico, tale prete cattolico è automaticamente investito di un potere immenso, ossia quello di esprimere giudizi di merito e accuse molto pesanti che non saranno sottoposte ad alcun contraddittorio né al vaglio di alcuna critica.

Giudizi e considerazioni che, infatti, sono valsi agli imputati il carcere e la rovina totale della loro reputazione ad opera della macchina del fango «anti-sette», già molto prima (ben tre anni) che il tribunale potesse esaminare gli elementi e formulare una propria sentenza.

Sentenza che, quando è arrivata, ha clamorosamente smentito la versione iniziale ed ha razionalmente sanzionato solo i fatti criminosi accertati, nessuno dei quali collimava con i roboanti anatemi del sacerdote livornese.

Tant’è che la denominazione stessa «Angeli di Sodoma» è un’invenzione giornalistica (utile per suscitare timori e ribrezzo) e infatti i quattro indagati hanno subito un massacrante processo mediatico grazie a don Buonaiuto e ai suoi colleghi. Alcuni media di quel periodo sono ancora rintracciabili su Internet, con i loro titoli sensazionalistici: «Bambini drogati e violentati per riti satanici», «Bimbi violentati e drogati, 4 arresti» e «Sette sataniche, “Angeli di Sodoma” pericolosi – ramificazioni da nord a sud».

Ma torniamo al documento ed esaminiamone alcuni passaggi.

Questo paragrafo è posto all’inizio della relazione vera e propria:


Sorvolando su quel curioso quanto ambiguo «egregiamente» che sa un po’ di sviolinata, notiamo subito due elementi cardine: anzitutto, il «gruppo satanico» oggetto di indagine (e dunque – teoria vorrebbe – in quanto tale da considerare innocente fino a prova contraria) è immediatamente definito una «nefasta realtà»; ciò indica inconfutabilmente che la relazione di don Aldo Buonaiuto parte sin da principio con una sentenza inappellabile di colpevolezza, o per dirla in altro modo, con un profondo pregiudizio che non lascia spazio ad alcuna obiettività o serena osservazione. Quale metodo scientifico può venire adottato in presenza di un simile preconcetto?

L’altro elemento è quello dell’allarmismo, che spicca anch’esso da quel primo, chiassoso paragrafo: i quattro giovani pescaresi sarebbero stati addirittura, secondo don Buonaiuto, esponenti di una realtà criminale internazionale. Nulla, però, di quei legami stile «cospirazione mondiale» (che ci ricordano famosi film americani ricchi di effetti speciali), è mai emerso dal processo o dal proseguimento dell’inchiesta. Da quali elementi li avrà colti il prete della SAS? Forse dalla sua inesistente preparazione accademica in materia di criminologia o di filosofia della religione o di sociologia?

Più oltre nella relazione, don Aldo Buonaiuto cerca di portare prove a dimostrazione della sua tesi accusatoria:



Posto che i quattro ragazzi indiziati si fossero dati la denominazione di «Angeli di Sodoma», questa è una pura e semplice interpretazione del significato che essi avrebbero potuto attribuire al vocabolo «angeli»; ma poi,come in un sillogismo sofistico la trattazione prosegue e finisce per tradursi nel sospetto che il gruppo potesse, sulla scorta di quella significanza, commettere un crimine. Ipotesi tutto sommato legittima (sempre ammesso e non concesso che la premessa potesse essere sensata), ma quel sospetto non viene affatto qualificato come tale; tutt’altro, viene proprio fatto assurgere a «elemento di prova»! Eppure non si trattava dell’accertamento che quel genere di atto (tanto orripilante) fosse stato commesso, ma solo di un sospetto fondato su meri concatenamenti di pensiero.

Infatti, proseguendo con la lettura, si ha la netta sensazione che la «relazione» di don Buonaiuto altro non sia se non un vero e proprio «processo alle intenzioni» che ha l’amaro e orrido sapore di un revival dell’inquisizione spagnola.


Indubbiamente, un’affermazione di quel genere risulterebbe aberrante per una persona di buon senso; così sarebbe, in modo particolare, se il significato dato a quelle parole fosse davvero ciò che vuole fare intendere il testo che le riporta. In altri termini, estrapolata dal proprio contesto ed inserita in un dato passaggio di una «perizia» che dipinge una scena con tinte fosche e tetre, senza dubbio una frase tanto eclatante sortisce l’effetto di un ribrezzo istantaneo, suscita come reazione un ipotetico invito a lavarsi la bocca col sapone.

Ciò detto, se l’infelice boutade non ha avuto alcun tipo di seguito e non vi è stato il benché minimo indizio concreto della volontà di mettere in atto una tanto ripugnante condotta, nessuno dovrebbe sentirsi autorizzato a «condannare in via preventiva» un individuo per infanticidio quando tutt’al più lo si potrebbe tacciare di turpiloquio. E questo senza nemmeno aver indagato in quale contesto, in quale momento particolare e in quali condizioni individuali il soggetto avesse esternato dei pensieri tanto gravi. Anche perché la stessa relazione parla di «battuta» e non vi è peraltro alcun accenno al fatto che la «testimonianza» indicata sia stata messa alla prova in termini di veridicità o sia per altri motivi da considerarsi pienamente attendibile.

Eppure, secondo don Aldo Buonaiuto, delle «prove» come quella sono più che sufficienti per considerare gli indiziati dei criminali tout-court:


A noi, invece, da quanto esposto appare evidente come don Aldo Buonaiuto «divulghi pericolosamente» una cultura dell’allarme e del sospetto e dell’intolleranza del diverso, tentando di minare la serenità psichica della gente e – peggio ancora – strumentalizzando le istituzioni dello Stato per reprimere i diritti e la libertà delle persone che non gli garbano.

Ha forse buon gioco don Buonaiuto ad affermare che le persone «in genere» sono «fragili»? Forse vorrebbe che lo fossero, perché in tal caso lui può sentirsi autorizzato a «proteggerle» dal «maligno» e quindi a continuare a richiedere ed ottenere fondi per la sua associazione?

Ma se il «maligno» da lui additato è solamente il libero pensiero e se il «pericolo» è in realtà rappresentato dalla libera associazione, la gente ha davvero bisogno di una simile «tutela» e lo Stato (che si presume sia laico) dovrebbe continuare a finanziarla con il denaro di noi contribuenti?

venerdì 22 dicembre 2017

STORIA / 3. Ancora sulle devastanti conseguenze della propaganda «anti-sette»

Torniamo sull’argomento dei danni cagionati dall’intolleranza «anti-sette» per descrivere un caso emblematico che, anche dopo il lungo tempo ormai trascorso, rende bene l’idea di quanto devastanti possono essere le conseguenze delle campagne mediatiche e delle persecuzioni giudiziarie montate dai presunti o sedicenti «esperti» di movimenti religiosi.

Il caso degli «Angeli di Sodoma» è stato sotto le luci della ribalta mediatica nell’autunno del 2002.

Ecco con quale tenore drammatico le cronache nere del periodo descrivevano la situazione: «L’orrore abitava in una casa qualunque, alla periferia di una piccola città stretta fra le colline e il mare. Lì approdavano ragazzi troppo fragili, attirati da un mondo che avevano imparato a conoscere attraverso le suggestioni della musica. Il mondo del satanismo, delle messe nere, dei riti foschi partoriti da menti malate. “Angeli di Sodoma”, così il loro messia voleva si chiamassero. Charles Bukowski era il loro idolo. G. C., il cupo sacerdote».

Con un’ingenuità quasi naif, degna del miglior film d’azione americano anni ’80, i giornalisti «ben informati» proseguivano nei loro racconti di come i «buoni» avevano sgominato i «cattivi»: «La polizia ha chiesto aiuto alla comunità di don Oreste Benzi, che ha messo a disposizione don Aldo Buonaiuto, un giovane sacerdote esperto di satanismo. E don Buonaiuto, nominato sul campo ufficiale di polizia giudiziaria, ha guidato i poliziotti nei meandri oscuri dei riti dedicati al demonio».

A molti commentatori, osservatori e studiosi parve subito singolare che proprio un prete cattolico venisse considerato una fonte autorevole per giudicare un fenomeno criminoso che qualcuno aveva presupposto potesse essere caratterizzato da aspetti religiosi o esoterici. Eppure, le dichiarazioni individuali di quel sacerdote finirono per sostanziare un ordine di carcerazione preventiva per quattro ragazzi, la cui unica colpa pareva essere il praticare una loro filosofia completamente avulsa dalla forma mentis della società in cui si trovavano. Tanto che qualcuno ebbe a gridare ad una nuova «caccia alle streghe», praticata «con metodi feroci e sistematici». Dal canto loro, gli interessati, dall’isolamento in prigione si proclamavano innocenti e «vittime di una montatura».

L’esito dell’inchiesta che ebbe luogo nei tre anni successivi? Eccolo qua:


Ma come è tristemente consueto nell’ambito degli «anti-sette», purtroppo, in attesa di un giudizio organico due dei quattro imputati poi assolti «perché il fatto non sussiste», sono stati «sbattuti nelle prima pagine dei giornali e nei titoli dei telegiornali e additati come mostri e facenti parti di una setta satanica». Le loro vite sono state segnate per sempre da un inevitabile disonore e dalla disapprovazione dell’opinione pubblica, a prescindere dal fatto che dopo tre anni la giustizia ha ritenuto infondate buona parte delle accuse.

Similmente a quanto è accaduto qualche tempo dopo con il «caso Arkeon», mentre la gogna mediatica ha condannato gli imputati ancora prima che si celebrasse il processo e senza possibilità alcuna di ricorso, la giustizia ordinaria ha sanzionato una condotta illecita legata alla droga, ma per converso ha dissolto completamente il teorema della «setta satanica pericolosa», ovvero quella sorta di cortina fumogena sparsa ovunque dagli «anti-sette», con don Buonaiuto in prima fila.

Nel «caso Arkeon», il «teorema Tinelli» aveva paventato l’esistenza di una «psico-setta» distruttiva e aveva descritto tutta una serie di reati gravi che però il tribunale (tre gradi di giudizio, fino alla Corte di Cassazione) hanno accertato esistere soltanto nella fervida immaginazione della psicologa pugliese e di coloro che, assieme alla Tinelli, avevano raccontato delle «storie di abusi» rivelatesi inconsistenti.

Nel caso degli «Angeli di Sodoma», la condotta realmente criminosa (sanzionata come tale a seguito degli accertamenti da parte della magistratura) è stato lo spaccio di droga assieme alla profanazione di tomba, mentre il castello di carte montato (questa volta) da don Aldo Buonaiuto si è rivelato di una falsità tanto accanita quanto maliziosa.

Si potrebbe pensare che si sia trattato di un caso isolato, magari dovuto al fatto che don Buonaiuto era alle prime esperienze della sua crociata contro i «culti distruttivi». Non è così, e a questo proposito citiamo un frizzante ma incisivo articolo pubblicato su «Agenzia Radicale», a firma di Camillo Maffia:



D’altronde, che don Buonaiuto non sia realmente un esperto di «sette» ma affermi solo di esserlo, risulta palese anche da altri elementi. In questa intervista, per esempio, uno dei massimi studiosi di movimenti religiosi e di spiritualità a livello mondiale, il prof. Massimo Introvigne, definisce così il prete «anti-sette» consulente della polizia di stato: «Non solo la vicenda dei presunti Angeli di Sodoma, ma anche i suoi libri a mio avviso permettono di concludere che ci troviamo di fronte a un militante, non a uno studioso. Naturalmente don Buonaiuto potrebbe sostenere che anch’io, e tanti miei colleghi, siamo “militanti”, nel nostro caso in favore della libertà religiosa delle cosiddette “sette”. La differenza però è che io, come altri studiosi accademici, ho al mio attivo centinaia di pubblicazioni su riviste internazionali, o presso case editrici accademiche, che le sottopongono al vaglio rigoroso della “peer review”, cioè alla recensione anonima da parte di colleghi universitari. Con tutto il rispetto, mi pare che questo appunto manchi nel curriculum di don Buonaiuto».

Infatti, va anche precisato che la conclamata mancanza di fondamento delle «notizie» riferite da don Buonaiuto a proposito della presunta «setta degli Angeli di Sodoma» è stata in seguito più volte ricordata non solo da un illustre sociologo come il prof. Introvigne, ma anche da persone di estrazione completamente differente (quali ad esempio lo scrittore Amedeo Longobardi), come mostrano molti commenti qua e là per la Rete (quelli in calce a questo articolo solo per citarne alcuni).

Infine, sarebbe opportuno precisare che dopo quella sentenza (ottobre 2006) ce n’è stata una seconda, di appello, con la quale i reati inizialmente sanzionati sono stati alquanto ridimensionati fino ad un dimezzamento della pena. Ma se in quel gruppetto di giovani anticonformisti c’era stato dello spaccio di stupefacenti e qualche altro illecito, giusto e dovuto è stato fermare e sanzionare l’illegalità; ciò detto, che bisogno c’era di assassinare la loro reputazione per sempre e di istigare un’indagine giudiziaria su aspetti del tutto inesistenti? Di nuovo, come in molti altri casi, un inutile dispendio di denaro pubblico e una vita rovinata per i quattro imputati che sono stati tacciati delle nefandezze più raccapriccianti, tutte frutto dell’orrida, oscena e morbosa immaginazione di un esponente del clero cattolico, referente della controversa «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno.

D’altronde, non è strano che le vicissitudini giudiziarie di Arkeon e degli «Angeli di Sodoma» (e di altre che qui non abbiamo menzionato ma delle quali si potrebbe e forse si dovrà parlare) siano scaturite entrambe dalla stessa prassi scellerata, quella di strumentalizzare il potere dello stato contro le minoranze, tant’è che i già citati don Buonaiuto (prete cattolico) e Lorita Tinelli (psicologa) si dichiarano referenti della SAS («Squadra Anti-Sette») esattamente come Sonia Ghinelli del FAVIS, e tutti loro adottano il medesimo modus operandi.

A tal proposito, sui metodi della SAS (una sorta di «polizia spirituale» dalle fosche tinte orwelliane), molto è stato scritto e denunciato dal sito Internet «Libero Credo».

C’è da augurarsi che, caso dopo caso, lo Stato si ravveda e riconsideri la distribuzione delle proprie risorse per destinarle ad attività serie di contrasto al crimine… con il bisogno che ce n’è!

lunedì 18 dicembre 2017

Chi sono gli «anti-sette»? Ecco i nomi di associazioni, comitati, gruppi

Chi sono gli «anti-sette»? Ecco tutti i nomi

Senza la pretesa di fornire un quadro completo, in questa pagina elenchiamo con nomi e cognomi i principali attori del panorama italiano degli «anti-sette» a noi noti, fornendo rimandi ad articoli correlati, desunti dal nostro blog ma anche reperiti altrove nella Rete.


venerdì 15 dicembre 2017

Aggiornamento breve – tentativi di mutazione fra gli «anti-sette»?

Come si può facilmente dedurre dagli ormai copiosi elementi che via via si accumulano sul nostro blog, i principali esponenti «anti-sette» sono tutt’altro che dei «mostri» di coerenza.

Ma talvolta è addirittura sorprendente, quando non del tutto sconcertante, osservare i loro tentativi di sgusciare fuori dalle circostanze in cui vengono smascherati per ciò che sono.

Ad esempio, abbiamo notato una certa tendenza, nell’ultimo paio di settimane, a pubblicizzare eventi e notizie che, se comparate a quelle di solo un mese prima, lasciano sbalorditi.

Come questa, di ieri:


Post che riguarda l’iniziativa (peraltro di per sé decisamente lodevole e assolutamente degna dei migliori auspici), in corso in questi giorni, per promuovere il dialogo fra le diverse comunità religiose presenti a Noci (Bari) e dintorni:



Non vi sarebbe (anzi, per sincerità, non vi è affatto) nulla di male in un’attività del genere.

Ma quanto è compatibile con «i sentieri del dialogo interreligioso» una Lorita Tinelli del cui affiatato gruppo di «anti-sette» fa parte integrante anche l’AIVS di Toni Occhiello, co-fondata da Giuseppe Di Bello autore di post del seguente tenore?



Ci domandiamo: quanto si armonizza con la tolleranza reciproca e il dialogo interreligioso la «chiusura di centri di culto» solo perché «sospettati» (attenzione: non «trovati colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio») o indiziati di «creare criminali» (manco fossero dei campi di addestramento militare) per «motivi religiosi»? E questo quando chiunque ormai ha capito che la religione c’entra ben poco con il terrorismo.

La religione potrà fors'anche avere a che fare con usanze bislacche, o moralmente discutibili per noi italiani, o addirittura al limite del lecito nel nostro ordinamento giuridico (come nei casi del kirpan, il «pugnale sacro» dei Sikh, o del burqa, la veste femminile per i Musulmani), ma non esistono «criminali per motivi religiosi», altrimenti dovremmo considerare tali anche i preti macchiatisi del reato di pedofilia, che sono indubbiamente delinquenti, sì, ma perché pervertiti sessuali e in quanto tali, non perché abbiano commesso tali riprovevoli abusi per «ragioni» che afferiscano alla «religione». Chi compie un reato è un criminale perché compie quel reato, non perché si veste di viola o di blu, o perché prega in una sinagoga piuttosto che in un tempio buddista, o perché svolge la professione di geometra.

Siccome in tempi recenti un po’ di clamore dal nostro blog è stato sollevato e (lo ipotizziamo anche dai numerosi contatti che abbiamo ricevuto), ne concludiamo che numerosi lettori consapevoli (quando non addirittura vittime) dei soprusi degli «anti-sette» ci sostengono moralmente anche se non hanno la possibilità o la volontà di mettersi in gioco in prima persona. E così, ecco che la Tinelli e la sua socia Sonia Ghinelli del FAVIS pubblicano post apologetici e tentano di fornire delle fantasiose spiegazioni per le loro discutibili attività di contrasto alla libertà di culto e per la loro costante opera di diffusione di allarmismo e odio contro i gruppi spirituali di minoranza.

Ecco di cosa parlava oggi la Tinelli, per esempio:


Ma di quale «umanità» va parlando Lorita Tinelli del CeSAP?

Forse di quella umanità che la spinge in continuazione a istigare acredine e livore contro questa o quella categoria? Ieri gli avvocati, oggi la magistratura:


Qualcuno obietterà che la Tinelli ha «solamente» propalato una notizia, riportandone una citazione specifica, e che «sono stati gli altri» a commentare in maniera veemente. È chiaro, ma è anche ovvio che siamo alle solite: il diligente «anti-sette» di turno lancia il suo sasso lungo il filone dello scandalo o dell’ambiguo, poi ritrae la mano e aspetta che siano gli altri a sdegnarsi, a storcere il naso, a protestare, ecc.

E quando non sono proprio la Tinelli o la Ghinelli a rincarare la dose per gettare benzina sul fuoco al fine di alimentare ulteriormente le «fiammate» (o «flame» come si usa dire oggigiorno), c’è sempre qualcuno dei loro sostenitori: d’altronde, lo Stefano Martella che commenta in modo tanto sarcastico è notoriamente un apostata dei Testimoni di Geova (per i quali pare che Lorita Tinelli abbia un’idiosincrasia motivata da ragioni sentimentali, stando a quanto ci raccontava un utente tempo addietro) ed un loro acceso detrattore.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio, come si suol dire: staremo a vedere, dunque, se la «bestia» in questione è di quella specie oppure di tutt’altra, come un camaleonte.

domenica 10 dicembre 2017

Aggiornamento breve - La censura continua…

Abbiamo ricevuto delle segnalazioni di censura da parte di un paio di «aficionados» del nostro blog che hanno tentato di far sentire la loro voce ma, come già avvenuto recentemente anche a me medesimo, sono stati estromessi dal loro diritto alla libertà di parola.

Vogliamo allora dare loro spazio almeno noi qui su questo blog, anche per rendere l’idea di come la lobby «anti-sette» sia costantemente attiva nel cercare di mettere a tacere le critiche e i pareri controcorrente. Posizioni che, tuttavia, sono sempre più presenti e sempre più consapevoli da parte della gente: troppe menzogne, prima o poi, balzano all’occhio.

In questo post della rivista «Oggi» (il cui tema è la storia raccontata da Michelle Hunziker), il commento dell’utente «Gigi» del 20 di Novembre inizialmente si presentava così:


e adesso invece si presentava così (ovvero, è stato rimosso l’indirizzo del nostro blog):


L’utente «Gigi» ci informa anche di aver tentato più volte di inserire un commento del medesimo tenore su questo post dal sito de «Il Giornale» (l’argomento è sempre la stessa moina degli «abusi subiti da una setta», anche se questa volta la soubrette è la ex collega della Hunziker, Vera Atyushkina, cui si accennava in un nostro post su Facebook). Nulla da fare: anche dopo aver effettuato la registrazione per intero, «misteriosamente» il suo commento non è stato inserito e – ci informa – non gli è stata notificata alcuna moderazione.

E così è stato anche in altri casi, laddove però i malcapitati non hanno avuto la prontezza o l’accortezza di tenere traccia documentale delle proprie operazioni.

Altro esempio: un altro utente (che preferirebbe rimanere anonimo) ha segnalato di aver inviato, come già in precedenza, un commento alla rivista online «InTerris» che è stato completamente insabbiato, senza nemmeno un nota di rimando o una notifica di quale regolamento sarebbe stato applicato per non pubblicarlo. Eccone la bozza «in attesa di moderazione»:


Per carità! Nessuna opinione che possa anche solo lontanamente divergere dalla «linea editoriale» del sito gestito da Aldo Buonaiuto, il prete cattolico «referente della Squadra Anti-Sette (SAS)» e alleato di Lorita Tinelli del CeSAP e Maurizio Alessandrini e Sonia Ghinelli del FAVIS. Non è consentito esprimere un parere contrario, a maggior ragione se un po’ provocatorio. Non sia mai… censura!

D’altronde (vale la pena di rammentarlo una volta in più) il tanto sbandierato e controverso «reato di plagio» (screditato da fior fiore di esperti e giuristi), così caro agli «anti-sette», è figlio del ventennio fascista.