martedì 21 agosto 2018

Paradossi «anti-sette»: Carlo Climati e Bruno Zambon

Ai primordi del nostro blog abbiamo accennato al convegno che si tenne in dicembre 2007 presso l’ateneo vaticano Regina Apostolorum: un evento voluto dal GRIS con le luci della ribalta tutte puntate sul prete inquisitore don Aldo Buonaiuto e sulla «Squadra Anti-Sette» (SAS); in quell’occasione vennero presentate le assurde statistiche del suo numero verde «contro l’occulto» che ebbero il grottesco risultato di dimostrare l’inesistenza del presunto «allarme sette» e l’inconsistenza delle argomentazioni «anti-sette».

Già a quei tempi, l’addetto stampa del Regina Apostolorum era Carlo Climati, un giornalista e scrittore dell’ambiente «anti-sette», collaboratore del GRIS (nonché organizzatore di numerosi convegni del GRIS sin dai primi anni 2000), ben noto per i suoi anatemi contro la musica rock «heavy metal» e contro un certo stile di vita anticonformista.


In più occasioni Climati ha raccontato di aver fatto parte come bassista proprio di una band heavy metal, puntualizzando che quella musica e quella cultura l’avevano «traviato». Ci domandiamo se non si tratti di una sorta di «apostata» del satanismo: l’unica cosa certa è il suo passaggio da un estremo all’altro.

Sul Web si trova ancora qualche traccia di un passato che probabilmente per Climati risulta «scomodo»:


Non possiamo prendere per oro colato ciò che scrive questo utente, tuttavia possiamo notare che dopo quasi quattordici anni la sua affermazione non è mai stata in alcun modo smentita, e troviamo estremamente improbabile che Climati non ne sia mai venuto a conoscenza. D’altronde, a parte l’allusione a questioni sentimentali e al netto dei «ricami» un po’ coloriti, il fatto concreto è stato a più riprese confermato dallo stesso Carlo Climati ed è anche nero su bianco in uno dei suoi libri pubblicato nel 2002:


La memoria corre immediatamente al poliziotto Bruno Zambon, amico e collaboratore degli «anti-sette» di CeSAP e FAVIS, del quale abbiamo evidenziato tempo addietro alcuni aspetti discutibili. Zambon è proprio quell’agente della SAS che si vede chiaramente (malgrado l’irrisorio tentativo di occultarlo) intervistato nella trasmissione di RAI 3 «Presa Diretta» del 24 febbraio scorso, tanto mediocre quanto controversa e contestata. Ecco un breve estratto da quel triste, pessimo esempio di servizio pubblico erogato dalla TV statale:


Sorvoliamo sul vocabolo «magone» (qui il significato corretto), che c’entra nulla con il «mago».

Sorvoliamo anche su come il poliziotto Bruno Zambon possa arrogarsi il diritto di parlare pubblicamente di «problemi della psiche» in un contesto nel quale finisce per avvalorare una linea ideologica palesemente discriminatoria nei confronti di varie minoranze religiose, entrando a gamba tesa in un contesto in cui non ha né competenze né qualifiche.

Non si può invece sorvolare sul fatto che (per sua stessa affermazione!) un rappresentante della Repubblica, presentato come tale e nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, parli per «stereotipi» e si premuri addirittura di convalidarli, peraltro adoperando concetti banali e scontati, di una superficialità disarmante, che ricordano quella ridicola affermazione sulla «ipnosi che gestiscono gli zingari» fatta da Luciano Madon di AIVS.

Lascia forse ancora più sbalorditi l’uso della parola «nemico» da parte del poliziotto della «Squadra Anti-Sette» che, ad onta del nome, dovrebbe rappresentare uno Stato garante dei diritti dei cittadini: al contrario, a suo parere, i gruppi religiosi che secondo lui vanno classificati come «sette» rappresentano un bersaglio da colpire. Poco importa cosa dice il mondo accademico. Poco importa cosa dicono decine di migliaia di italiani entusiasti di farne parte. Poco importa cosa dicono la Costituzione della Repubblica e le convenzioni internazionali in tema di libertà di credo.

Ma torniamo all’intransigenza del GRIS e al tentativo di demolire tutto ciò che non è conforme a una certa forma mentis tradizionalista e moralizzatrice.

Come abbiamo già ricordato, il poliziotto Bruno Zambon è bassista in un piccolo gruppo rock locale di nome «Kimera», che si pubblicizza anche tramite Internet e che, come si legge sulla relativa pagina Facebook, suona un rock di tenore «decisamente gotico» e influenzato da gruppi come Iron Maiden (di cui sono una «cover band») e Evanescence.


A scanso di equivoci, vogliamo precisare che non abbiamo assolutamente nulla di male né nei confronti del rock, né nei confronti dei musicisti (bassisti inclusi), e nemmeno dell’hard rock. I gusti sono gusti, il rock potrebbe anche non piacere, ma è un fatto universalmente accettato che nella miriade di brani rappresentati da quel tipo di musica si trovano degli autentici capolavori. Per non parlare dei milioni e milioni di persone che apprezzano il genere: tutti «mentalmente manipolati» e indotti all’adorazione di Satana?

Pensiamo a gruppi rock che hanno fatto la storia come i Led Zeppelin, i Queen, gli Eagles per non parlare degli stessi, leggendari Beatles. Secondo Carlo Climati del GRIS, queste band sono responsabili della nascita di quello che egli descrive come «rock satanico». Anche gli Iron Maiden non sfuggono alle sue accuse di essere degli «untori» e di attentare alla moralità dei giovani.

Ci domandiamo quindi perché Carlo Climati non «insorge» contro il poliziotto Bruno Zambon, agente della «Squadra Anti-Sette», quando pubblica foto come questa (lui è il primo da destra, mentre il primo da sinistra è suo figlio):


In tutta franchezza - di nuovo - noi non troviamo nulla di male in questa simpatica foto di gruppo. Carlo Climati, invece, dovrebbe scandalizzarsi per il gesto delle mani, per le ricorrenti immagini della morte, per il teschio stile Iron Maiden alle loro spalle, e per qualche altro dettaglio che lui saprebbe certamente ricondurre al «satanismo».

Discorso simile per quest’altra foto, in cui lo si vede sulla destra intento a suonare:


Come commenterebbe Climati quegli enormi teschi sullo sfondo ed il tatuaggio sul braccio del chitarrista? Per non parlare della sua maglietta che inneggia proprio agli Iron Maiden, tanto «esecrandi» secondo il rappresentante del GRIS!

E chissà se Carlo Climati riterrebbe che il poliziotto Bruno Zambon abbia traviato il proprio stesso figlio inducendolo a truccarsi come si vede in questa foto di tre anni or sono:


E che dire dell’uso di uno scheletro come mascotte del gruppo dei Kimera?


Forse Climati obietterebbe che Zambon è girato dall’altra parte perché non sopporta la vista né dello scheletro né dei tatuaggi del suo chitarrista?

E che dire di questo trucco «conturbante» del poliziotto della SAS, ispirato a un suo idolo?


E i Kiss? Sì, proprio quelli della celeberrima «I was made for loving you»: anche loro da mettere all’indice secondo il GRIS? In tal caso, non lo si dica a Zambon che ha commentato questa foto con un «Tra rocker ci intendiamo!»:


In gennaio 2003, Carlo Climati dalle pagine del sito GRIS dichiarava con sbalorditivo cinismo che i Nirvana (storica band di inizio anni ’90) erano da ritenersi «discutibili» perché il loro frontman (Kurt Cobain) morì suicida:


Non risulta, però, che abbia detto qualcosa di simile un anno e mezzo più tardi quando Cecilia Gatto Trocchi, una esponente «anti-sette» del GRIS con cui Climati aveva collaborato in più occasioni, si tolse la vita lanciandosi nella tromba delle scale del palazzo in cui abitava.

Insomma, fra il serio ed il faceto abbiamo ampiamente documentato come le teorie «anti-sette» (in questo caso di un rappresentante storico del GRIS), estremamente opinabili e discutibili, vengono sfruttate a mo’ di supporto ideologico per osteggiare i movimenti spirituali.

E vi sarebbe anche di più da dire: ad esempio, potremmo citare qualche altisonante affermazione «anti-Led Zeppelin» dell’esponente «anti-sette» Carlo Climati; non escludiamo di integrare in un secondo momento il presente post con qualche sua perla di saggezza in ambito musicale (ci si consenta una punta ironia).

Rimane il fatto che questi sedicenti «esperti» non solo sono privi di qualifiche accademiche in campo religioso, ma non guardano nemmeno in casa propria oppure, se lo fanno, non esercitano la benché minima autocritica.

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