martedì 26 giugno 2018

Aggiornamento breve - gli «anti-sette» di AIVS istigano a violare la privacy?

Tempo addietro abbiamo denunciato il fatto che, secondo i responsabili di AIVS, il diritto alla privacy e alla riservatezza dei dati personali è del tutto secondario rispetto alla finalità della loro associazione, ossia (espressamente) ostacolare, attaccare e, se possibile, eliminare fisicamente interi gruppi spirituali di minoranza fra cui delle confessioni religiose i cui rapporti con lo stato sono stati regolati per mezzo di un’intesa.

Ben lungi dall’essersi moderati in questo ambito, i tre «numerosi personaggi» (come amano definirsi loro stessi) gestori dell’associazione AIVS nonché amministratori dei relativi gruppi Facebook e pagina Internet, , quasi fossero assurti a giudici inquisitori, continuano a identificare con nomi e cognomi persone che essi si arrogano il diritto di additare come «colpevoli» di praticare il proprio credo.

Riportiamo qui un paio di esempi a questo proposito, così che rimangano anch’essi documentati, mentre continuiamo a sottoporre ad adeguato monitoraggio le loro attività, riferendone di volta in volta a chi di competenza quando ci è possibile. Chissà che un giorno o l’altro non si verifichi un intervento da parte delle figure deputate a tutelare i diritti dei cittadini.

In questo post del 5 giugno scorso, l’associazione AIVS (per bocca – riteniamo – del suo presidente Toni Occhiello) fa accenno ad un proprio «archivio» nel quale sarebbe contenuto il documento citato nella parte iniziale; si tenga sempre conto che l’associazione religiosa di cui parlano costoro (peraltro con frasi di tenore evidentemente calunnioso) è niente meno che l’Istituto Buddista Soka Gakkai, è una confessione religiosa confessione religiosa che gode (se mai fosse necessario) di un pieno riconoscimento dalla Repubblica italiana.


Si tenga conto, fra l’altro, che tale indizio di «dossieraggio» era già emerso in precedenza e non è mai stato oggetto né di delucidazioni né tanto meno di smentite da parte di nessuno dei tre «numerosi personaggi».

Ma se nel post riportato qui sopra sembra si parli, tutto sommato, di informazioni reperibili in Internet, in quello che segue (datato 13 giugno 2018) si assiste a una vera e propria, inequivocabile, istigazione a violare la privacy altrui.

Per comprendere il discorso, si tenga presente che l’utente intervenuto nel gruppo Facebook gestito da AIVS sta raccontando da qualche giorno dei fatti relativi a dei suoi vicini di casa che, a suo dire, praticano la religione buddista Soka Gakkai (che egli ha invece abbandonato).


Facciamo notare (e mettiamo l’accento) sul commento – ancora – di Toni Occhiello: «registra e pubblica»! Con tanto di emoticon, il «personaggio» di AIVS strizza l’occhio all’utente da poco arrivato nel suo gruppo e lo incita (di fatto) ad effettuare una sorta di rudimentale intercettazione ambientale (di nascosto e senza alcuna notifica o autorizzazione) nei confronti di un proprio dirimpettaio.

La risposta dell’utente esprime timore; la replica di Occhiello cerca ulteriormente di incoraggiarlo a compiere quell’atto, al quale poi per fortuna non viene dato seguito per ragioni (però) di carattere «tecnico».


Ad ogni buon conto, fatto concreto è che il presidente di AIVS ha incitato un utente a registrare e pubblicare l’audio di un suo vicino di casa che recita mantra buddisti e canta dal balcone di casa propria. La ragione? Forse perché è molesto o esagera con il volume? Tutt’altro (lo dimostrano anche altri punti della discussione): l’unico motivo è che quel ragazzo è «colpevole» di essere un fedele della Soka Gakkai.

Si noti inoltre che la risposta «se mi beccano, temo la reazione», equivale in modo palese ad una confessione, da parte dell’utente incitato a registrare, di essere pienamente consapevole che quanto richiestogli dal Sig. Occhiello è illecito.

Lasciamo anche riflettere su un’ulteriore fattispecie di reato descritta dal codice penale, la «interferenza illecita nella vita privata» (art. 615 bis), che così recita: «chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni (…) Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo».

Quanto, dunque, è giusta e lecita la condotta dei gruppi «anti-sette» italiani?

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