domenica 24 giugno 2018

Contributo esterno: la vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)

Ecco la quarta puntata della serie di Epaminonda sulla strage del «Tempio del Popolo».

A coloro che hanno seguito i contributi precedenti è ormai evidente che la versione ufficiale del «suicidio di massa» è una bufala colossale, per essere eufemistici; volendo essere più incisivi dovremmo definirlo un clamoroso, inquietante, colpevole e delinquenziale «falso storico» che nessuno più dovrebbe permettersi di reiterare.

Tanto meno dovrebbero avere la tracotanza di perpetrare un tale insabbiamento della realtà gli esponenti «anti-sette» italiani, sedicenti esperti di religiosità alternativa che spesso citano a proprio uso e consumo l’eccidio del «Peoples Temple», in quanto i media (di regime) di tutto il mondo lo hanno inculcato nell’immaginario collettivo come una «strage compiuta da una setta». Quanto lontana dalla verità è tale reboante versione!

«Cessate di uccidere i morti», implorava Giuseppe Ungaretti riferendosi alle vittime del sanguinoso conflitto mondiale, la cui memoria poteva tristemente venire ancor più funestata dall’odio politico e dagli scontri di ideologie da parte di persone non paghe, forse, di tutto il sangue che già era stato versato.

Similmente, gli «anti-sette» sfruttano quel tragico evento, di cui fra pochi mesi ricorrerà il quarantesimo, per veicolare la loro campagna di odio contro i gruppi religiosi e spirituali di minoranza.

Che non avvenga più! Che non si deturpi nuovamente la memoria di quelle vittime, immolate sull’altare non già di un presunto «culto», ma di un reale, sadico opportunismo politico portato alle sue estreme, efferate conseguenze.

Eccoci, dunque, a presentare un altro piccolo passo verso la verità… e, in chiusura, a tentare di stemperare almeno un po’ l’orrore di una tale tragedia.






di Epaminonda


IL RUOLO DELL’FBI NELLA TRAGEDIA DI JONESTOWN


Abbiamo visto il coinvolgimento di diverse organizzazioni governative statunitensi nella tragica morte di oltre 900 americani nel novembre 1978 in Guyana. Presentata dai media come “suicidio di massa” ad opera di una presunta “setta religiosa”, la scomparsa di gran parte dei seguaci del movimento religioso Peoples Temple ha interessato direttamente la CIA, i Berretti Verdi, e le forze armate statunitensi attraverso il suo principale centro di comando, il Joint Chief of Staff.

Tuttavia la maggior parte dei documenti raccolti sul movimento e sulla vicenda ci vengono dall’FBI. Il Federal Bureau of Investigation ha raccolto quasi 39.000 documenti per un totale di oltre 48.700 pagine che sono state in seguito rilasciate per lo scrutinio pubblico.

Negli Stati Uniti esiste infatti una legge, denominata Freedom of Information Act, che consente di richiedere al governo la pubblicazione di documenti riservati una volta che sia trascorso un periodo di tempo sufficiente a considerarli non più “critici”.

La legge fu promulgata a tutela dei cittadini statunitensi che in tal modo possono essere informati anche sulle attività meno visibili del proprio governo, sebbene con un certo ritardo. La trasparenza degli avvenimenti e la possibilità di far emergere la verità sono di fatto la miglior garanzia di democrazia e di libertà.

23 Novembre 1978: militari intenti a raccogliere i cadaveri a Jonestown

Tornando alla vicenda di Jonestown, è noto che l’FBI aveva già contatti con Jim Jones, il leader religioso del movimento accusato a sua volta di essere un informatore del governo federale. Ma il colossale dossier è stato accumulato in seguito all’assassinio del deputato Leo J. Ryan, ammazzato da un “commando” sulla pista di decollo mentre stava per tornare negli USA dopo aver condotto di persona una missione conoscitiva a Jonestown.

Per inquadrare correttamente il periodo, dobbiamo ricordarci che in quegli anni la guerra fredda aveva raggiunto il suo apice e che negli Stati Uniti si era sviluppata una vera e propria “caccia al comunista”. Jim Jones sfoggiava idee di sinistra, simpatizzanti con il comunismo, con Cuba e con l’Unione Sovietica, tutti nemici giurati degli Stati Uniti. Era quindi normale che l’FBI lo tenesse sotto osservazione oppure, come sostengono altri, lo usasse per indagare tra i gruppi americani che avevano tendenze comuniste.

Era naturalmente un obiettivo di osservazione primario anche per la CIA che all’epoca guidava la Guerra Fredda e che aveva una postazione fissa in Guyana a pochi chilometri da Jonestown. Il fatto che l’FBI abbia raccolto 49.000 documenti sull’uccisione di Ryan ci fa capire che la vicenda è ben più complessa di quel che ci vorrebbero far credere alcune fonti italiane disinformate (leggi anti-sette) e che siamo ben lontani dalla caratterizzazione semplicistica del “suicidio di massa”, smentito nei fatti proprio dai documenti rivelati grazie al Freedom of Information Act.

Come si è più volte citato in precedenza su questo blog, l’Università Statale di San Diego ha creato un osservatorio permanente su questi fatti, tramite il coordinamento di Rebecca Moore, studiosa universitaria di temi religiosi. Ed è proprio Rebecca Moore che traccia una cronologia della ricerca dei documenti dell’FBI relativi a Peoples Temple:


Il resoconto di Rebecca Moore comprova fra l’altro la resistenza opposta da alcune autorità statunitensi al rilascio di tali documenti, nonostante la presenza della legge che abbiamo menzionato sopra. Dal 1992 in avanti ne sono stati rilasciati sempre di nuovi, grazie all’intervento di diverse organizzazioni, tra cui anche la stessa San Diego State University. Una porzione di quelli è stata rilasciata persino nel 2017, a quasi quarant’anni di distanza dall’incidente. E altri ancora ce ne sarebbero. Molti di questi documenti sono disponibili proprio sul sito gestito da Rebecca Moore e possono essere scaricati da questa pagina.

Chiunque può quindi informarsi di prima mano senza dover dipendere dalle dicerie di sedicenti “esperti” nostrani che non hanno probabilmente mai letto nessuno di questi documenti che richiedono, tra le altre cose, una buona conoscenza della lingua inglese. Sarebbe auspicabile una traduzione di questo materiale di modo che si possa informare adeguatamente chiunque voglia trattare con competenza e obiettività il soggetto.

Sono tuttavia pochi gli autori che si sono spinti fino al punto di esaminarli tutti e di cercare di classificarli in una raccolta organica. Gli autori che l’hanno fatto sono elencati sul sito dell’Università di San Diego e nessuno di questi è italiano.


Perciò i sedicenti “esperti” nazionali non solo parlano a sproposito, riportando dicerie pubblicate su qualche media propagandistico, ma non si prendono neanche la briga di approfondire leggendo i documenti originali.

Se lo facessero si renderebbero conto che la strage di Jonestown ha numerose valenze politiche.

A parte il conclamato assassinio del parlamentare Ryan, abbiamo anche un'itensa attività da parte del governo statunitense per impedire che la Guyana seguisse le orme di Cuba e diventasse un altro avamposto sovietico nei Caraibi. Il fatto che Jim Jones avesse sviluppato rapporti particolarmente stretti con l’ambasciata sovietica e cubana in Guyana ce lo presenta chiaramente come agitatore politico e probabilmente anche doppio agente dedicato alla ricerca di informazioni. Abbiamo anche già parlato dei legami di alcuni collaboratori di Jones con la CIA.

Fu la CIA a finanziare l’ascesa al potere in Guyana nel 1964 del presidente Forbes Burnham e del suo partito, che si opponeva alla forza crescente del movimento comunista locale. Ne favorì anche la rielezione nel 1968, riconoscendo infine nel 1973 la maggioranza ottenuta illegalmente dal partito di Burnham.

Forbes Burnham con il presidente Lyndon Johnson alla Casa Bianca (1965)

E proprio nel 1978, l’anno del massacro di Jonestown, il parlamento della Guyana aveva da poco approvato una legge che di fatto rendeva Burnham presidente a vita. Si dovette aspettare fino al 1992 perché il partito di Burnham cadesse sostituito dal People Progressive Party, di tendenze comuniste, ma ormai l’Unione Sovietica era crollata e la Guerra Fredda era terminata, con un conseguente ridimensionamento anche del ruolo della stessa CIA.

Comprendiamo molto bene quindi che Jim Jones e il suo movimento “religioso” aveva valenze politiche molto precise e che la sua presenza in Guyana non era affatto occasionale. Ricordiamo infatti che la sede del movimento a Jonestown fu scelta proprio da un suo collaboratore, Philip Blakey, che era un operativo della CIA.

Questi sono fatti suggellati da documenti governativi. Chi ha davvero voglia di conoscerli può esplorare la sconfinata raccolta resa disponibile negli anni dall’FBI.

Ora quando leggiamo alcuni anti-sette nostrani “ruspanti” che sarcasticamente ci sfidano a dimostrare che lavorano anche loro per la CIA, ci viene da ridere. La situazione del 1978 e di Jim Jones era molto diversa da quella descritta dai gruppuscoli anti-sette periferici che oggi vivacchiano sul territorio italiano.

La Guyana era un obiettivo primario per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, d’importanza paragonabile a Cuba. Era evidente e anche giustificato un cospicuo coinvolgimento della CIA.

L’uccisione di un parlamentare americano e la produzione di 39.000 documenti da parte dell’FBI dimostrano infine una portata d’indagine che va ben al di là della confusione mentale degli “esperti” anti-sette autodidatti italiani. Questi ultimi ci dicono che non lavorano per la CIA? Ne siamo certi! La CIA non saprebbe che farsene.

Ma ormai vediamo che gli anti-sette da baraccone stanno abbandonando il tema Peoples Temple, semplicemente schiacciati dalle prove a loro sfavore che stiamo pubblicando in questi articoli (e non abbiamo ancora finito).

Ora si stanno orientando verso la strage di Waco, ma Rebecca Moore nel suo articolo dedicato all’FBI e a Jonestown, parla anche di Waco e chiarisce che in questo caso l’agenzia governativa coinvolta non è l’FBI e nemmeno la CIA, bensì il BATF, Bureau of Alchool, Tobacco and Firearms, l’ente governativo statunitense che, alla pari dell’FBI, dipende dal Ministero della Giustizia.


Perciò i nostri anti-sette non conoscono nemmeno la fonte delle proprie “dicerie”.

Stando a Wikipedia, la BATF “è preposta a indagare sui reati federali relativi all'uso, alla fabbricazione e al possesso di armi da fuoco ed esplosivi, nonché su incendi dolosi, attentati dinamitardi, e sul traffico illegale di alcolici e tabacchi. Essa regola attraverso la concessione di licenze la vendita, il possesso e il trasporto di armi da fuoco, munizioni ed esplosivi nel commercio interstatale (cioè tra stati membri degli U.S.A.)”.

Vediamo quindi che gli anti-sette delle fake-news si stanno spostando verso i monopoli di stato: magari un domani li troveremo a vendere stecche di sigarette.

Ma questo sarà il tema di altri articoli dedicati a Waco e a vicende simili.

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