venerdì 19 ottobre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: falliscono i tentativi di insabbiamento

Che il nostro blog sia qualcosa con cui gli «anti-sette» oramai non possono più evitare di fare i conti, è un fatto conclamato. Che gli articoli da noi prodotti e il materiale da noi diffuso non sia mai stato concretamente smentito ma solo puerilmente sbeffeggiato o (peggio) fatto oggetto di minacce e intimidazioni, è solo una naturale conseguenza. Se abbiamo capito per bene quest’antifona e proseguiamo imperterriti a esercitare (noi, rispettosamente) il sacrosanto diritto alla libertà di parola, non ce ne vogliano gli astiosi propagandisti delle associazioni AIVS, FAVIS e CeSAP (corrispondenti della europea FECRIS) né gli ufficiali loro alleati in forza alla «polizia religiosa» SAS, la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno.

Tant’è che – nel solco di tale triste ma disincantata osservazione – abbiamo richiesto al nostro esperto di questioni americane, Epaminonda, un parere sui recenti tentativi da parte del fronte dei militanti «anti-sette» di accampare delle «testimonianze» e delle storie che, secondo costoro, smentirebbero o sminuirebbero la potenza del nostro materiale.

Piuttosto che fornirci una sua opinione in merito, Epaminonda ha fatto ciò che evidentemente gli riesce meglio, ossia analizzare i fatti e reperire documentazione (non chiacchiere più o meno credibili): da tali elementi, non possiamo che desumere piene conferme della bontà del nostro lavoro e dell’accuratezza di quanto qui si è pubblicato in tempi recenti.

Ecco dunque la nostra replica ai goffi tentativi «anti-sette» di rimescolare le carte e di insabbiare la verità.

Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)

Ed ora: i fatti.


di Epaminonda


GLI ULTIMI DISPERATI TENTATIVI DI SOSTENERE 
UNA VISIONE DISTORTA DI JONESTOWN


Abbiamo approfondito nei minimi dettagli la vicenda dei Peoples Temple e l’evoluzione dei fatti che portarono alla morte di oltre 900 persone il 18 novembre 1978. Abbiamo tracciato il profilo del capo di questa comunità, Jim Jones, e abbiamo descritto i suoi legami accertati con FBI e CIA.

Abbiamo constatato, grazie al contributo di fonti imparziali (molte delle quali ufficiali), che non esiste alcuna prova del fatto che si sia trattato di un suicidio collettivo, ma che bensì la gran parte delle vittime è stata uccisa con colpi di arma da fuoco oppure con iniezioni letali.

Sappiamo con certezza che non furono trovate tracce di cianuro e tanto meno di Kool Aid (una bevanda commerciale), ma scopriamo che alcuni media ancora insistono nel portare avanti posizioni ormai indifendibili ed abbandonate dalla maggior parte dei giornalisti nel mondo.

Ci vengono propinate le “testimonianze” di ex-membri del Tempio del Popolo che ci dovrebbero illuminare sulla “verità”: intorno a queste “testimonianze” vengono poi imbastite lunghe “ricostruzioni” di fantasia che ripropongono le stesse sciocchezze fatte circolare in passato, mai concretamente documentate.

Ma chi sono questi “testimoni” che improvvisamente sbucano fuori dall’oscurità per "illuminarci" sugli eventi?

Abbiamo Vernon Gosney, un ex spacciatore di droga che era stato accolto nella comunità e che al momento dell’eccidio si trovava in un altro posto. Per la precisione, era steso con tre ferite nell’addome al campo di aviazione di Port Kaituma dove si era recato insieme al parlamentare Leo Ryan, ucciso nello stesso luogo. Una posizione e una condizione oggettivamente difficili per testimoniare sugli eventi accaduti nella comunità ubicata a chilometri di distanza.


Troviamo poi Jackie Speier, assistente dello stesso Ryan e sopravvissuta alla sparatoria di Port Kaituna, e quindi ugualmente assente dal campo di Jonestown.


Deborah Layton, altra “testimone” aveva invece lasciato la Guyana molto prima dei fatti e quindi non ci può dire nulla di quel che accadde quel fatidico giorno. E lo stesso si può dire della ex-moglie di Jim Jones.

Ma il “pezzo forte” delle “testimonianze” strombazzate ultimamente è Tim Carter (a destra nella foto qui sotto) il quale dichiara di non essere stato presente all’eccidio perché era stato inviato all’ambasciata russa locale per chiedere asilo, ma (sorprendentemente) tornò giusto in tempo per vedere la moglie e il figlio morenti e per sentire le grida delle altre vittime.


Su quest’ultima testimonianza si regge l’intera storia propinata in questi mesi da alcuni media (fortunatamente pochi e male informati). Del resto, il racconto di Tim Carter solleva una serie di domande anche nel lettore più distratto.

Innanzi tutto: perché mandare Carter all’ambasciata russa per chiedere asilo se Jim Jones progettava un suicidio di massa? Inoltre: per quale motivo la testimonianza di Carter riportata in questi articoli è tanto diversa da quella rilasciata da Leslie Mootoo, medico legale della Guyana a quel tempo, che fu tra i primi ad arrivare sul luogo del massacro? È possibile che siano state messe in bocca a Carter delle parole che non ha mai detto, oppure si tratta affermazioni fatte sotto pressioni esterne?

Non dobbiamo andare lontano per trovare risposte autorevoli a tali quesiti.

Tanto per cominciare un articolo del Washington Post pubblicato dieci giorni dopo la strage, ci dipinge un’immagine decisamente meno “eroica” del nostro “super-testimone”:


Tim Carter, che all’epoca aveva 30 anni, viene elencato insieme a Mike Carter e Mike Prokes tra i fedelissimi di Jim Jones. A loro il “reverendo” affidava alcuni tra i compiti più delicati: Mike Carter gestiva la radio del campo e quindi era l’unico che potesse comunicare con l’esterno. Mike Prokes era il portavoce ufficiale della comunità. Tim Carter era invece un agente “operativo” a cui affidare operazioni segrete. Ad esempio, un po’ di tempo prima della strage, lo stesso Jones aveva inviato Carter negli Stati Uniti per infiltrarsi in un gruppo di genitori che erano allarmati dai rapporti che sentivano riguardo a Jonestown.

Il giorno della strage, tutti e tre erano stati inviati segretamente all’ambasciata russa con una pistola e una valigia piena di soldi e di oggetti preziosi. Chi ha letto i nostri resoconti su Jonestown ricorda che nessuno poteva tenere armi nel campo a parte un gruppo molto ristretto di fedelissimi di Jim Jones: Tim Carter era uno di questi.

Stando all’articolo del Washington Post, scopriamo che Tim Carter non si fermò molto a lungo a piangere la morte della moglie e del figlio nel campo di Jonestown, tant’è che fu arrestato dalla polizia mentre scappava con gli altri due dopo avere tolto dalla valigia il denaro che vi era contenuto. Anzi, a ben vedere l’articolo non menziona proprio il fatto che Tim Carter fosse tornato al campo!

Una figura quindi come minimo “controversa”, che avrebbe potuto mentire sugli eventi semplicemente per evitare conseguenze personali più gravi. Proprio dal Washington Post scopriamo oltretutto che, dopo l’arresto, la polizia aveva dovuto confinare Tim Carter e gli altri due in un luogo isolato perché gli altri sopravvissuti di Jonestown non ne tolleravano la presenza.

Del resto non dobbiamo andare lontano per accertare la verità. In un articolo scritto da lui stesso per la San Diego State University, Tim Carter dichiara:


“I assert that the vast majority of those who died in Jonestown that day were murdered.”

“Dichiaro che la vasta maggioranza delle persone morte a Jonestown sono state assassinate”

E poi continua fornendo maggiori dettagli:

“On November 20th, I, and two others, were asked (i.e. told) to return to Jonestown to help identify bodies, a task and experience nearly as traumatizing and painful as the final day itself. While attempting to identify bodies, I viewed many (at least two dozen) that had huge protruding abscesses. I stayed in a very self-proscribed area within the pavilion itself, as I refused to identify bodies in any other location. Too, while doing my best to make identifications, I did not physically move or rearrange any of the deceased to see if the individuals underneath met a similar demise”.

“Il 20 novembre mi è stato chiesto insieme ad altri di tornare a Jonestown per aiutare nell’identificazione dei corpi, un compito e un’esperienza che sono stati traumatizzanti quanto il giorno finale. Mentre cercavo di identificare i corpi, ne ho visti molti (almeno due dozzine) che avevano degli ascessi enormi e sporgenti. Sono rimasto in una zona molto limitata del padiglione e mi sono rifiutato di identificare cadaveri in qualsiasi altra posizione. Inoltre non ho mosso nessuno dei cadaveri per vedere se anche quelli sottostanti avevano subito la stessa morte.”

Prosegue Tim Carter nel suo racconto:

“The location of these injections was haphazard and varied, despite the testimony of Guyana’s chief pathologist Dr. Leslie Mootoo at the inquest in Matthews Ridge that all injections were found located between the shoulder blades. I personally saw abscesses on a left temple, neck, back of hand, upper arm, lower leg, cheek, and back of shoulder. I believe Dr. Mootoo was describing the bodies found in the “dorm” where Hyacinth Thrash and other older seniors lived.”

“La posizione di queste iniezioni era casuale e variata, nonostante la testimonianza del capo-patologo della Guyana, il Dr. Leslie Mootoo, durante l’inchiesta condotta a Mattews Ridge il quale dichiarò che tutte le iniezioni erano state praticate tra le scapole. Personalmente ho visto ascessi sulla tempia sinistra, sul collo, sulla parte inferiore delle gambe, sulle guance e sulla parte posteriore della spalla. Credo che il Dr. Mootoo stesse descrivendo i corpi trovati nel dormitorio dove viveva Hyacinth Thrash e gli altri anziani.”

Non contento di aver confermato e addirittura ampliato la testimonianza del Dr. Mootoo, Tim Carter continua:

“The numbers of people forcibly injected with poison will never be fully known. During the first days following November 18, Dr. Mootoo gave a range in his count, from 70-80 to over 180,[1] and this was on the limited number of bodies – perhaps no more than 200 – that he says he was able to inspect before the U.S. State Department took over the “recovery” operation on November 22. What is most disturbing is that when Dr. Mootoo testified at the inquest, he said the number was fewer than 20. Why? What would account for such a drastic reduction to a number below what I personally saw in a very small area inside the pavilion.”

“Il numero di persone a cui fu iniettato veleno a forza non sarà mai completamente noto. Durante i primi giorni seguenti il 18 novembre, il Dr. Mootoo dichiarò un valore approssimativo che andava da 70-80 a oltre 180 e questo era limitato unicamente ai corpi (forse non più di 200) che egli fu in grado di esaminare prima che il Dipartimento di Stato statunitense assumesse il controllo dell’operazione di ‘recupero’ il 22 novembre. Ciò che mi disturba maggiormente è che il Dr. Mootoo, quando testimoniò all’inchiesta, dichiarò che il numero era inferiore a 20. Perché? Qual è il motivo di una riduzione tanto drastica che è addirittura inferiore a quello che io stesso ho constatato di persona in un’area molto ristretta all’interno del padiglione?”

Quindi non solo Carter conferma e amplifica la testimonianza dell’omicidio fornita dal Dr. Mootoo, ma ne censura la successiva “correzione” da lui attuata, chiaramente sotto la pressione di forze esterne.

Carter continua nella descrizione degli eventi, fornendoci un quadro ben diverso da quello prospettato dai media che hanno improvvisamente deciso di “riesumare” questo caso e proporci le stesse vecchie sciocchezze:

“There are some survivors who believe that some outside force came into Jonestown and injected the bodies post-mortem in an attempt to make it look like murder. To those people I say. listen to the words of another eye-witness, who in a television interview done shortly after the tragedy described what he saw: people who did not cooperate were injected with poison where they sat, or were held down and injected with poison.”

“Ci sono sopravvissuti che credono che qualche forza esterna sia intervenuta a Jonestown e abbia praticato quelle iniezioni alle persone già morte, nel tentativo di farlo apparire come un omicidio. A queste persone io dico di ascoltare le parole di altri testimoni oculari che durante un’intervista televisiva condotta subito dopo la tragedia hanno descritto quel che hanno visto: chi non cooperava riceveva un’iniezione praticata a forza, oppure veniva tenuto fermo e riceveva l’iniezione.”

In sostanza un quadro molto diverso dal suicidio di massa e dall’immagine di centinaia di persone che bevono Kool Aid aromatizzata al cianuro.

L’immagine fasulla che ancora oggi viene presentata al pubblico da alcuni media e da certi “esperti” (tanto falsamente esperti che non si curano di condurre nemmeno la più semplice delle ricerche), non sono nient’altro che propaganda inventata appositamente per insabbiare la verità dei fatti.

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