Lo scenario sociale di allora (di quel «ventennio» iniziato ormai quasi un secolo fa) era – è chiaro – profondamente differente dall’attuale, non solo per il quadro politico, culturale, etnico ed economico in cui si trovava il nostro paese, ma anche per il semplice ed elementare fatto che i gruppi religiosi erano di numero ben più esiguo di quanti non se ne possano contare oggigiorno.
Ciò nonostante, già a quei tempi la repressione del «diverso spirituale» (inquadrata in manovre di politica estera ben più ampie della mera ideologia intransigente, peraltro atta a mantenere il maggior ordine sociale possibile e un rigido controllo) s’imperniava su concetti fondamentali che vengono a tutt’oggi adoperati dagli «anti-sette» di cui parliamo nel nostro blog.
Fra gli esperti di libertà religiosa si è spesso menzionato il provvedimento draconiano che divenne il simbolo della persecuzione religiosa di quei tempi: la tristemente famosa circolare «Buffarini Guidi», emanata il 9 aprile del 1935 e così denominata dall’omonimo sottosegretario al Ministero dell’Interno dal 1933 al 1943, l’avvocato e deputato Guido Buffarini Guidi, membro del gran consiglio del fascismo.
Quella sciagurata direttiva (di cui dà una concisa ma dettagliata descrizione un saggio del prof. Stefano Gagliano) diede l’avvio a delle vere e proprie persecuzioni, principalmente ai danni delle comunità Pentecostali ed Evangeliche: il loro proselitismo fu impedito, i loro fedeli furono schedati e sottoposti a raccolta di informazioni riservate fra cui il controllo della loro corrispondenza; le loro adunanze vennero ostacolate, le loro congregazioni subirono irruzioni da parte delle forze dell’ordine anche a celebrazioni in corso; in qualche caso si arrivò fino alla denuncia con custodia cautelare, e addirittura al confino.
Si dovette attendere l’aprile del 1955 (ben oltre i dieci anni dalla caduta del regime fascista), perché la «Buffarini Guidi» venisse definitivamente revocata, dopo una serie di pronunce giudiziarie e iniziative parlamentari a favore della libertà di culto e in difesa dei diritti fondamentali delle minoranze Valdesi, Evangeliche e Pentecostali.
Vi sono drammatiche analogie fra quell’espressione antireligiosa della tirannide mussoliniana e le tattiche odierne degli «anti-sette», tanto quanto le iniziative legislative da costoro propiziate ai danni dei nuovi movimenti religiosi.
Primo fra tutti, l’obiettivo dichiarato di quel provvedimento.
Riferendosi al culto professato dai Pentecostali, il sottosegretario Buffarini Guidi dichiarò che esso non era «riconosciuto» a norma dell’articolo 2 della legge 24 giugno 1929, n. 1159 (quella sui «culti ammessi») e di conseguenza non poteva più essere consentito «nel regno, agli effetti dell’articolo 1 della citata legge, essendo risultato che esso estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza».
Desideriamo sottolineare questo concetto: «pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza».
In apparenza, la «Buffarini Guidi» proclamava di salvaguardare l’incolumità e la salute mentale dei cittadini. Né più né meno ciò che sostengono oggigiorno gli «anti-sette» (implicitamente o esplicitamente, a seconda dei casi), nei confronti delle diverse realtà religiose e spirituali, sfruttando la credulità popolare generatasi intorno alla controversa e screditata teoria del «lavaggio del cervello» alias «plagio» alias «manipolazione mentale».
Ricordiamo anche le affermazioni di Lorita Tinelli a proposito di quanto lei definisce «fideismo»:
Stessa linea ideologica: le credenze altrui, che alla psicologa non vanno a genio, sono non soltanto discutibili (secondo lei) ma anche «pericolose» per chi se ne interessa e comincia a professarle.
Tanto quanto accade oggigiorno con gli «anti-sette», così allora la circolare fascista si era servita del supporto di una e letteratura «scientifica» strumentalizzata per fornire conferme ufficiali a quell’ideologia antireligiosa. Ne dà conto il prof. Gagliano nel già citato saggio: «La scienza doveva provarlo. Nessuna meraviglia se la perizia medica di parte cattolica (…) parlava di “suggestione collettiva” di soggetti nevropatici e sosteneva che la pratica del culto pentecostale era dannosa per la salute psichica degli aderenti». Tali argomentazioni pseudo-scientifiche fornirono dunque la base teorica per i raid della polizia e le altre azioni di controllo nei confronti dei fedeli.
Ora come allora, a sostanziare la propaganda contro la libertà di scelta spirituale vi erano dei presunti esperti che non avevano in realtà competenze specifiche nell’ambito della sociologia della religione, della teologia, ecc.; erano invece medici o medici psichiatri. Oggi la categoria più direttamente coinvolta nella fornitura del supporto teorico per la discriminazione sono gli psicologi e solo marginalmente i medici, ma lo stratagemma e il risultato sono i medesimi. Luigi Corvaglia, Lorita Tinelli, Patrizia Santovecchi, Cristina Caparesi: questi i nomi principali.
Un altro aspetto di inquietante somiglianza è l’utilizzo che già a quel tempo si fece della parola «setta»: lo stesso scellerato metodo di stigma (come abbiamo descritto in post precedenti) che viene adoperato ai tempi nostri dalle associazioni come FAVIS, CeSAP e AIVS e dai rispettivi esponenti.
Non bastarono la fine della guerra, l’insediamento della Repubblica e l’adozione della Costituzione: l’influenza della «Buffarini Guidi» permaneva infatti ancora nel 1951, come mostra una comunicazione ufficiale del Ministero dell’Interno, nella quale si leggeva (sempre con riferimento a Evangelici e Pentecostali): «Questa setta, importata dagli Stati Uniti d’America da emigrati rimpatriati, generalmente di modeste condizioni sociali e intellettuali, pretende di metterete i propri adepti in comunicazione con lo Spirito Santo (…). In attesa che si determini questa comunicazione i fedeli (…) si abbandonano a prolungate invocazioni, lamenti, grida d’invocazione, movimenti ritmici (…) suggestionandosi a vicenda gradualmente fino ad arrivare, in molti casi, ad uno stato morboso di esaltazione psichica allucinatoria».
Ecco nuovamente l’ingerenza dello stato (tanto indebita quanto oltraggiosa) nelle faccende spirituali e segnatamente nella professione di fede e nelle credenze religiose peculiari di un movimento più giovane e meno radicato nel territorio. Ed ecco anche l’uso del vocabolo «setta» per ghettizzare intere comunità minoritarie ed esporle all’odio della maggioranza.
Inoltre, come oggidì, al fine di denigrare la religione si infamavano anche i suoi appartenenti, definiti come «umili lavoratori di scarsa levatura intellettuale e mancanti di quel senso critico che potrebbe limitare il pericolo».
Il punto di arrivo di quella linea ideologica era decretare che «manifestazioni di culto che costituiscano un concreto pregiudizio per la salute pubblica (…) escludono che il culto possa essere compreso nel novero dei culti ammessi nello Stato». In altri termini, si proibiva una religione sulla base di accuse false e infamanti, servilmente fabbricate per ammantare di scientificità un provvedimento atto ad eliminare una minoranza scomoda non solo perché in continua e rapida crescita, ma anche e soprattutto per i suoi «legami spirituali e finanziari con le chiese sorelle anglo-americane» (Gagliano, op. cit.).
Ci si dovrebbe interrogare profondamente quando si sentono certi esponenti «anti-sette» suonare la sirena per il pericolo dei «culti distruttivi» o dei «gruppi abusanti»: non si tratta solo di un fatuo allarmismo deliberato che ha già creato «mostri» inesistenti e sconvolto irrimediabilmente la vita di molte persone; si tratta senza mezzi termini di una preoccupante propaganda ideologica il cui esito ultimo è la messa al bando di comunità pacifiche e spesso impegnate in attività caritatevoli e di utilità sociale.
Conseguenze dettate dall’estremismo antireligioso che lo Stato dovrebbe prevenire prima che sia troppo tardi, come indicano esponenti Pentecostali di spicco in questo video che in chiusura riportiamo.
Nessun commento:
Posta un commento