Le persone, in generale o per la maggior parte, sono portate per natura a tutelare i diritti altrui o comunque a rispettarli come tali a meno che non siano stimolate a fare altrimenti. Pertanto, l’unico strumento individuato dai “gruppi anti-sette” per annichilire scelte individuali e religiosità da loro considerate «cattive» o «distruttive», è l’intervento dello stato, propiziato con dati statistici quanto meno discutibili e sicuramente insufficienti a giustificarne l’interpretazione allarmistica offerta alla stampa e nei convegni.
Va ricordato che la discriminazione religiosa e l’istigazione all’odio sono già sanzionati dalla Legge 205/93 “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” con la reclusione fino a 4 anni. Tuttavia, vi sarebbe un’altra fattispecie penale che sembra essere ben integrata dai fatti esposti finora.
- Codice Penale -
Articolo 658 Procurato allarme presso l’Autorità
Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti,
suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano
un pubblico servizio (c.p.358) è punito con l’arresto fino a sei mesi o con
l’ammenda da lire 20.000 a 1 milione (c.p.340, 656, 657).
Le prove esaminate e in parte rese pubbliche in questo blog sembrano mostrare che si stia «procurando allarme» simulando o inferendo un’emergenza che non esiste; a farlo sarebbe un gruppo organizzato, che si potrebbe dunque (in tal caso) considerare un’associazione per delinquere, con l’aggravante del coinvolgimento di pubblici ufficiali ed enti della Repubblica.
Volendo essere a dir poco eufemistici, le cifre e le statistiche che dovrebbero sostanziare il presunto “allarme sette” – così tanto sbandierato e propagandato in decine di convegni e in centinaia di articoli stampa e trasmissioni TV e radio – non sono per nulla coerenti.
Queste statistiche sono fornite dagli stessi gruppi «anti-sette» appositamente per sobillare forze pubbliche e private contro dei movimenti ritenuti «pericolosi», senza che però tale presunta «pericolosità» possa essere realmente dimostrata. Al contrario, la «pericolosità» da loro portata a dimostrazione delle proprie teorie, risulta essere del tutto marginale.
Non è quindi fuori luogo supporre che una simile condotta (di per sé moralmente disdicevole) possa integrare il reato penale di procurato allarme; inoltre, in tal caso essa si svolgerebbe per mezzo di una vera e propria associazione per delinquere, finalizzata all’indebita repressione di diritti umani fondamentali e universalmente riconosciuti quali la libertà di associazione, la libertà di pensiero e – in particolare – la libertà di culto.
Addirittura, in taluni casi sono proprio i presunti esperti «anti-sette» ad affermare inequivocabilmente, non senza una certa sfacciataggine, che occorre creare allarmismo. Ecco un esempio con le parole di Giuseppe Bisetto del GRIS di Treviso:
Come se non bastasse, nonostante la pochezza dei dati statistici cui fanno riferimento, i gruppi «anti-sette» sollecitano un intervento da parte dello Stato che comporta spese di pubblico denaro.
Con tutti i problemi che già ci sono nel nostro paese, è davvero necessario che uomini e risorse della Repubblica vengano dedicate all'istituzione (e all'inevitabile mantenimento) di forze speciali come la controversa «Squadra Anti-Sette» per risolvere «piaghe» che in realtà non esistono, se non in percentuali estremamente esigue o addirittura relativamente inesistenti?
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