[N.B. Post modificato in data 30/10/2018 per rettificare l'impreciso riferimento alla prof.ssa Janja Lalich]
È ormai da tempo un fatto conclamato che gli «anti-sette» cercano di riaffermare talune teorie da loro spesso adoperate per giustificare il proprio operato; tentano di ribadirle perché rappresentano appigli e basi ideologiche su cui poter fondare le campagne mediatiche alle quali danno adito, e per poter classificare movimenti religiosi da loro odiati come «sette», «culti distruttivi», «culti abusanti», ecc. Una prassi (questa dello «stigma» contro le cosiddette «sette»), che accomuna le diverse associazioni del panorama «anti-sette» italiano: AIVS, CeSAP, FAVIS e la loro controversa capofila europea FECRIS.
Quando però ricercatori indipendenti come noi, piuttosto che giornalisti o studiosi, mettono in luce le incongruenze del loro argomentare, ecco che scattano le offese, lo scherno e le intimidazioni, invece di critiche obiettive e puntuali come ci si aspetterebbe in un contraddittorio civile e costruttivo.
Quello che focalizziamo nel presente post è un tentativo paradossale e forse subdolo, da parte di Luigi Corvaglia (psicologo ed esponente «anti-sette» piuttosto attivo negli ultimi tempi, forse perché ansioso di ritagliarsi una sua fetta di palcoscenico per motivi che abbiamo ben evidenziato qui), di «smentire» solo una delle numerose argomentazioni mosse dal mondo accademico contro le tesi estremiste degli ideologi «anti-sette». Tesi peraltro molto simili (se non sovrapponibili) a quelle adoperate nel periodo fascista per discriminare le confessioni religiose minoritarie e per giustificarne la persecuzione, come si è descritto nei due post (primo e secondo) a proposito della circolare «Buffarini Guidi».
Andiamo al sodo.
Luigi Corvaglia (presidente del succitato CeSAP), in un articolo che ha scritto il 9 aprile scorso e ha pubblicato su un proprio blog personale, asserisce che secondo la prof.ssa Eileen Barker, «le tecniche di persuasione [nella Chiesa dell’Unificazione, un gruppo annoverato fra i «nuovi movimenti religiosi»] non sono particolarmente efficaci e il fatto che la gente entri ed esca liberamente dai culti dimostra che non esiste il “lavaggio del cervello”».
Corvaglia fa riferimento a uno studio (del 1984) sulla «Chiesa dell’Unificazione del Reverendo Moon», che per la verità s’intitola «The Making of a Moonie: Choice or Brainwashing?» (e non «The Making of the Moonies» come scorrettamente indicato dello psicologo pugliese). Per completezza, la traduzione letterale del titolo del saggio sarebbe «Come si diventa Moonie, scelta o lavaggio del cervello?».
Si tenga conto che la prof.ssa Eileen Barker, ora ottantenne, è una luminare nel campo della sociologia, infatti conduce e pubblica studi sui movimenti religiosi da quasi quarant’anni); dunque già il fatto di tacciarla di dare adito a «fake news» ha come minimo dell’irriguardoso.
Inoltre, ammesso e non concesso che l’esatto enunciato della prof.ssa Barker sia quello riportato da Luigi Corvaglia nel suo post (è lecito dubitarne perché non è virgolettato ma è preso di rimando da un altro scritto in cui viene menzionato), occorre anche considerare il fatto che si sta astraendo un unico concetto da uno studio di ben 300 (trecento) pagine che andrebbe letto integralmente. Corvaglia l’avrà fatto? Chissà…
Comunque il dato statistico cruciale, su cui Corvaglia impernia tutto il suo tentativo di confutazione, è:
«Barker ha scoperto che su oltre 1.000 persone fermate per strada che hanno partecipato al loro primo evento Moonie (generalmente un pranzo), circa il 33,3% è andato al seguente corso / workshop, circa il 10% ha dichiarato di voler aderire e circa il 5% era ancora membro a tempo pieno due anni dopo.»
Il che, tradotto in cifre, significa che mediamente solo 5 (cinque) persone su 100 (cento) dopo due anni proseguono nel cammino spirituale proposto dalla Chiesa dell’Unificazione. Le altre 95 (novantacinque) lo abbandonano oppure ne smettono l’adesione o la praticano molto meno assiduamente di prima.
Un dato statistico – si noti – che lo psicologo «anti-sette» Luigi Corvaglia nemmeno si sogna di smentire, per il semplice fatto che non può! Non ha mai svolto uno studio qualificato ed esteso come quello della prof.ssa Barker, né possiede gli strumenti teoretici per poter contraddire la nota sociologa.
L’unica cosa che Corvaglia può solo tentare di fare è screditare l’assunto conclusivo della prof.ssa Barker.
Come lo fa? Dapprima chiama in causa la sua amica sociologa Janja Lalich la quale rimane sostanzialmente ai margini della questione e (riporta Corvaglia) «fa il confronto con gli effetti della propaganda di Billy Graham, un pastore battista di enorme popolarità negli USA e noto per le sue “crociate”»:
«(…) le cifre mostrano che circa dal 2% al 5% “sceglie Cristo”; solo circa la metà di queste rimane attiva un anno dopo, e dallo 0,33% allo 0,75% circa rimane permanentemente convertita. Questi dati rivelano tassi di reclutamento e di ritenzione molto inferiori a quelli presentati dallo studio di Barker sui Moonies.»
In concreto, la Laljc riesce solo a fare una fredda comparazione statistica fra due movimenti minoritari, che tutt’al più può fornire degli indizi da interpretare o – meglio – degli spunti per una ricerca seria. Tutta da compiere, però.
Secondo Luigi Corvaglia, invece questa citazione di tre righe dovrebbe confutare l’intero studio della prof.ssa Barker semplicemente «dimostrando» che, siccome il pastore Graham riscuote grande successo negli USA ma al contempo solo un’infinitesima parte di chi aderisce alle sue prediche lo segue anche successivamente, allora l’opera di convincimento dei Moonie deve per forza avere qualche caratteristica coercitiva siccome invece le loro percentuali di permanenza sono tot volte più elevate. E questa secondo Corvaglia sarebbe scienza?
Evidentemente no, se lui stesso si sente poi costretto a pescare dalla propria esperienza di dirigente SerT («servizio tossicodipendenze», quel ramo dei servizi sociosanitari che somministra metadone e altre sostanze stupefacenti come terapia per chi si droga) e proclama che, secondo uno studio delle Nazioni Unite, «solo il 9% delle persone che consumano sostanze psicotrope illecite finisce per sviluppare una addiction».
Per la cronaca, parlando in italiano, «addiction» si direbbe «dipendenza».
A tale conclusione, che secondo Corvaglia dovrebbe «demolire» definitivamente la ricerca della prof.ssa Barker, si giunge tenendo conto che:
«a livello mondiale circa 243 milioni di persone, cioè il 4,5% della popolazione,
ha usato almeno una sostanza psicotropa illecita; le persone che hanno
sviluppato dipendenza sono invece circa 27 milioni, all’incirca lo 0.5%
della popolazione adulta mondiale.»
Chiunque eserciti una minima dose di buon senso, direbbe: che ci azzecca? Rispondiamo noi: perfettamente nulla.
Corvaglia traspone una questione statistica afferente all’ambito dell’affiliazione religiosa in un ambito riguardante la tossicodipendenza, che si colloca dunque fra il fisiologico e lo psicologico.
Sarebbe come dire che, siccome solo uno «zero virgola» degli acquirenti di autovetture Fiat torna ad acquistare Fiat successivamente, allora l’efficacia dei metodi di vendita dei commerciali Fiat non è nemmeno paragonabile ai discorsi di persuasione dei Moonisti. Dinanzi a un siffatto paragone, ci si sentirebbe decisamente presi per i fondelli.
Inoltre, cosa sta cercando di insinuare? Che la religione o la spiritualità sono da equiparare alla droga e dunque vanno esaminate seguendo gli stessi canoni?
In conclusione: lo psicologo Luigi Corvaglia non solo non dimostra nulla di ciò che speciosamente afferma nel titolo del proprio post e nell'immagine pantagruelica che lo rappresenta, ma finisce addirittura su un piano a dir poco sdrucciolevole e formula un asserto a dir poco discutibile.
Tutto ciò solo per evitare di accettare la nuda e cruda realtà: le teorie del «lavaggio del cervello» accampate ad ogni piè sospinto dai suoi compari «anti-sette» non sono più né attuali né credibili, e nel ventunesimo secolo dovrebbero essere definitivamente abbandonate.
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