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domenica 28 ottobre 2018

Propaganda «anti-sette»: ecco come funziona; il caso di Mario Pianesi

Dopo aver pubblicato l’ultimo post a proposito della vicenda giudiziaria (rapidamente e chiassosamente trasformata in «caso» mediatico) di Mario Pianesi, noto esperto marchigiano di alimentazione macrobiotica, un contatto ci ha informati della trasmissione «Quarto Grado» andata in onda il 5 ottobre scorso, una parte della quale (da 1h21m50s a 1h48m15s) è stata nuovamente dedicata a questo tema. Infatti è la seconda volta che Gianluigi Nuzzi (segue foto) a Rete 4 sfrutta quest’indagine della magistratura (e le vite private delle persone coinvolte) come materiale per il suo show televisivo.


Tuttavia, dobbiamo rilevare che è avvenuto un cambiamento. Sarà perché sempre più gente è colta da un certo rigetto nei confronti di queste trasmissioni di tipo scandalistico e propagandistico che cercano di colpire la «pancia» dei telespettatori, sarà che i legali di Mario Pianesi si sono fatti sentire per cercare di porre un freno al feroce linciaggio mediatico messo in atto dai mass media di tutto lo Stivale, sarà che qualcuno nella dirigenza Mediaset s’è messo di buzzo buono a lavorare sulla qualità dei contenuti per distaccarsi almeno un po’ dalla categoria di «TV spazzatura»… chi lo sa?

Di fatto, è lampante che in questa seconda puntata di «Quarto Grado» su Mario Pianesi la cattiveria a cui si era assistito in precedenza appare lievemente più moderata e il «tribunale» mediatico (del tutto improprio) allestito nello studio televisivo di Cologno Monzese pare quanto meno voler lasciare un po’ di spazio anche agli accusati.

Tanto è vero che persino Carmelo Abbate, giornalista amico degli «anti-sette», non può che rassegnarsi di fronte ai fatti e sottolineare l’apparente inconsistenza degli elementi addotti dall’accusa per dipingere Mario Pianesi come un «mostro». Si consideri che Abbate è fra i principali responsabili della becera gogna mediatica messo in atto a suo tempo ai danni della presunta «santona di Prevalle» (in realtà l’imprenditrice bresciana Fiorella Tersilla Tanghetti).


Addirittura (ma da che pulpito?), Abbate arriva a parlare di un «massacro di fronte all’opinione pubblica».


Più o meno quello che noi abbiamo definito (e ribadiamo essere) un feroce linciaggio mediatico: forse qualcosa di simile a quello che proprio Abbate aveva messo con quel folle servizio «giornalistico» su Panorama ai danni di una industriosa benefattrice? Per la cronaca, quegli articoli ora non si trovano più nemmeno in rete sui siti ufficiali:



Ci si perdoni la divagazione, ma rende bene l’idea di quanto dettaglieremo qui di seguito.

Torniamo infatti alla trasmissione «Quarto Grado» per osservare, anzitutto, come la redazione adopera strumentalmente certa terminologia sensazionalistica se non allarmistica in maniera del tutto indebita. Scorretta, impropria ed indebita: ad esempio, a più riprese gli associati de «Un Punto Macrobiotico» (l’organizzazione di Mario Pianesi) vengono definiti «adepti» o «seguaci», invece che «soci» o «associati» piuttosto che «collaboratori» o «affiliati». Perché? L’intento è evidente e travalica di netto le sottigliezze semantiche: dipingere queste persone, in maniera del tutto generalizzata e nebulosa, come gente pericolosa o sospetta.

Vengono anche mosse delle accuse gravi e non circostanziate, come questa:


Perché in oltre venticinque minuti di trasmissione Gianluigi Nuzzi non è stato in grado di produrre nemmeno uno straccio di prova di quest’affermazione tanto seria, riferita nel video addirittura quasi come se fosse ovvia e scontata?

Forse perché la fonte di tale accusa è Mauro Garbuglia, un ex collaboratore di Pianesi le cui mire e la cui attendibilità sono fortemente in discussione?


È talmente ovvio che Mauro Garbuglia ha delle motivazioni strettamente personali per parlar male di chi gli è stato amico e mentore e gli ha fornito le basi per l'attività lavorativa con cui ha sbarcato il lunario per molti anni, che non stupisce sentirlo esprimere meri pettegolezzi come questo:


E quando non sono pettegolezzi, sono congetture del tutto opinabili:


Il problema è che dicerie maliziose come queste, grazie a giornalisti come Nuzzi e a tramissioni come «Quarto Grado», prendono un certo risalto e acquisiscono una sorta di ufficialità data dal mezzo d’informazione su cui s’innestano.

Eppure coloro che sono sempre stato vicino a Mario Pianesi e alla sua prima moglie (Gabriella Monti, sulla cui morte speculano e lucrano i media), i giovani figli di Pianesi, con il cuore in mano affermano:


E non solo: smontano in maniera estremamente semplice anche il castello di carte di «Quarto Grado», per esempio sull’accusa di rifiutare aprioristicamente la medicina:


I seminatori di odio prezzolati non esitano a profanare nemmeno la sacralità del ricordo del funerale di Gabriella Monti, né l’intimità dell’agonia degli ultimi anni della sua breve vita, lanciandosi in oltraggiose illazioni sul motivo per cui Mario Pianesi l’avrebbe «segregata» in casa. Verrebbe voglia di domandare a costoro quanta voglia (e possibilità!) avrebbero di andarsene in giro per la città a sfoggiare l’ultimo vestito, qualora fossero malati e gravemente debilitati.

Di nuovo, Marco e Matteo Pianesi chiariscono in maniera estremamente lineare quale fosse la situazione:


D’altronde anche riguardo al gossip sul «corpo improvvisamente riesumato e fatto cremare», i giovani Pianesi erano stati alquanto espliciti e avevano spiegato (documentazione alla mano) che la decisione era stata presa di comune accordo con il padre, in quanto «la legge imponeva il trasferimento della salma interrata», così i tre scelsero «di cremarla per conservarne le ceneri in casa», non volendo lasciarla «finire in un loculo».

Non si è più liberi di mantenere discrezione e riservatezza intorno a una donna che sta attraversando un momento tanto tragico come quello del decorso di un ictus cerebrale che ne ha irrimediabilmente compromesso l’esistenza?

Si deve forse imputare al marito la «colpa» di non averla «miracolata» o di non essere riuscito magicamente a «guarirla»?

Pare che solo gli «anti-sette» non riescano ad accorgersi della «pazzia» (come perfettamente l’ha definita il figlio Matteo Pianesi) di tutto ciò.

Ma tanta follia non si manifesta per caso.

Non si dimentichi che difficilmente una campagna propagandistica è fine a se stessa; al contrario, ha sempre un obiettivo ben preciso.

Ne parlavamo in un precedente post in cui abbiamo anche incorporato un estratto da un video nel quale Marcello Foa, noto giornalista che di lì a poco sarebbe assurto alla sua attuale carica di Presidente RAI, delineava gli attributi della propaganda strumentale condotta attraverso i mass media.

Anche in questo caso, oltre a un selvaggio massacro della reputazione di un gruppo che fino a qualche tempo fa contava ben novantamila associati in tutta Italia, come sempre la veemente propaganda «anti-sette» ha lo scopo di battere la grancassa, in modo peraltro abbastanza subdolo, per ripristinare il reato fascista di «plagio» (giudicato incostituzionale nel 1981).

Ecco la collega di Nuzzi, Sabrina Scampini, che furbescamente cava il coniglio dal cappello:


La matrice dunque è sempre la medesima, tanto quanto le finalità.

La propaganda «anti-sette» mira ad eliminare da un presunto «mercato» (che esiste solo nelle menti contorte di pochi) tutti i possibili «rivali» o «concorrenti».

domenica 14 ottobre 2018

«Sbatti il mostro in prima pagina»: la propaganda «anti-sette», il caso di Mario Pianesi e l’occultamento di testimoni «scomodi»


Torniamo a parlare del caso di Mario Pianesi (nella foto) e dell’associazione «UPM» (Un Punto Macrobiotico), del quale ci siamo occupati in precedenza (qui, qui, qui e qui) sin dall’esplodere, lo scorso marzo, del linciaggio mediatico nei loro confronti in pieno stile da propaganda «anti-sette» appositamente strutturata per sottoporre i malcapitati a una sorta di giudizio sommario senza contraddittorio né appello e già destinato a concludersi con un’impietosa condanna.

Appena due settimane fa (l’ultima di settembre scorso), i media di mezza Italia hanno diramato la conturbante notizia che Pianesi è sotto indagine non più soltanto per le vicende legate alle diete e all’alimentazione macrobiotica della sua corrente nutrizionale, ma addirittura per la morte della ex moglie deceduta niente meno che diciassette anni fa (settembre 2001).

Riesumare un evento tanto tragico per incolpare proprio chi più ne era stato colpito (perché maggiormente vicino alla defunta) ha tutto l’aspetto di un accanimento, non solo giudiziario ma anche (e soprattutto) mediatico. Sembra quasi parte di un progetto, di una macchinazione.

Somiglia tanto alla storia mirabilmente raccontata nel lontano 1972 da Marco Bellocchio nel suo film capolavoro, interpretato da un formidabile Gian Maria Volontè, di cui nel nostro blog di quando in quando prendiamo a prestito il titolo, «Sbatti il mostro in prima pagina» (qui una recensione):


Senza alcuna velleità complottista e attenendoci alle sole prove a disposizione, l’unico dato di fatto sinora sono le indagini in corso e i capi d’accusa. Per il momento, non vi è nessun colpevole e nessun condannato, a prescindere dalla quantità di conclusioni affrettate, insulti da stadio e giudizi offensivi che si sono letti qua e là in Internet e nei commenti agli articoli diffusi dai mass media.

Sembra tutto? Non lo è.

Vi è infatti un’altra porzione dello scenario che rimane occultata alla vista, a nostro avviso del tutto volutamente.

Ci riferiamo a interviste, testimonianze, proteste e repliche del tutto ignorate da quella stessa stampa che ha pubblicato titoloni spaventevoli e pruriginosi: voci che si sono levate in difesa non tanto di Mario Pianesi, quanto piuttosto della verità dei fatti e della cronologia degli eventi, persone indubbiamente ben informate che hanno tentato di raccontare una versione differente di come si sono svolte le cose.

Ci riferiamo anche ad articoli che sono misteriosamente scomparsi da Internet ed a commenti che sono stati rimossi (censurati); tutto materiale che avrebbe consentito quanto meno di ponderare dei fatti o dei pareri diametralmente opposti alla versione strombazzata dai giornali e poi ripresa ed amplificata dai chiassosi megafoni «anti-sette».

Ma procediamo con ordine e portiamo un primo esempio:



Questo è il titolo di un articolo di «Cronache Maceratesi» che al momento è ancora disponibile sul Web nel quale vengono riportate le dichiarazioni di Marco e Matteo Pianesi, figli dell’indagato leader di UPM, i quali, indignati per la deplorevole strumentalizzazione della vicenda della loro madre defunta, sono intervenuti così:

«La situazione è infamante (…) Si sta parlando di nostra madre, abbiamo vissuto al suo fianco la sua malattia e il suo dolore, giorno dopo giorno. Nessuno più di noi conosce la verità. Sentiamo il bisogno di difenderne la memoria anche se questo vuol dire far riemergere un passato doloroso. Mai avremmo pensato di doverne parlare a 17 anni di distanza»


Nell’articolo, che va letto con attenzione per coglierne tutti gli aspetti salienti in relazione alle infamanti accuse che sono state mosse a Mario Pianesi, vengono esposti alcuni fatti difficilmente confutabili per i quali, fra l’altro, i due giovani e coraggiosi orfani della madre hanno prodotto della documentazione.

L’aver «segregato» la moglie, averle imposto con la coercizione un regime alimentare errato, aver impedito che seguisse cure mediche adeguate, aver fatto riesumare la salma per occultare le prove (dodici anni dopo il decesso… sic!): per ciascuna di queste accuse i due ragazzi hanno portato testimonianze dirette e documenti.

«Nostra madre era una persona libera che ha portato avanti la filosofia che aveva scelto, lei e nostro padre non meritano tutte queste calunnie, prenderemo provvedimenti legali affinché emerga la verità.»

Tornando ora al troncone iniziale dell’inchiesta penale a carico di Mario Pianesi, verso la fine di aprile scorso i sostenitori dell’associazione UPM, nel lodevole tentativo di contrastare l’ondata di fango sui media di tutto il paese, avevano lanciato una petizione per mettere in luce le anomalie emerse sulla stampa. Ben 3.649 (tremilaseicentoquarantanove) persone hanno firmato la petizione, che al momento è ancora possibile leggere online sul sito «change.org».

Fra i diversi elementi sui quali quella petizione accendeva i riflettori, vi era questo:

«La seconda omissione riguarda una coppia che è alla base di queste denunce, Mauro Garbuglia e la moglie Wanda. Non è stato detto che lui è stato sotto processo per alcuni atti commessi quando lavorava per l’associazione Un Punto Macrobiotico. Non ci sembra un particolare di poca importanza, questa coppia è stata espulsa dall'associazione.»

Ecco di nuovo – come già molte (troppe!) volte si è ravvisato in casi di propaganda «anti-sette» – emergere il ruolo degli «ex appartenenti» al gruppo o all’associazione: nel caso di una confessione religiosa si direbbe «apostati», e come si è descritto in un recente post citando lo studio del prof. Bryan Ronald Wilson, le loro dichiarazioni sono normalmente viziate e vanno recepite con molta cautela perché difficilmente attendibili. È vero che nel caso di UPM non si ha a che fare con un gruppo religioso, tuttavia il meccanismo è lo stesso e risente delle medesime sollecitazioni.

Cercando online qualche articolo o qualche riferimento a proposito di quell’inchiesta a carico di Garbuglia e moglie, si rimane però sbalorditi quando si scopre che non vi è più nulla e che il materiale precedentemente online è svanito. A parte la succitata petizione di UPM, l’unica menzione di quei fatti l’abbiamo rinvenuta in questo tweet:


Doveva ad esempio esservi un articolo sul «Corriere Adriatico» che parlava del caso di Mauro Garbuglia e del processo a suo carico per una «catena di Sant’Antonio» illecita ma, come si può notare dall’istantanea che segue , quel materiale non è più accessibile nemmeno in versione «cache»:


Tornando alla petizione online di UPM, anch’essa andrebbe letta per intero perché solleva altri spunti di discussione che meriterebbero attenzione. Fra questi, il dato dei 90.000 (novantamila) iscritti, i progetti di innegabile interesse ed utilità sociale, gli attestati di stima ricevuti dal Presidente della Repubblica e gli altri numerosi riconoscimenti in varie parti del mondo, la dubbia consistenza dell’accusa di aver tentato di lucrare sugli associati, ecc.

Eppure, malgrado gli accusatori di Mario Pianesi si contino sulle dita delle mani mentre i suoi sostenitori sono (come minimo) migliaia, non sembra che a queste voci sia stato dato ascolto. Di certo non li hanno degnati di alcuna attenzione i mass media che tanto brutalmente hanno vociferato ai suoi danni e – temiamo – continueranno a farlo ai prossimi giri di boa dell’inchiesta, a meno che le indagini non diano esiti negativi e accertino l’innocenza degli accusati.

Ai posteri l’ardua sentenza, come scrisse un illustre poeta d’altri tempi.