mercoledì 30 gennaio 2019

La propaganda «anti-sette» è stata pensata per nascondere la cattiva reputazione degli psicologi?

Secondo un sondaggio diffuso in Ottobre del 2017, il 70% degli italiani considera inutile andare dallo psicologo. Un dato, questo, alquanto sbalorditivo se si considera che la professione di psicologo è una realtà consolidata e ratificata dallo Stato italiano da trent’anni ormai, con l’istituzione dell’Ordine di riferimento grazie all’iniziativa parlamentare del senatore Adriano Ossicini, il quale seppe conseguire un ambizioso obiettivo malgrado le molte polemiche e dopo quindici anni di battaglie e di contestazioni ricevute persino dai suoi colleghi.

Nondimeno, si sa che nei confronti della categoria gli italiani sono sempre stati piuttosto diffidenti o, comunque, poco orientati a ricorrere alle loro proposte. Le ragioni di tale forma mentis non sono state ancora spiegate esaurientemente, ma si potrebbe ipotizzare che la popolazione dello Stivale ha ancora una prevalenza di cultura popolare che conferisce una generale tendenza verso soluzioni di senso comune o verso prassi etnicamente consolidate ritenute prevalentemente valide e pertanto difficilmente messe in discussione.

In quest’ottica, si potrebbe comprendere come mai la legge Ossicini promulgata nel febbraio del 1989 sia stata vista dagli italiani come una sorta di imposizione di un’istituzione non particolarmente richiesta né desiderabile. Di certo, se a tutt’oggi oltre tre quinti della popolazione non desiderano o non ritengono di alcuna utilità farsi visitare da uno psicologo, a quel tempo forse nemmeno conoscevano l’esistenza della figura dello «strizzacervelli» o potevano averne sentito parlare a mo’ di «americanata» (come usava dire a quel tempo).

Non a caso riscosse enorme popolarità un film di Hollywood proprio con quel titolo, «Lo strizzacervelli» (1988) con Dan Aykroyd e Walter Matthau, per non parlare degli innumerevoli tentativi fallimentari di curare il commissario Dreyfus nell’esilarante serie dell’ispettore Clouseau («La Pantera Rosa»), acclamatissima in Italia per tutti gli anni ’70 e ’80 ed oltre.


Nei sei lustri che ci separano da allora, malgrado qua e si notino ancora un po’ di sfiducia e di cautela, non si può certo dire che lo scenario non sia mutato per il meglio.

Stando alle statistiche dell’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza della categoria (ENPAP), al 31 dicembre 2016 vi erano in Italia fra i cinquanta e i sessantamila psicologi. In questo articolo si legge che nel nostro paese sono attivi 156 (centocinquantasei) psicologi ogni centomila abitanti, solo ottanta dei quali però ritenuti effettivamente praticanti perché iscritti al sindacato. Comunque, anche escludendo i non tesserati, la cifra rimane elevata se paragonata alla Francia in cui i praticanti sarebbero ottantaquattro ogni centomila abitanti oppure alla Germania in cui se ne conterebbero centonove.

Sempre secondo l’ENPAP, soltanto un terzo degli psicologi attivi raggiungerebbe i ventimila Euro annui o poco meno, mentre più di quindicimila psicologi non raggiungono i cinquemila Euro annui. Cifre, queste, che sembrerebbero collimare con il dato della domanda «di mercato» carente. Tant’è che, malgrado l’abbondanza numerica, il totale delle prestazioni erogate sarebbe molto inferiore rispetto (ad esempio) alla Francia, dove ben il 33% della popolazione si è rivolto almeno una volta ad uno psicologo per ricevere assistenza.

Infatti, secondo Avvenire sui cinquantacinquemila psicologi attivi, migliaia sono gli immatricolati ai corsi di laurea, ma solo uno su quattro
eserciterà realmente la professione; eppure: «i corsi di laurea in Psicologia negli ultimi 20 anni si sono moltiplicati, resta un'aspettativa molto elevata di laurearsi e poi esercitare la professione di psicologo, ma in realtà, i dati statistici in nostro possesso ci dicono che solo un laureato ogni 4 si avvierà alla professione di psicologo».

Il problema della reputazione, però resta sempre attuale. Infatti, benché (sempre stando al succitato articolo di Avvenire, e quindi alle dichiarazioni del vicepresidente ENPAP), il fatturato annuo della categoria sia in crescita, ciò nonostante persino i loro portavoce sentono ancora la necessità di intervenire sulla percezione della figura professionale dello psicologo da parte della popolazione generale: «Abbiamo svolto una ricerca di mercato nel 2015 rilevando con diverse metodologie il sentiment di circa 1000 fra cittadini e opinion leader, ne emerge un orientamento positivo». Sfortunatamente, l’indagine che ha decretato il dato (riferito all’inizio di questo post) del 70% degli italiani poco inclini a rivolgersi a uno psicologo è successivo a queste dichiarazioni, che i più puntigliosi detrattori non mancherebbero di definire generiche o scarsamente dettagliate.

Ma veniamo ora alla relazione perlomeno concettuale fra la becera propaganda «anti-sette» e la cattiva reputazione di cui risente la categoria degli psicologi.

Nel già citato articolo di «thevision.com» (curiosamente condiviso, qualche settimana fa, proprio dalla psicologa Lorita Tinelli), si legge: «Se in Italia una percentuale così estesa di persone considera lo psicologo alla stregua di un ciarlatano che intende soltanto rubare i soldi ad alcuni disperati creduloni in difficoltà, è perché domina un’ignoranza diffusa sul mondo della psicologia e della psicanalisi che nutre una forte presunzione di base, figlia di tutti i pregiudizi».

È quasi sorprendente rilevare come questi concetti sfavoreli, facenti parte della comune considerazione della gente rispetto agli psicologi, siano quasi sovrapponibili alle accuse rivolte proprio dagli esponenti «anti-sette» nei confronti dei nuovi movimenti religiosi!

In particolar modo – fatto che, di per sé, ha davvero dello sbalorditivo – sono proprio certi psicologi facenti parte del fronte militante contro i presunti «culti distruttivi» o «abusanti» a formulare direttamente o anche a sostenere indirettamente gli attacchi nei confronti di gruppi religiosi o para-religiosi «alternativi» (il nostro blog gronda delle dimostrazioni di astio e di ostilità da parte di costoro ai danni di congregazioni tutto sommato pacifiche e il più delle volte impegnate in attività benefiche).

Ci si domanda se questo manipolo di psicologi estremisti come Lorita Tinelli (referente della SAS o «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) e Luigi Corvaglia (membro del direttivo della controversa organizzazione europea FECRIS), Anna Maria Giannini (amicissima di don Aldo Buonaiuto e con lui fra i relatori dell’inquietante convegno di Roma del 9 novembre scorso), Elena Melis del GRIS di Rimini, Davide Baventore in Lombardia, Martina Poggioni (in quota AIVS) in Toscana e qualche altro sparso qua e là sul territorio, non finiscano per contribuire inavvertitamente a gettare discredito sulla categoria.

Soffrendo un cospicuo affollamento di colleghi (e quindi un’inevitabile concorrenza) e dovendo pure loro sbarcare il lunario, in un mercato difficilissimo (come è quello del benessere e della salute) anche perché subissato da una miriade di proposte (si pensi solo alla feroce polemica, tuttora rovente, contro i «counselor»), nella costante necessità di procurarsi del lavoro che a volte stenta ad arrivare, sembra che certi «strizzacervelli» preferiscano accanirsi non solo contro «life coach» e simili, ma anche contro leader religiosi, guru e figure di tutt’altro genere (e che in qualche caso non hanno proprio nulla a che vedere con loro: eclatante l’esempio di «Un Punto Macrobiotico») e mettere in moto una vera e propria macchina del fango ai danni di figure rappresentative o di interi movimenti.

Una tattica atavica, descritta già fra il I e il II secolo d.C. allorché Plutarco raccontava di come un adulatore di Alessandro Magno di nome Medio «raccomandava di attaccare e mordere senza paura con calunnie sostenendo che, se anche la vittima fosse riuscita a sanare la ferita, sarebbe comunque rimasta la cicatrice».

Insomma, certi intransigenti ed intolleranti critici di presunte «sette religiose» (le quali, il più delle volte, si rivelano aggregati di persone normalissime che cercano faticosamente di professare un proprio credo o di seguire una filosofia comune) cercano di spostare la diffidenza incrostatasi nei confronti della loro categoria appioppandola ad altri.

Un discorso simile si potrebbe senz’altro fare per una figura come il già citato don Aldo Buonaiuto, prete cattolico dall’operato palesemente inquisitorio le cui vicende giudiziarie del passato sono scomparse da Internet. Ma di questo abbiamo già parlato e ci si potrà nuovamente occupare in altro post.

Tornando invece agli psicologi ed alla mordace, roboante campagna mediatica di un’infinitesima percentuale di loro contro la spiritualità alternativa, il vero quesito che rimane ad ora irrisolto è: giova davvero tutto questo odio?

lunedì 28 gennaio 2019

Propaganda «anti-sette» per discriminare gli omosessuali e devastare le famiglie?

di Mario Casini


Quando la propaganda «anti-sette» entra in una famiglia o in una comunità, sono sempre guai.

E le comunità, si sa, sono composte da singoli cittadini che a loro volta fanno parte di famiglie più o meno numerose.

In tutti i casi, l’allarmismo sulle presunte «sette» e gli anatemi contro ipotetici «culti distruttivi» finiscono sempre per ingenerare sospetto, tensione, insofferenza, discussioni, litigi, fino alle reazioni violente.

Lo abbiamo visto in molti casi e in storie alquanto diverse l’una dall’altra: si pensi al tragico caso della bassa modenese, alla persecuzione giudiziaria ai danni di Ananda Assisi, al marito che tenta di assassinare la ex moglie o a un centro religioso per il recupero dei tossicodipendenti (la Comunità Shalom) improvvisamente diventato un «lager» secondo i media, oppure una semplice scampagnata fra amici che getta nello scompiglio un’intera cittadina scozzese.

Questa volta, a finire nel tritacarne dell’odio istigato dalla disinformazione e da «cose che tutti sanno» ma che provengono da fonti nascoste e del tutto tendenziose, sono due giovani donne omosessuali. Due ragazze che si sono scoperte innamorate e che, con la «lieta furia» dei loro vent’anni, hanno deciso di sposarsi malgrado le pressioni per rompere la loro unione.


Parlo della storia di Denise e Deborah che è stata raccontata su Canale 5 a «C’è posta per te» qualche giorno fa.

Vi sono indubbiamente degli aspetti relazionali che hanno acuito il conflitto, degli errori e delle incomprensioni. Tuttavia, mi hanno molto colpito alcuni stralci della ricostruzione emersa dai racconti di tutti gli interessati, cioè le due giovani stesse e i familiari di una delle due (Denise).

Per esempio questo:


mi hanno detto che molto probabilmente ero stata plagiata, che era soltanto una cosa passeggera …

Lo stesso, identico genere di «persuasione» che viene adoperata ai danni di chi ha abbracciato un movimento religioso contro il quale è stata messa in moto la macchina del fango della propaganda «anti-sette». E non è nemmeno detto che debba essere per forza un «culto alternativo», potrebbe persino essere un gruppo di tutt’altro genere, come è il caso di «Un Punto Macrobiotico».

Insulti (dai propri stessi familiari!), umiliazione, limitazione della libertà personale, sorveglianza speciale: tutto questo può subire chi ha fatto una scelta inaspettata o non condivisa. Lo sgomento è tale (anche a causa dell’incomprensione che si viene a creare) che i genitori, imbevuti dalle «notizie» che hanno inevitabilmente sentito o letto qua e là in TV o su Internet, sono già «indottrinati» a «sapere» che quando avvengono certe cose il proprio figlio deve aver subito il «lavaggio del cervello».



ricominciano a insultarla, a dirle che lei sta appartenendo ad una setta, che le hanno fatto il lavaggio del cervello …

Per riprendere un articolo del quale abbiamo parlato nel nostro post «Anti-sette», disinformazione e fake news: manipolazione mentale di massa: «il costante ed immediato flusso di informazioni (verificate e non) tende ad annullare la capacità di analisi critica dell’utente (…). Le informazioni non verificate ma ritenute veritiere dagli utenti influenzano la percezione e la comprensione generale degli eventi».

Ed è esattamente quello che è capitato a questa famiglia, in cui il germe del pregiudizio e dell’odio hanno ammorbato i rapporti umani di una mezza dozzina di persone, conducendole sul punto di una frattura insanabile (o quasi).

Tanto è vero che persino il fratello di Denise mostra come sia stato dato ormai per assodato che il presunto «plagio mentale» di Deborah ai suoi danni sia stato tale da privarla addirittura della libertà e della facoltà di «esprimere le proprie opinioni».


è molto succube ... non è libera di esprimere nessuna opinione …

Quindi Deborah, giovane innamorata di Denise, deve essere una sorta di novella Mesmer e aver ipnotizzato l’amata fino a convincerla a cambiare il proprio orientamento sessuale?

Un’idea talmente antiscientifica che è persino inutile commentarla.

Eppure è sempre la stessa tecnica che ho già citato in un precedente post, ben illustrata da un giornalista di lungo corso come Marcello Foa (ora massimo dirigente RAI) in un video di cui avevo ripreso un brevissimo stralcio:


Il caso di Denise e Deborah, con l’omosessualità condannata quale risultato di una «manipolazione mentale», non può non far correre il pensiero a quel caso clamoroso che cinquant’anni fa vide un intellettuale di sinistra dichiaratamente (anzi, per quei tempi, coraggiosamente) gay messo sotto accusa sulla base del reato di plagio, rimasuglio stantio del codice penale del periodo fascista. Parlo ovviamente di Aldo Braibanti, un professore che finì per essere l’unico uomo condannato per plagio nella storia d’Italia. Senza aggiungere altro a quella triste storia, cito quale fonte questo articolo del giornalista Giuseppe Loteta, che quella stagione di battaglie sociali la visse sulla propria pelle in difesa dei diritti di tutti.

Il reato di plagio fu giudicato incostituzionale nel 1981 dalla celebre sentenza nr. 96 della Corte Costituzionale datata 8 giugno 1981, dopo che a finire sotto accusa era stato un sacerdote cattolico, don Emilio Grasso, accusato di aver messo in atto un «lavaggio del cervello» ai danni di alcuni giovani della borghesia  romana per persuaderli ad abbandonare i loro propositi di studio e di carriera per seguirlo nelle sue attività sociali.

La storia ci insegna che il processo per plagio a carico di Aldo Braibanti si concluse con un’impietosa condanna.

Questa volta, per lo meno, la vicenda di una famiglia devastata ha visto un timido lieto fine.


giovedì 24 gennaio 2019

Business «anti-sette»: ecco come Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni lucrano sull’odio

Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, giornalisti «anti-sette» recentemente autori del libro «Nella Setta» che stanno pubblicizzando accanitamente su tutti i media del paese inclusa Internet, non hanno mai confutato i nostri rilievi a proposito del loro movente economico. Al contrario, con attacchi personali piuttosto che spiegazioni hanno mostrato di non avere argomenti per negare quella che noi abbiamo riscontrato essere l’evidenza dei fatti e abbiamo quindi raccontato come tale, peraltro a partire da ben prima che il loro libro vedesse la luce.

Beninteso, non c’è nulla di male nello svolgere un’attività professionale a scopo di lucro. E ci mancherebbe! Ciò che stona (e che finisce per far trasparire una certa malafede) è l’intento dissimulato. Ovvero: di fatto è un’operazione commerciale in piena regola, però viene condita con leziose dichiarazioni di intenti di natura assistenziale o culturale o addirittura di utilità sociale.

Una «minestra perfetta» come quella già vista appena un anno prima per la soubrette «anti-sette» Michelle Hunziker: stesso obiettivo (il denaro), stesse modalità (la creazione di un nemico immaginario da propinare al popolo credulone seminando allarmismo e infamando chi aiuta davvero la gente o chi non ha altre colpe se non portare avanti un propria fede diversa da quella della maggioranza).

Operazione di marketing, quella architettata dalla showgirl svizzera, che dev’essere stata presa ad esempio proprio da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni: infatti, a chi ha osservato con attenzione l’exploit mediatico «anti-sette» della Hunziker dell’autunno 2017 non è sfuggito che il suo periodo di onnipresenza sui media nazionali le ha fatto da viatico per l’ingaggio a cinque zeri al festival di Sanremo e per quello successivo a «Striscia la Notizia». Quindi, se i proventi del libro pubblicato ai danni della pranoterapeuta che l’aveva accolta molti anni prima presunta non saranno stati granché, i veri soldi li ha poi guadagnati grazie al clamore destato per mezzo di quel lancio editoriale.

In maniera tutt’altro che dissimile, ai loro amici giornalisti che li intervistano Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni mostrano la facciata di chi vorrebbe farsi paladino degli indifesi e portabandiera di un cambiamento normativo (è la solita, vexata quaestio del ripristino del «reato di plagio» di fascista memoria, alias «manipolazione mentale»):


Fatta la tara alle fesserie giuridiche e all’allarmismo gratuito (anzi, a pagamento), quello che rimane sono esultanze come questa:


Ma Gazzanni e Piccinni sapranno sicuramente spiegarci come i «diritti cinematografici e televisivi già venduti» si traducano in un beneficio per le presunte «vittime» di ipotetici «culti abusanti», oltre che per le loro tasche.

Si veda anche questo post che festeggia le vendite del libro:



Per non parlare delle molteplici affermazioni di giubilo sulla notorietà acquisita, dalla quale ovviamente si traggono ulteriori vantaggi economici e che, evidentemente, rappresenta il loro vero obiettivo commerciale: la popolarità mediatica nel loro settore vale oro; Gazzanni e Piccinni questo lo sanno molto bene. E sfruttano la situazione, anche se la loro facciata vorrebbe essere di tutt’altro genere.

Ecco qui un altro esempio, solo uno sui numerosi:


Provino ora a smentirci, Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, quando sosteniamo che lucrano sull’odio.

Finora, a distanza di mesi, di repliche argomentate nemmeno l’ombra.

Forse che non siamo affatto in errore?

mercoledì 23 gennaio 2019

Gli «anti-sette»: un italiano su quattro crede ai ciarlatani. Che sia vero?

di Mario Casini


Gli esponenti «anti-sette» e i loro megafoni mediatici sostengono dapprima che in Italia vi siano «cinquecento sette» (cifra traballante, conflittuale rispetto alle precedenti e comunque tutta da documentare), poi che il sei per cento della popolazione nazionale («quattro milioni» di italiani) siano «vittime di una setta», ma dalla fine dell’anno scorso questa cifra ha addirittura visto un’iperbolica impennata:


Quindi si parla di 17 (diciassette) milioni di persone, oltre un italiano su quattro!

L’inconsistenza di tali cifre affastellate per fare numero è tale che la pubblicista Daniela Giammusso (forse un’amica di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni?), autrice del succitato pezzo ANSA promozionale del libro, è dovuta ricorrere a un’inchiesta «eclatante» sì, ma anche vecchia di oltre dieci anni e più che debitamente coronata da una vicenda processuale che ha fatto giustizia sanzionando i reati che si erano consumati.

Ma secondo costoro, un italiano su quattro è un imbecille o un credulone che si fa infinocchiare dai ciarlatani.

Che sia vero?

Ho provato a esaminare accuratamente tale asserto anche al di là della propaganda ideologica.

Forse un fondo di verità c’è.

Infatti: quanti sono gli italiani disposti a credere alle fesserie di questi produttori di fake news confezionate per istigare all’odio?

Quanti concittadini ritengono attendibili personaggi controversi che nascondono il proprio operato dietro profili Facebook anonimi come Sonia Ghinelli, la vicepresidente di FAVIS? Quanti si fanno ingannare dall’apparenza serafica di un estremista pseudo-cattolico come il prete inquisitore don Aldo Buonaiuto e bevono senza troppo senso critico le sue cifre contraddittorie infarcite di inquietanti anatemi? Quanti si illudono che un curriculum ampolloso come quello della psicologa Lorita Tinelli debba equivalere a un’effettiva competenza nell’ambito dei nuovi movimenti religiosi (assunto che, come s’è visto, è lontanissimo dalla verità)?

Certo, sono molti: dunque hanno ragione gli «anti-sette» a sostenere che un’ampia percentuale della popolazione italiana abbocca alle scemenze di impostori e ciarlatani.

Tuttavia, sono ancora convinto che la stragrande maggioranza della gente non si lascia incantare dall’allarmismo di questi disinformatori prezzolati, e lo dico perché l’avanzata dei nuovi movimenti religiosi, che lo si voglia o no, è inarrestabile. Ieri Hare Krishna, Testimoni di Geova e Scientology, nell’oggi Damanhur, i Mormoni e i buddisti Soka Gakkai, nel domani i gruppi pentecostali di avanguardia come Parola della Grazia: il seguito è sempre più consistente, le adunanze e le messe sempre più frequentate, i nuovi templi sempre più imponenti.

Sono anche convinto (e come me, per fortuna, molta gente che lavora e ha famiglia) che le persone dovrebbero essere lasciate semplicemente libere di credere a ciò che più garba loro, foss’anche all’oroscopo e ai tarocchi (invero così lontani dalle mie vedute!). D’altronde, dal cartomante o dall’assicuratore, dal pranoterapeuta o dal commerciante, dal prete carismatico o dal promotore finanziario, se vengo raggirato o truffato, se subisco violenza o estorsione o abusi di qualunque genere, fortunatamente vivo in uno stato di diritto in cui posso godere della protezione delle forze dell’ordine. E come mostra la giurisprudenza, la legge esiste eccome, e i delinquenti possono essere sanzionati. Certo, qualcuno (purtroppo) la fa franca, ma non occorre inventare la categoria di ipotetiche «sette» per giustificare le eventuali negligenze della giustizia penale e civile.

E poi, vista e considerata l’ormai conclamato clima di assoluta incertezza sull’affidabilità dei media e la disarmante pseudoscienza degli «anti-sette», chi mi dice che sia peggio credere ad un presunto mago piuttosto che ad un giornalista o ad un militante contro le «sette»?

Per una volta voglio improvvisarmi ateo (chissà che lo psicologo Luigi Corvaglia non abbia di che correggermi) e provare ad usare una chiave di lettura differente da quella cui sono abituato (e nella quale, beninteso, credo fermamente).

A sentire gli «anti-sette» come Lorita Tinelli, «l’atteggiamento fideistico» (da lei deriso e schernito) è una caratteristica dei «culti distruttivi» perché porta le persone ad una «adesione totale» alle credenze di «gruppi che non hanno una base teorica e ideologica sostenibile» (parole sue!). Retorica conclusione del suo (s)ragionamento: «come si fa a credere a cose di questo genere?».


Ma ecco cosa direi da ateo, quasi facendo il verso alla psicologa pugliese e al suo conterraneo collega ed amico Luigi Corvaglia: il cattolicesimo è un culto distruttivo perché promuove delinquenziali ed empi concetti di cannibalismo e teofagia, celebra come santo un folle che credeva di parlare con gli animali e – figlio degenerato – ripudiava il padre fuggendo nudo dalla propria casa, traeva origine dalle profezie di un leader che sosteneva di sentire una voce (quella di Dio) in virtù della quale era in dovere di ammazzare il proprio figlio, mandava i propri adepti a morire sbranati dalle belve e immolati sul fuoco inneggiando sprezzanti della propria vita al loro guru… e via discorrendo.

Sostanzialmente la stessa linea di pensiero con cui si dileggiano i culti numericamente più esigui: «hanno credenze assurde» e «fanno cose incomprensibili».

Addirittura, secondo Flavia Piccinni «ripetere un mantra dalla mattina alla sera» è sintomo che si è stati irretiti e si è diventati «vittima» di una «setta». Bontà sua: ammesso e non concesso che la scrittrice e pubblicista sappia cosa sia un mantra, spero vivamente che non le capiti mai di passeggiare accanto a un gruppo di apostolato della preghiera intento a recitare un rosario nel periodo primaverile. I poveri malcapitati rischierebbero di ritrovarsi la Squadra Anti-Sette (SAS) nel giro di qualche minuto in assetto antisommossa per «sgominare il maligno», magari capeggiati da don Aldo Buonaiuto pronto a somministrare un esorcismo collettivo.


Guai a stare vicino a chi è in difficoltà o a chi attraversa periodi difficili della propria vita: sacerdoti, familiari e conoscenti, guru (nel senso vero del termine, non nell’accezione fuorviante smerciata dai media), compagni di scuola, soci e colleghi di lavoro, attenzione! Mai esagerare nell’amicizia. Mai far sentire importanti chi ci sta accanto. Potreste venire condotti in carcere (quale misura cautelare) perché tacciati di «love bombing»!

Mi si passi l’ironia, per lo meno cerco con questa di bilanciare la superficialità becera e la subdola malizia di chi vede il male dappertutto, persino nelle manifestazioni di affetto.

E se invece cercassimo di imparare un po’ dalla cultura (quella vera, ben altra cosa rispetto alla «TV spazzatura»)?

Una frase per riassumere l’intero discorso: «Omnia munda mundis» come disse padre Cristoforo soccorrendo le manzoniane Agnese e Lucia nel convento di Pescarenico. Se fosse vissuta al tempo, Flavia Piccinni avrebbe senz’ombra di dubbio accusato il sacerdote di voler approfittare sessualmente della promessa sposa, anzi di trasformare l’intera struttura ecclesiale in luogo privilegiato di orge dissacranti. Sataniche, come avrebbe poi chiosato don Aldo Buonaiuto.

Amen.

lunedì 21 gennaio 2019

Michele Nardi, magistrato «anti-sette», sotto accusa per corruzione

Abbiamo appreso dai media nazionali nei giorni scorsi che Michele Nardi, magistrato pavese di 52 anni di ruolo a Roma dal 2012, è stato arrestato (assieme al giudice Antonio Savasta) nell’ambito di un’inchiesta condotta dal tribunale di Lecce perché – secondo l’accusa – si sarebbe accaparrato denaro e benefici personali «millantando credito presso i giudici del Tribunale di Trani»; fra le altre cose, si sarebbe fatto consegnare «quale prezzo della propria mediazione con il pretesto di dover comprare il favore dei giudici» vari vantaggi fra cui «un viaggio a Dubai del valore di 10mila euro», la ristrutturazione di un suo immobile a Roma «per un importo pari a circa 120-130mila Euro (…), un Rolex Daytona (…) costato 34mila 500 euro» oltre a «due diamanti ciascuno del valore di 27mila euro». Infine, «secondo le indagini il pm [Nardi] avrebbe tentato di farsi consegnare complessivi due milioni di Euro».

Va precisato che l’indagine è in pieno svolgimento e, malgrado l’arresto a scopo cautelare, va sottolineato che Nardi potrebbe venire scagionato e va quindi ritenuto innocente fino a prova contraria per questa recentissima serie di accuse che gli vengono rivolte. Diverso invece il discorso circa l’imputazione di calunnia per la quale, in maggio 2016, era stato condannato a Catanzaro.

Tuttavia, mentre attendiamo che gli sviluppi dell’inchiesta attuale facciano luce sulla vicenda ed accertino la verità dei fatti, ricordiamo quale è stato sin qui l’apporto di Michele Nardi alla campagna ideologica dei militanti contro i nuovi movimenti religiosi in favore del ripristino del reato di plagio, al fianco di personaggi controversi come don Aldo Buonaiuto.

Tale campagna, come è ampiamente documentato nel nostro blog, mira a instillare nella società un allarmismo generalizzato a proposito di presunte «sette religiose» che si nasconderebbero dietro l’angolo pronte ad ogni sorta di agguato e rappresenterebbero un pericolo per l’intero paese:


Questo intervento è tratto dalla puntata del 28 aprile 2012 della trasmissione «Vade Retro» di David Murgia che va in onda sull’emittente cattolica «TV 2000». Qui vediamo Michele Nardi proprio accanto al prete inquisitore:


Michele Nardi, già sostituto procuratore a Roma, è infatti personaggio largamente apprezzato dagli «anti-sette» che spesso lo hanno invitato ai loro convegni e presentato come «grande magistrato» ed illustre rappresentante delle istituzioni.

Qui un post dell’avvocatessa Giovanna Balestrino del GRIS datato 20 maggio 2017 che esemplifica bene tale nostro asserto:


Sorvolando sul veniale «dà» senza accento, focalizziamo invece certe dichiarazioni ricorrenti da parte del pubblico ministero Nardi in occasione di conferenze e incontri «anti-sette».

Il sodalizio contro i nuovi movimenti religiosi è forte in particolare con il GRIS. Qui la partecipazione ad un convegno regionale nel novembre del 2012 a dare manforte a Giuseppe Bisetto e allo stesso David Murgia già citato prima:


Spicca fra i concetti veicolati la linea di supporto al ripristino del «reato di plagio» (alias «manipolazione mentale»), un tamburo che gli «anti-sette» non smettono mai di battere. Si osservi a tal proposito questa frase, riportata dai media a margine del corso «Esorcismo e preghiera di liberazione» organizzato proprio dal GRIS presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma:

La manipolazione mentale è un’attività complessa che tende ad azzerare il libero arbitrio della persona, per sottometterla alle volontà dei capi.


Dichiarazioni, queste, che si sovrappongono specularmente ad altri interventi di Michele Nardi, come questo desunto dalla medesima trasmissione di «TV 2000» citata prima:


Ciò che balza particolarmente all’occhio è la somiglianza fra queste accuse, genericamente rivolte dal magistrato a delle non meglio precisate «sette», e le imputazioni che oggidì gli stanno venendo rivolte dal giudice per le indagini preliminari di Lecce, che così l’ha definito:

Una persona senza scrupoli che utilizza il lavoro di magistrato (e i rapporti che ne derivano) per spremere quante più utilità possibili; è sconcertante, tenuto conto che si tratta di un magistrato, come per lui sia normale millantare di poter “accomodare” i processi.

E ancora:

una personalità spregiudicata e pericolosa (...) capace di creare documenti falsi per inquinare le prove

Impossibile non rimanere un po’ interdetti mettendo a paragone tale grave valutazione, espressa dal magistrato di Lecce a carico del suo collega in forza a Roma, con il giudizio parimenti severo formulato dal teleschermo proprio da Nardi nei confronti delle ipotetiche «sette» o del «maligno»:


Tornando poi al filone calabrese dell’indagine, si apprende dalla stampa che sono sotto la lente d’ingrandimento  addirittura i possibili legami fra Michele Nardi e la massoneria!

(…) risulta documentato il tentativo di Nardi di contattare il giudice del processo al fine di ottenere la positiva definizione della sua vicenda processuale facendo ricorso a conoscenze attive in ambito massonico, ambiente di cui egli stesso fa parte

Sbalorditivo: è proprio quel genere di ambiente che il GRIS, a suon di convegni e pubblicazioni uno dopo l’altra, ha fatto bersaglio dei più inflessibili anatemi, come ci ricorda la succitata Giovanna Balestrino nel maggio di due anni fa:


O come si può constatare dalla seguente locandina di quello stesso periodo (maggio 2017) che annuncia una conferenza in provincia di Agrigento:


Attendiamo fiduciosi che la giustizia (umana e divina) faccia il proprio corso.

sabato 19 gennaio 2019

Contributo esterno - l’era della «post-verità» religiosa

Dal nostro corrispondente esperto in questioni estere, Epaminonda (ma con una piccola rifinitura del solito, impertinente Mario Casini), ecco un pregevole contributo a proposito del ruolo dei giornalisti non solo nella propaganda «anti-sette» di cui ci occupiamo in questo blog, ma anche e soprattutto nella diffusione (prezzolata) di «informazioni» dalla scarsa attendibilità, che in ultima analisi rovinano la categoria stessa dei reporter e deturpano la libertà di stampa.

Conosciamo bene le conseguenze (talvolta disastrose) del tamtam mediatico sul presunto «allarme sette» ai danni delle vite di individui o di intere famiglie facenti parte di gruppi spirituali «non convenzionali», ma oltre a ciò deve essere considerata l’influenza dei disinformatori di «professione» rispetto al vasto pubblico e agli scenari socio-politici del terzo millennio. 


sabato 12 gennaio 2019

Disinformazione «anti-sette»: Carmine Gazzanni sa di cosa sta parlando?

di Mario Casini

Ormai è quasi scontato – anche perché copiosamente documentato nel nostro blog – prevedere le dichiarazioni degli «anti-sette»: sebbene proferite ogni volta da soggetti differenti del loro esiguo, variegato e quanto mai contraddittorio arcipelago, sono costantemente caratterizzate dal medesimo tratto stilistico: la ripetitività di offese gratuite e storie ricamate, che mirano a screditare (qua e là con toni anche infantili come nel caso di AIVS e Toni Occhiello, altrove con i tratti ben più gravi della calunnia e della persecuzione) i bersagli delle invettive: che si tratti di un libro, di un post su Facebook o di una trasmissione in TV o in radio, la tecnica impiegata è sempre la medesima: liste di proscrizione di movimenti e relativi leader, presunti «abusi economici» e interessi nascosti che però di rado vengono dettagliati e circostanziati in fatti precisi, accuse di nefandezze ripugnanti, video pruriginosi con sfondi sonori da film dell’orrore, pubblicazione di foto private, fatti personali e legami familiari spiattellati pubblicamente. Questo è il business degli «anti-sette» e, come si è più volte dimostrato, è costruito alle spalle di persone il più delle volte innocenti.

In questo becero/triste quadro ben s’inserisce la campagna pubblicitaria avviata tre mesi fa per vendere «Nella Setta» il libro dei militanti «anti-sette» italiani firmato da Carmine Gazzanni (giornalista il cui «curriculum» contro il mondo della spiritualità è cominciato ben prima che egli si arruolasse nell’ordine dei professionisti) e Flavia Piccinni, scrittrice ma più che altro sua fidanzata. Perché poi pubblicamente debbano sottacere il fatto di essere compagni di vita quando «svelano» tutto il «torbido» che esisterebbe intorno a chi ricerca una spiritualità tanto lontana e odiata da loro, non è dato sapere. Pare quasi che debba esservi un che di losco o di imbarazzante: eppure l’amore è una cosa meravigliosa. Ma sto divagando, meglio andare al sodo e ai punti davvero importanti che vorrei brevemente sollevare.

Sì, perché mentre la libertà di parola è sacrosanto che sia garantita a tutti, persino a chi volesse scrivere un libro per narrare la vita grama degli asini volanti o degli allevatori di Scarpantibus, da un giornalista professionista ci si aspetterebbe una competenza per lo meno sufficiente rispetto a ciò su cui esprime i propri giudizi, influenzando così inevitabilmente la vita di centinaia di migliaia di persone. Ne avevamo accennato in un recente post: il «rispetto della verità sostanziale dei fatti» dovrebbe essere un «obbligo inderogabile» per chi pretende di riferire notizie di interesse pubblico.

Eppure Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni – amici e collaboratori di controverse associazioni «anti-sette» come la già citata AIVS e come CeSAP e FAVIS e quindi indirettamente privilegiati dal collegamento di questi ultimi con la «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) non sembrano preparati a fondo sugli argomenti di cui raccontano. Al contrario, oltre a strombazzare cifre completamente autoreferenziali e soprattutto prive di un’analisi compita e dettagliata, costoro si lasciano anche scappare strafalcioni veri e propri, mostrando delle lacune abissali in quegli stessi argomenti su cui tentano ostentare sicurezza.

Parto da un primo dato che è indubbiamente significativo, se consideriamo che rappresenta il fulcro di tutta la réclame per incrementare le vendite del libro: la cifra dei quattro milioni. La formulano così:

Quattro milioni di italiani ogni mattina si alzano, e hanno un segreto: sono membri di un’organizzazione settaria (…)

Frase ad effetto: spaventa, rende sospettosi e guardinghi. Ben studiata: attenzione, il nemico è qui fra di noi, potrebbe essere (anzi: «sono», dice il libro) «il vostro edicolante, la ragazza che vi prepara il cappuccino al bar la mattina, la signora simpatica che incontrate sull’autobus andando al lavoro o il vostro odiatissimo vicino».

Ho cercato in lungo e in largo nel libro un dettaglio di questa «paurosa cifra» (addirittura il 6-7% della popolazione italiana sarebbe «vittima» di belzebù!) ma non l’ho trovato. Di fatto, non si dice quale sia la fonte del dato, non vi è alcuna traccia del calcolo che lo ha prodotto. Se ne parla all’inizio del testo (per captare ben bene l’attenzione?) e poi basta.

Insomma, da dove deriva questa cifra che d’improvviso è piombata sul popolo italiano e che finora cinquantasei milioni di cittadini non avevano nemmeno lontanamente sospettato? È «liberamente» ricavata dalla sommatoria dei numeri dei partecipanti dei diversi gruppi religiosi forniti dalle organizzazioni degli stessi? Proviene dalle «statistiche» curate da don Aldo Buonaiuto? È tratta da uno sviluppo o proiezione statistica di quanto elaborato dal Ministero dell’Interno nel famigerato rapporto del 1998? Chissà.

Cerco, cerco, e trovo forse una spiegazione nel primo capitolo del libro, a pagina 11, dove Gazzanni e Piccinni sostengono che il loro «viaggio» si concluda idealmente nell’ufficio della SAS di Firenze. Lo stesso ufficio che si vede nell’infelice trasmissione andata in onda il 24 febbraio 2018 su RAI Tre, «Presa Diretta», alla quale hanno collaborato essi stessi. Sì, perché il giornalista di Isernia afferma alla TV di stato:


Questo chiaramente dà un’aura di ufficialità al suo libro «anti-sette», però stona con i documenti ufficiali e con le cifre precedentemente buccinate dai suoi amici della compagnia contro i presunti «culti distruttivi»:


Tutto chiaro ora? Nient’affatto, perché le cifre diffuse dalle «citate associazioni» (che alla fine si riducono in concreto alla singola e singolare figura di don Aldo Buonaiuto) sono alquanto diverse e, in particolare, il prete inquisitore non ha mai parlato di «quattro milioni di italiani» ma ha fatto discorsi di tutt’altro genere, peraltro profondamente contraddittori.

A differenza di don Aldo Buonaiuto e dei suoi colleghi mangiapreti come Luigi Corvaglia del CeSAP o Maurizio Alessandrini di FAVIS, però, la «Squadra Anti-Sette» è un corpo di polizia dello stato: ne consegue che, se considera valide (senza verificarle) e poi ratifica e diffonde pubblicamente delle cifre infondate e impropriamente allarmistiche, rischia di cadere in una «falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici» (articolo 479 del codice penale): «Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell`esercizio delle sue funzioni, (…) attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l`atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell`art. 476».

Sarebbe ora che la SAS renda definitivamente conto dei dati «anti-sette» ai contribuenti e si faccia al 100% garante dell'attendibilità degli stessi, a maggior ragione visto e considerato che lo stesso Carmine Gazzanni dichiara di averli ricevuti proprio da loro.

Idealmente, questo potrebbe diventare il tema di un’interrogazione parlamentare che suonerebbe press’a poco come segue.

Considerato che le informazioni allarmanti diffuse dai media e reiterate da controverse associazioni «anti-sette» sembrano provenire da ambienti della Polizia di Stato (almeno stando a quanto dichiarato da un giornalista di nome Carmine Gazzanni);

considerato che il «numero verde» del telefono «contro le sette sataniche» diretto da don Aldo Buonaiuto è referente ufficiale della Squadra Anti-Sette della Polizia di Stato come stabilito nella circolare istitutiva nr. 557/RS/3040 del 23 novembre 2006 del Ministero dell’Interno;

considerati gli errori giudiziari e il dispendio di denaro pubblico dovuto ad informazioni tendenziose o del tutto fasulle basandosi sulle quali la magistratura ha in taluni casi condotto inchieste che si sono rivelate poi superflue ma hanno ugualmente prodotto un’influenza gravissima sugli individui coinvolti;

si interrogano i ministri per sapere se (...) eccetera

Sarà meglio ch’io torni con i piedi per terra: ho ancora un punto da rilevare nelle strampalate affermazioni rese in TV da Carmine Gazzanni per pubblicizzare il libro scritto con la sua fidanzata Flavia Piccinni.

È un momento dell’intervista che mi ha fatto sbellicare dalle risa persino più di un altro passaggio in cui delle «questioni di salute» (in modo tutto sommato veniale) con una potente trasfigurazione semantica diventano «questioni salutari» (sarà stata una licenza poetica?).

No, direi che l’apice del ridicolo si raggiunge quando il giornalista isernino arriva a dichiarare:


Scusate, fatemelo trascrivere:

«Proposte in parlamento ci sono state ma effettivamente non sono mai né state calendarizzate né tantomeno approvate»
(cit. Carmine Gazzanni)

Gazzanni si riferisce (senza ovviamente dettagliare alcunché, come al solito) alle proposte di legge sulla «manipolazione mentale», che sono state una mezza dozzina a partire dai primi anni 2000 e portano tutte quante l’inconfondibile marchio della propaganda «anti-sette» contro i «nuovi movimenti religiosi».

È vero che nessuna di quelle iniziative è mai stata approvata dal parlamento e ratificata fino a diventare legge.

È clamorosamente falso che non ne siano mai state calendarizzate e discusse: al contrario, fra il 2003 e il 2004 uno dei progetti di legge del fronte «anti-sette» accorpò due iniziative (una dell’attuale presidentessa del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, l’altra dell’allora senatore di estrema destra Renato Meduri; ne abbiamo parlato qui) in un unico testo dal titolo «Disposizioni concernenti il reato di manipolazione mentale», e l’iter parlamentare ottenne i pareri favorevoli di due commissioni permanenti e arrivò in Commissione Giustizia del Senato.

Successivamente, il disegno di legge nr. 569 a firma dell’on. Antonino Caruso rimase per mesi in calendario e venne discusso in Commissione Giustizia del Senato in sede referente tra il 2009 e il 2010. Vennero svolte numerose audizioni (anche successivamente, nel 2011 e 2012), fino a quando poi non cadde il governo. Fra l’altro, l’iter parlamentare del disegno di legge nr. 569 (grazie alla complicità della senatrice cofirmataria Laura Allegrini) fu fortemente influenzato dal fronte «anti-sette», nei modi decisamente discutibili apertamente denunciati in questo e questo post del sito «Libero Credo».

Questo fa capire a me (e a chiunque altro osservi il fenomeno con obiettività) che Carmine Gazzanni, il giornalista, non si è documentato sull’argomento di cui sta parlando. Ne sta parlando esclusivamente a fini pubblicitari, e allora che importa se le informazioni che diffonde sono – di fatto – disinformazione?

giovedì 10 gennaio 2019

Il caso dello psicologo Luigi Corvaglia: gli «anti-sette» sono attendibili o manipolano l’informazione?

Tra le figure attualmente più in vista nel chiacchierato sottobosco italiano delle associazioni «anti-sette», oggigiorno in auge è indubbiamente Luigi Corvaglia, psicologo dipendente dell’ASL di Bari nonché presidente del chiacchierato CeSAP, il «centro studi» improntato alla lotta contro i nuovi movimenti religiosi fondato dalla sua amica e collaboratrice Lorita Tinelli; oltre a dirigere un «SerT», Corvaglia si fregia altresì del ruolo di membro del comitato direttivo della controversa organizzazione europea FECRIS, mentre da ateo conclamato (e apertamente anticlericale, se non addirittura antireligioso tout-court) assieme a un prete (don Aldo Buonaiuto) è parte integrante della struttura che fa da sfondo ideologico al discutibile operato della «Squadra Anti-Sette» (SAS) del Ministero dell’Interno. Qui una sua foto recentissima.


Di Luigi Corvaglia e della tattica «anti-sette» (ormai conclamata) di sfruttare il cancan mediatico ai danni dei movimenti religiosi «alternativi» per procurare vantaggi economici e popolarità per le categorie dei presunti esperti (dalla difficile credibilità), dei «documentaristi» improvvisati, dei giornalisti compiacenti o degli ex membri vendicativi con lampanti secondi fini, abbiamo già dato conto più volte in precedenza.

Avevamo anche documentato l’inesattezza e la tendenziosità insiste nel tentativo compiuto da Luigi Corvaglia di difendere la teoria «anti-sette» del «lavaggio del cervello», ormai ampiamente screditata dalla comunità accademica. Rilievi, i nostri, che non solo si sono rivelati corretti, ma sono stati addirittura confermati in pieno dai successivi colloqui «virtuali» intercorsi online proprio con lo psicologo leccese.

A quello scambio di commenti sulla pagina Facebook del nostro blog, fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre dello scorso anno, ne seguì un ulteriore in cui Luigi Corvaglia da un lato mostrò l’indubbio pregio (alquanto fuori dal comune fra i suoi colleghi «anti-sette» più estremisti) di non sottrarsi alle nostre critiche e di rendersi disponibile ad un contraddittorio, dall’altro lato non riuscì a dare spiegazioni e risposte tali da permetterci di modificare le nostre conclusioni; al contrario, non poté che fornirci delle conferme definitive che a certe nostre obiezioni non vi è alcun’altra risposta se non la constatazione della (triste) realtà delle stesse. Due punti, fra tutti quelli toccati in quel frizzante «carteggio» pubblico online, li riportiamo qui per esemplificare a dovere l’esito delle nostre osservazioni.

Avevamo contestato allo psicologo Luigi Corvaglia di essere in un certo senso venuto meno ai suoi stessi principi epistemologici nel momento in cui afferma, quali «verità indiscusse», i soliti elementi dell’ideologia «anti-sette» ai danni dei nuovi movimenti religiosi. La sua risposta fu l’ammissione (certamente condivisibile) che «le conoscenze scientifiche sono SEMPRE discusse e MAI definitive. Non sono verità di fede. È per questo che le teorie sulla manipolazione mentale - la stragrande maggioranza delle quali non condivido io stesso - sono scientifiche, proprio perché popperianamente falsificabili». Dieci e lode. Peccato, però, che quando poi va in TV per pubblicizzare il CeSAP e la propria attività di psicologo per «curare» le ipotetiche «vittime» di presunte «sette», ciò che ne risulta siano i soliti, triti e ritriti «dogmi» e anatemi tipici della sua ideologia:


L’altra profonda contraddizione è quella relativa alla succitata FECRIS: insistentemente abbiamo rimarcato che il ruolo di Luigi Corvaglia quale dirigente di tale organizzazione «anti-sette» europea dovrebbe farlo riflettere profondamente sulle modalità e sulle conseguenza della propaganda portata avanti da quell’ente e da tutte le associazioni ad esso (e quindi a lui medesimo) collegate o subordinate. Le sue risposte sono variate da un iniziale «non è neppure vero che io presieda addirittura “un blocco di associazioni”», salvo poi confermare appieno il proprio «ruolo ufficiale (…) di componente del comitato direttivo», passando per un «io potrò anche parlare a nome di altri proprio per quel minimo di rappresentatività che ho (e che lei esagera), ma altri non parlano a nome mio», per approdare al traballante alibi «al 99 per cento non conosco (…) le persone che costituiscono il "blocco di associazioni" che dovrei presiedere». Quando però gli sono stati fatti nomi e cognomi di una dozzina di militanti con cui collabora, non ha potuto che ammettere di sapere perfettamente chi siano e ribadire di «riconoscermi nella filosofia e nelle azioni di FECRIS, rappresentata in Italia da cesap e favis». E stando a quanto egli stesso pubblica su Facebook, non potrebbe mai negare di trovarsi spesso allo stesso tavolo con vari esponenti «anti-sette» europei e di frequentarli anche al di là degli appuntamenti «professionali».

Vi sarebbe altresì spazio per l’asserto secondo cui a Luigi Corvaglia non piacciono gli attacchi basati «sulla demolizione della persona più che alle idee, sul dileggio più che sull’argomento»: basterebbe ricordare alcuni suoi post come quelli su Madre Teresa di Calcutta per non parlare di certe violenze verbali da parte della sua amica e collega Lorita Tinelli (ampiamente documentate nel nostro e in altri blog e siti Web), ma sospendiamo un momento questo punto per riprenderlo fra poco.

In altri termini, fra gli «anti-sette» regna una costante contraddittorietà, documentata ormai da una miriade di elementi concreti (e principalmente desunti dalle loro stesse dichiarazioni ed esternazioni) che può trovare una spiegazione valida solamente nella finalità che legano assieme soggetti tanto diversi: il lucro, il profitto, il vantaggio personale.

Poco importa a Luigi Corvaglia se il verbo propagato dalla Chiesa Cattolica è quanto di più lontano potrebbe esserci dalle sue vedute: tutto fa brodo, se grazie a don Aldo Buonaiuto la «Squadra Anti-Sette» è diventata ormai un prodotto mediatico per la «grande distribuzione» dei talk-show da «TV spazzatura».

Poco importa se accanto al CeSAP c’è un’associazione diretta da due o tre facinorosi come AIVS, il cui presidente Toni Occhiello coglie occasioni a più non posso per infamare senza ritegno la religione di cui ha fatto parte per trent’anni.

Poco importa se la screditata teoria della «manipolazione mentale» viene invocata per fare pressione sul parlamento affinché ripristini il reato fascista di «plagio»: chi come Luigi Corvaglia si definisce «un libertario» (convinto di «una irriducibile sovranità individuale che non può essere violata da alcun potere o pretesa del singolo o della collettività») dovrebbe insorgere come fecero gli intellettuali di cinquant’anni fa e battersi a spada tratta per difendere i propri valori (sacrosanti, oseremmo dire) da un’iniziativa liberticida.

Tutto ciò non avviene per un fatto alquanto semplice: pecunia non olet, è più conveniente infischiarsi dei principi asseriti pubblicamente come propri e insindacabili, ma operativamente traditi in pieno.

Tale spiegazione e il movente che abbiamo così individuato risultano fra l’altro illuminanti anche come chiave di lettura di un ulteriore elemento che riteniamo completi il quadro. Lo citiamo ricordando quell’emblematico assunto secondo cui Luigi Corvaglia disdegna gli attacchi «ad hominem».

Si noti come a più riprese lo psicologo pugliese prenda di mira un (vero) esperto di religioni e sette, il prof. Massimo Introvigne. Citiamo ad esempio solo l’ultima delle sue critiche, risalente alla scorsa settimana:


Se si fosse documentato almeno un pochino invece di abbandonarsi a quella che ha tutta l’aria di essere mera invidia, lo psicologo Luigi Corvaglia non solo non si sarebbe «perso», ma avrebbe facilmente trovato quanto noi abbiamo rinvenuto con una semplice ricerca in Internet, ossia questo articolo de «La Stampa» in cui il diretto interessato dichiara quanto segue:

Non ho nessuna difficoltà a confessare di essermi sbagliato. Come molti altri, vedevo i buoni frutti della congregazione dei Legionari di Cristo e avevo difficoltà a convincermi che potessero venire da una radice perversa. Sapevo anche che il beato Giovanni Paolo II – come il film non manca di ricordare – credeva all’innocenza di padre Maciel. Avevo torto io, e aveva ragione il cardinale Ratzinger che invece fin dall’inizio riteneva colpevole il fondatore dei Legionari di Cristo. Mi è già capitato di fare ammenda – in pubblico, con una lettera letta al congresso dell’International Cultic Studies Association tenuto a Montreal nel 2012 – per una posizione sbagliata che può avere arrecato dolore ad autentiche vittime dei crimini di padre Maciel.

Per inciso: l’articolo andrebbe peraltro letto integralmente per capire non solo come la piaga della pedofilia nel clero sia un tema profondamente sentito e all’attenzione in Vaticano perché i suoi effetti devastanti non potranno mai essere negati da alcuno, ma anche come la propaganda mediatica contro la Chiesa Cattolica sia talvolta tanto strumentale e maliziosa da somigliare parecchio a quella regolarmente messa in atto contro i nuovi movimenti religiosi.

Ma tornando al post di Luigi Corvaglia, nei commenti si osserva una chiosa che elimina qualsiasi dubbio sul fatto che lo psicologo del «SerT» abbia sottoposto il proprio giudizio a una qualche forma di riesame:


Si noti il commento di Lorita Tinelli, che non perde l’occasione per dimostrare la propria inattendibilità: non solo le scuse di cui parla si sono verificate diversi anni or sono, ma se si parla di onestà e di umiltà qualcuno dovrebbe soppesare con estrema cautela le proprie parole per non rischiare di venire clamorosamente smentito.

E qui si apre un ulteriore siparietto, che mostra come la manipolazione delle informazioni ad opera dei dirigenti del CeSAP finisca per tradursi nella diffusione di «fake news» da parte dei loro adepti.

Sì, perché il Pier Paolo Caselli al quale Corvaglia ha appena somministrato la propria «perla di saggezza» ai danni della reputazione di un esperto internazionale come il prof. Massimo Introvigne, è lo stesso soggetto di cui abbiamo parlato ai primordi del nostro blog in quanto arcinoto ammiratore di Lorita Tinelli e altrettanto arcinoto persecutore online della studiosa Simonetta Po. Teorema che non fallisce nemmeno questa volta. Infatti il ringraziamento di Caselli a Corvaglia porta l’ora delle 15:34, e appena nove minuti più tardi il cinquantacinquenne vicentino ha già riversato in forma di gossip la diceria sul gruppo di discussione Google su Scientology curato proprio dalla Po:


Si noti peraltro la modalità di relazione della «notizia»: il post di Luigi Corvaglia e la domanda di Caselli diventa «mi è stato riferito» (ma in realtà è Caselli che ha chiesto chiarimenti, perché evidentemente non ne sapeva nulla), un illustre sociologo di fama internazionale diventa «un ben noto esponente anti anti-sette», e la menzogna a proposito della «copertura» dei pedofili diventa un fatto che viene dato quasi per sottinteso.

Ma mentre a un soggetto come Caselli più di tot non si può rimproverare se non la lampante facilità con cui il suo giudizio viene fuorviato da chi secondo lui è il detentore della «verità», al contrario ben più grave è la faziosità di tale operato se a portarla avanti è l’esponente di un’istituzione europea come la FECRIS, la cui influenza si estende ben oltre il già vasto distretto della città che la finanzia (Parigi) e raggiunge zone lontane come la Russia e la Cina attraversando il vecchio continente tutto, alimentando direttamente odio e persecuzioni religiose anche violente.

mercoledì 9 gennaio 2019

Bufale «anti-sette»: Roberta Grillo, il centro «Sicar» e il presunto «allarme satanismo»

Stemperiamo i toni necessariamente un po’ seriosi degli ultimi tempi (d’altronde, ci sarebbe davvero poco di che stare allegri) e tuffiamoci per un momento fra gli aspetti più ridicoli che il panorama «anti-sette» ci offre.

Lo facciamo con il nostro Epaminonda, che di satira s’intende, e che è incappato in un articolo semplicemente arlecchinesco, firmato da un laureando di nome Andrea Ferrario e pubblicato da una rivista edita addirittura dalla Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica di Milano (sic!).

Satira amara, comunque, perché dell'approssimazione e della superficialità degli «anti-sette» si potrebbe e si dovrebbe parlare in maniera ben più severa.