Quindi rettifichiamo un poco quanto ci eravamo ripromessi nell’introduzione del precedente post (il quinto della serie), e aggiungiamo ancora questo articolo che riteniamo possa dare un ulteriore sguardo d’insieme e suggellare definitivamente le argomentazioni esposte negli antecedenti.
Riproponiamo anche il riepilogo di tutti gli articoli di questa serie così da fornirne un indice completo per rapido riferimento:
- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)
- [11 Luglio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (torazina letale)
Lo stesso facciamo per il post di background:
- [6 Marzo 2018] Gli «anti-sette» e il «condizionamento mentale»
Lasciamo quindi ai lettori il giudizio su un argomento tanto doloroso, e ci apprestiamo a trattarne altri dello stesso genere, per proseguire nella nostra opera di ristrutturazione della verità storica costantemente adombrata dalle campagne allarmistiche degli «anti-sette».
di Epaminonda
LA STORIA MAI RACCONTATA DEL MASSACRO DEI PEOPLES TEMPLE
Attingiamo dal lavoro di un ricercatore indipendente (già citato in un nostro precedente contributo), lo scomparso John Judge, che lavorò per anni alla ricostruzione del puzzle di una delle stragi più controverse del mondo moderno. Un massacro che coinvolse nel novembre del 1978 oltre 900 civili abitanti nella comunità di Jonestown, in Guyana.
Il nome di Jones e del Tempio del Popolo è comparso sui giornali di tutto il mondo che hanno propinato ai lettori di quell’epoca la loro versione dei fatti: un “suicidio di massa” a base di cianuro determinato dal “lavaggio mentale” o “lavaggio del cervello” attuato da Jim Jones sui propri discepoli.
In realtà, negli articoli precedenti, abbiamo visto che non è affatto andata così.
Le uniche vere vittime del “lavaggio mentale” sono stati proprio i lettori di quei giornali e di quelle riviste. Ignari di una propaganda che li ha spaventati e soverchiati, rimestando nel liquame mediatico per anni fino a zittirsi con il graduale emergere della verità.
In realtà, la strage dei Peoples Temple, oltre a essere un vero e proprio massacro e non un suicidio collettivo, è il primo importante attentato alla democrazia dei Paesi occidentali.
Solo tramite un’informazione neutra e veritiera è possibile esercitare il proprio potere di scelta e partecipare alle scelte di un governo: con Jonestown la totalità dei media coinvolti nell’operazione propagandistica hanno dimostrato di essere in realtà nemici giurati della verità e quindi delle istituzioni democratiche.
Ma procediamo con ordine e lasciamoci guidare dal racconto minuzioso di John Judge, dal titolo “Il buco nero della Guyana”, pubblicato originariamente sul sito ratical.org:
Questo rapporto venne in seguito ripreso integralmente, riveduto e corretto, dalla San Diego State University.
Si tratta di un resoconto ampiamente criticato dai propagandisti, ma mai smentito realmente e concretamente. È quanto di più completo io sia riuscito a trovare sulla materia. Considerando che John Judge dovette operare con informazioni frammentarie e a dispetto di vari tentativi di depistaggio, possiamo affermare che si tratta di un’opera notevole. Quasi cinquanta pagine di una prosa tersa, con numerosi riferimenti specifici ad altre fonti e con un approccio del tutto asettico ed imparziale.
Non saremo naturalmente in grado di riprodurre l’interezza dei contenuti che v’invitiamo a leggere, se conoscete l’inglese, ma cercheremo quanto meno di estrapolarne i punti salienti che possano aiutarci a ricostruire gli eventi.
Cominciamo dal momento in cui Jim Jones, leader carismatico di un gruppo di tipo cristiano e collaboratore sotto copertura dell’FBI e (secondo i suoi stessi vanti) anche della CIA, convince un gruppo selezionato del propri “fedeli” a seguirlo in Guyana per fondare una comunità agricola a sfondo religioso. Prima della partenza per l’America Latina, i Peoples Temple erano già stati al centro di diversi scandali di natura sia politica sia sociale.
Jones, che si atteggiava a profeta dell’armonia razziale e della giustizia, classificava tali attacchi come una critica alla sua “religione”. Parliamo di un’epoca di rivolgimenti sociali, dove molte figure carismatiche erano semplicemente morte oppure erano state screditate. C’era lo spazio per creare nuovi “predicatori”, come Jim Jones, che portassero avanti progetti ben più sinistri di natura squisitamente politica.
Già dopo il trasferimento in Guyana cominciarono a emergere dalla comunità storie inquietanti di pestaggi, abusi sessuali, morti sospette e rapimenti. Al punto che il deputato statunitense Leo Ryan (nella foto) decise di andare sul posto di persona per capire che cosa stesse succedendo.
Come si è già visto in precedenza, Ryan non era il classico politico in pantofole: si considerava un attivista sociale e lo fu realmente nell’indagare e denunciare abusi governativi, in particolare collegati alle attività clandestine condotte dalla CIA sugli stessi cittadini americani.
Ryan era una vera e propria spina nel fianco della CIA e Jonestown era chiaramente un “laboratorio” sperimentale all’aperto con cui l’Agenzia conduceva esperimenti di controllo mentale che proseguivano il filone MK-Ultra.
L’ecatombe si scatena quindi proprio con l’arrivo di Ryan a Jonestown e con il suo assassinio a sangue freddo sulla pista del piccolo aeroporto di Port Kaituma, prima del suo ritorno negli USA. Fu proprio Ryan il primo membro del Congresso americano a morire in servizio e in seguito gli fu riconosciuta la Medaglia d’Onore.
Nella notte seguente l’uccisione di Ryan, si sviluppò il “suicidio” dove “quasi mille persone”, per la maggior parte donne oppure uomini di colore e bambini, “morirono bevendo una bibita aromatizzata al cianuro” (di cui non si trovò mai traccia). Il risultato dell’evento strombazzato dai media fu di far sprofondare nella depressione le forze di trasformazione sociale che volevano qualcosa di diverso. Il messaggio era: “Allineatevi allo status quo, altrimenti vi aspetta una morte orribile come la loro”.
Le vittime furono tutte cremate oppure seppellite in fosse comuni. Non venne fatta nessuna autopsia degna di tale nome e la questione venne finalmente messa a tacere.
COME SI SVOLSERO VERAMENTE I FATTI
Innanzi tutto i conti non tornano. Stando agli articoli pubblicati sui media il primo giorno dopo l’eccidio e stando alle dichiarazioni degli stessi membri del Peoples Temple, a Jonestown vivevano 1.100 persone. Furono trovati 809 passaporti di adulti e rapporti sulla presenza di 300 bambini (276 trovati tra i cadaveri, e 210 di questi mai identificati).
Il conto originale condotto dalle autorità della Guyana che arrivarono per prime sul posto fu di 408 cadaveri, una cifra inizialmente concordata dalle autorità dell’esercito statunitense presenti sul luogo. Nel corso dei giorni seguenti il totale dei morti cominciò a crescere rapidamente. L’esercito azzardò una serie di dichiarazioni chiaramente false e fuorvianti sulla discrepanza. Il nuovo totale, fornito dalle autorità americane quasi una settimana dopo la strage, fu di 912 persone. In aggiunta a questi si aggiunsero 16 sopravvissuti che erano riusciti a tornare negli USA. Dov’erano finiti tutti gli altri (circa 180)?
Da principio gli americani sostennero che le autorità della Guyana non sapevano contare. Questi poveracci avevano avuto l’ingrato compito di esaminare i cadaveri già in via di decomposizione sotto il caldo tropicale e perforarli affinché non esplodessero per effetto dei gas prodotti all’interno. Non potevano aver commesso un errore aritmetico tanto grossolano. In seguito l’esercito americano sostenne che non avevano notato una pila di cadaveri che si trovava dietro a una piccola struttura (sostanzialmente una capanna) nonostante i soldati americani fossero stati sul posto per giorni interi.
Caduta nel ridicolo anche quest’ultima panzana, gli americani infine avanzarono l’ultima giustificazione secondo la quale i cadaveri erano caduti gli uni sugli altri, nascondendosi. Come se fosse tanto difficile notare di primo acchito se sotto un corpo ce ne fosse un altro.
In pratica la spiegazione finale e ufficiale fu che i 408 trovati in origine avevano avuto, ciascuno, un altro cadavere sotto di sé, alcuni casi più d’uno trattandosi di bambini. Una situazione davvero bizzarra e semplicemente incredibile. Tra l’altro 82 dei primi corpi trovati erano di bambini che di certo non avrebbero mai potuto coprire e nascondere alla vista il corpo di un adulto.
Un esame delle quasi 150 fotografie scattate sulla scena del massacro, alcune a terra ed altre aree, non mostra nessun accumulo di corpi e quindi arriviamo alla conclusione che i primi rapporti erano corretti: i morti dopo la prima notte (quella del presunto “suicidio di massa”) erano solo 408, gli altri 700 erano fuggiti nella giungla. Le autorità americane avevano dichiarato sin da principio di aver setacciato la zona senza trovarne alcuna traccia e i cento soldati guyaniani arrivati sul posto avevano rastrellato la giungla circostante con il medesimo esito.
In quei giorni si trovavano nell’area, ufficialmente per un’esercitazione, 600 truppe speciali britanniche del commando Black Watch e poco dopo arrivò anche un contingente dei Berretti Verdi americani. Truppe speciali addestrate ad uccidere in operazioni segrete e questo spiega il crescente numero dei cadaveri “trovati” dopo il primo giorno.
La maggior parte delle foto raffigurano cadaveri ben allineati, in righe, con la faccia a terra. Le foto ravvicinate mostrano segni di trascinamento dei corpi come se fossero stati messi in quella posizione dopo che erano già morti.
Il Dr. Mootoo, il più autorevole medico forense della Guyana a quel tempo, fu tra i primi ad esaminare i morti. Mentre la stampa di tutto il mondo strombazzava la storia del suicidio tramite cianuro, Mootoo giungeva a conclusioni ben diverse. La morte per cianuro è accompagnata da spasmi violenti. Braccia e gambe si contorcono nell’agonia. I muscoli facciali si ritirano mostrando un ghigno ferale. Nessuno di questi segni rivelatori era presente nei cadaveri di Jonestown. Gli arti erano flosci e rilassati, le facce non mostravano alcun segno di distorsione.
Il Dr. Mootoo trovò invece segni freschi dell’ago di una siringa nelle scapole dell’80-90% dei deceduti. Altri erano stati strangolati e altri ancora erano morti per un colpo di arma da fuoco. Uno dei sopravvissuti dichiarò che chi faceva resistenza era costretto alla sottomissione da parte di guardie armate. La pistola con cui “ufficialmente” Jim Jones si era ucciso, si trovava a 60 metri di distanza dal suo cadavere.
Durante la sua testimonianza rilasciata davanti al Gran Jury guyanese, che indagò sulla vicenda, il Dr. Mootoo dichiarò che solo due persone avevano in effetti commesso suicidio e che tutti gli altri, a parte tre casi, erano stati deliberatamente ammazzati da ignoti.
Il portavoce dell’esercito, il tenente colonnello Schuler, dichiarò che non sarebbe stato necessario eseguire nessuna autopsia e che non importava quale fosse la causa della morte.
Prima di essere imbarcati per il ritorno negli Stati Uniti, tutti i corpi furono privati di qualsiasi segno di identificazione, compresi i braccialetti medici che si vedono in alcune delle prime foto del massacro. Benché gli aeroplani inviati dall’esercito avrebbero potuto portare via tutti i cadaveri sostanzialmente in un colpo solo, ne portarono solo pochi per volta lasciandoli a marcire per una settimana sotto il sole tropicale. Le ultime 183 persone furono riunite in 82 bare perché ormai si erano disfatte.
I militari della Guyana erano riusciti a identificare 171 corpi sul posto, ma una volta arrivati negli USA il conto degli identificati scese in totale a 17 per poi risalire a 46. Isolati in camere mortuarie difficilmente raggiungibili dai familiari, alla fine gran parte dei corpi furono cremati. Nessuno dei medici legali statunitensi che si era offerto di condurre autopsie anche gratuitamente fu ammesso sul posto. Tanto che, nel dicembre di quell’anno, il presidente della National Association of Medical Examiners scrisse una lettera ai militari lamentandosi del fatto che erano state seguite procedure del tutto sballate che avevano compromesso qualsiasi risultato possibile. Nella lettera il presidente dichiara che una semplice analisi dei fluidi sul posto del massacro avrebbe potuto fornire risultati rivelatori, e invece non era stata svolta.
Persino il sistema di identificazione utilizzato sarebbe stato insostenibile in tribunale: avevano asportato la pelle dai polpastrelli dei morti, l’avevano quindi appiccicata su guanti tenuti da qualcun altro che aveva infine “preso” le impronte.
I sopravvissuti di Jonestown dichiararono di aver visto al campo un gruppo di bianchi, gli unici autorizzati a portare armi, che ricevevano cibo migliore e che lavoravano meno degli altri. Tra questi figuravano i “vice” di Jones tra cui George Philip Blackey che al momento del massacro si trovava casualmente su una barca nei paraggi. Tutti i componenti di questa squadra speciale sono sopravvissuti al massacro. Molti di loro erano “programmati” e addestrati per agire da assassini, come ad esempio la squadra che attaccò e uccise il deputato Ryan.
Quel che accadde più verosimilmente è che questo “commando” interno costrinse i primi 408 a morire per iniezione, e poi partecipò all’uccisione degli altri fuggitivi. Notizie seguenti parlano di 120 assassini programmati a Jonestown e rientrati negli USA pronti a colpire altri obiettivi politici scomodi. Di fatto ci sono poco meno di 200 persone che mancano all’appello rispetto ai 1.100 membri presenti prima della strage.
Molto altro si potrebbe scrivere su questo terribile massacro, i documenti di certo non mancano e gli innumerevoli punti oscuri di questa storia non finiscono mai di saziare coloro che vorrebbero che la verità su questa faccenda venisse detta una buona volta in modo ufficiale e che si smettesse di strumentalizzarla in maniera tanto cinica e irriguardosa per le moltissime vittime e per le loro famiglie.
Strumentalizzare tale tragedia per dimostrare la teoria sulle “sette distruttive” rappresenta uno sfregio alla verità dei fatti, come abbiamo dimostrato in questa serie di articoli in maniera inconfutabile (e, di fatto, mai confutata ma solo criticata con puerili e stucchevoli lamentele).
In effetti abbiamo di fronte uno scenario molto diverso dalla storia del “suicidio di massa” proposto dai media internazionali. Una versione che non sta in piedi e non è mai stata in piedi sin dall’indomani del massacro.
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