La Congregazione Cristiana dei
Testimoni di Geova è senz’altro fra i bersagli preferiti della propaganda allarmistica «anti-sette» non solo (come si potrebbe facilmente dedurre) fra gli
estremisti cattolici (o meglio,
pseudo-cattolici come i militanti del
GRIS) apparentemente animati da una sorta di «timore della concorrenza» del tutto fuori luogo, ma altrettanto da parte di esponenti di associazioni laiche ed
apertamente antireligiose come
Lorita Tinelli e
Luigi Corvaglia del
CeSAP, o
Maurizio Alessandrini e
Sonia Ghinelli del
FAVIS, o ancora
Toni Occhiello di
AIVS. Peraltro, sia CeSAP sia FAVIS si dichiarano referenti della
polizia religiosa «SAS» e rappresentano in Italia la
FECRIS, controversa organizzazione europea che combatte la spiritualità non convenzionale.
Così, nei confronti dei Testimoni di Geova vi è sovente un
fuoco incrociato e di origine trasversale, mascherato da motivazioni speciose e artificiosamente «di pubblica utilità» (cliché frequente presso gli «anti-sette»), che tuttavia è per lo più dovuto alla
larga diffusione di questo movimento religioso e alle cospicue
nuove adesioni che esso raccoglie.
Ce lo conferma lo stesso GRIS in una «ricerca» di cui apprendiamo da un post su Facebook pubblicato in aprile 2017 da una psicologa (
Ornella Minuzzo, di cui abbiamo parlato
proprio ieri) che ne pubblicizza l’ideologia:
Peraltro, la psicologa
Ornella Minuzzo sembra non sapere nemmeno che il
GRIS ha cambiato la propria denominazione a inizio anni 2000, adottando quella di «Gruppo di Ricerca e Informazione
Socio-Religiosa», un po’ meno estremista e accademicamente discutibile rispetto all’originaria «Gruppo di Ricerca e Informazione
sulle Sette». Ma forse è il caso di soprassedere e di procedere con il tema in questione.
La stima espressa dal GRIS è infatti al ribasso, se paragonata alla cifra recentemente fornita dalla rappresentanza nazionale dei Testimoni di Geova alla RAI, ossia
250.000 fedeli in Italia contro gli 8.500.000 in tutto il mondo.
Ciò detto, le strategie messe in atto dagli «anti-sette» per denigrare ed ostacolare questa minoranza religiosa, ormai da decenni radicata ed integrata nella società civile italiana, sono press’a poco le medesime che vengono impiegate contro tutti gli altri movimenti, anche i più esigui in numero:
allarmismo, istigazione alla
paura e all’
odio, storie più o meno verosimili di
ex membri (ovviamente inviperiti e ansiosi di rivalsa) opportunamente ricamate per renderle il più possibile melodrammatiche o
strappalacrime, ecc.
Una delle ultime di queste «notizie» (o pseudo-tali) in ordine cronologico è un caso di contrasti familiari che, mentre è stato presentato dai media come una «
tragedia provocata dalla setta», ad un più attento esame della situazione si rivela essere uno dei numerosi casi da rubricare alla voce «
danni dovuti alla propaganda ‘
anti-sette’».
Andiamo con ordine e presentiamo brevemente i fatti, avvenuti fra il 21 e il 30 giugno scorsi.
Con il solito tam-tam mediatico di «notizie» che rimpallano da una testata all’altra e da un sito web all’altro (con gli inevitabili commenti indignati di chi nemmeno legge attentamente i testi), ecco che
il «mostro» viene
sbattuto in prima pagina per l’ennesima volta:
Frasi forti, che fanno leva su sentimenti profondi, radicati ed antichi come l’amore filiale e la sacralità del focolare: «colpevole di aver scelto di vivere», «i Testimoni di Geova la volevano morta», «
una setta che
sacrifica vite».
Sorvoliamo pure sull’eventuale
valenza criminale di affermazioni tanto evidentemente diffamatorie, perché la malignità di un tale «giornalismo» e la pochezza di siffatte argomentazioni si rivela in tutta la sua meschinità appena un giorno più tardi, quando le figlie di
Grazia Di Nicola (la signora la cui «storia» viene raccontata in quegli articoli) invocano il diritto di replica e scrivono ai media per fornire la loro versione dei fatti:
Siamo le tre figlie di Grazia Di Nicola.Siamo rimaste sconcertate dalle informazioni false che abbiamo letto sui giornali; tra l’altro nessun giornalista della vostra redazione si è degnato di contattarci per ascoltare anche la nostra versione dei fatti.Non vogliamo perdere tempo a correggere tutte le informazioni errate incluse nell’articolo; quello che ci preme precisare è che noi abbiamo sempre rispettato -- e rispettiamo -- nostra madre, a prescindere dalle decisioni che ha preso in campo religioso. Il motivo per cui oggi non abitiamo più con nostra madre non è perché l’abbiamo ripudiata. Non ci sogneremmo mai una cosa del genere. In realtà è stata lei a cacciare via di casa una di noi e a indurre le altre due a scappare via. Ci dispiace che i nostri genitori stiano strumentalizzando la situazione per mettere in cattiva luce la nostra religione.Giovanna, Annunziata e Francesca Scaglione
Si rimane a dir poco
allibiti (se non
disgustati) di fronte al fatto che dei giornalisti abbiano l’ardire di pubblicare dei titoli tanto
cruenti senza nemmeno prendersi la briga di verificare i fatti. Ma purtroppo saremmo alquanto ingenui se ignorassimo il fatto che negli ultimi tempi (e soprattutto quando si parla di movimenti religiosi) questa è la regola, piuttosto che l’eccezione.
Ma non è tutto. I più maligni potrebbero infatti sostenere che quella replica sia stata indotta, oppure costruita, o che non sia veritiera, o chissà quali altre costruzioni mentali.
Al contrario, seppure a denti stretti e in mezzo ad altre stucchevoli recriminazioni e sbalorditive provocazioni, la conferma che si tratta della
mera verità arriva niente meno che dalla signora
Grazia Di Nicola (nota: interpretiamo la parola «affebrati», a noi sconosciuta, come qualcosa di simile a «infervorati» oppure «febbricitanti, comunque riteniamo il senso sia «sconvolti»):
Al di là degli ovvi tentativi di attenuare la gravità della propria condotta, ci troviamo di fronte a una madre che ha sostanzialmente
cacciato di casa le proprie figlie perché non volevano abiurare la fede che invece lei e il marito avevano scelto di abbandonare dopo averla praticata essi stessi per anni e dopo averla trasmessa a loro. Una sorta di
paradosso!
Addirittura, questi genitori non solo hanno esasperato le loro figlie fino a condurle alla triste decisione di
andarsene di casa perché
discriminate da coloro che dovevano amarle ed accettare le loro scelte, ma addirittura hanno tramutato la loro storia di
conflitto familiare in uno
«scoop» mediatico che ha segnato (forse irrimediabilmente?) le vite di tutti loro.
È questo il
modello genitoriale proposto dagli psicologi
«anti-sette»?
Al di là della retorica del nostro quesito, forse è proprio così: infatti, se si legge con attenzione il commento della Di Nicola, si comprende ancora meglio la
delinquenziale falsità delle «fake news» propagate dagli «anti-sette»:
Quindi vi erano
«discussioni» già da tempo.
Quindi vi era la
percezione di un (presunto)
«pericolo» nel fatto di far parte dei TdG.
Tant’è che «si era arrivati a una
mancanza di rispetto reciproco», esito che non può certo darsi solo a seguito di un fatto isolato come quello su cui s’imperniano gli articoli.
Va da sé che l’episodio della trasfusione di sangue può solo essere l’ultimo di una concatenazione di eventi che hanno condotto questa sventurata famiglia al
contrasto e al
litigio, fino alla perdita del rispetto reciproco e addirittura all’odio.
Una tanto grave
animosità, una tanto forte conflittualità fra persone dello stesso sangue può forse scaturire da un singolo accadimento, peraltro avvenuto due anni e mezzo prima di questi articoli (gennaio 2016)?
Noi non lo crediamo possibile, e d’altronde la Di Nicola ha già dimostrato con le sue stesse parole (a seguito della replica delle figlie) di
non essere del tutto
attendibile nelle proprie dichiarazioni.
Crediamo invece che la casalinga di Colliano (SA), dopo aver fortemente insistito con il marito (
Franco Scaglione) per portarlo ad abbracciare la fede nei Testimoni di Geova nel 2008 (lo racconta lei stessa nelle dichiarazioni rese alla stampa), abbia in seguito dovuto subire delle
pressioni da parte sua. Crediamo che proprio a causa di tale dissenso sia
caduta, trascinata dal marito,
nella rete di qualche «anti-sette» e si sia imbevuta delle loro tesi propagandistiche, abbia quindi recepito i soliti
«consigli» (come quelli di cui si parla proprio nel post sulla psicologa
Ornella Minuzzo) mirati a tentare di dissuadere le figlie dalla loro fede. «Consigli» di natura intollerante che ovviamente dividono e separano, piuttosto che armonizzare.
Certo, quelle che abbiamo espresso nel paragrafo antecedente sono solo nostre deduzioni, e tale resta il loro valore.
Ma vi è un altro elemento che vorremmo addurre a supporto delle nostre argomentazioni: la tempistica.
Grazia Di Nicola ha cominciato a raccontare alla stampa la propria «storia» già in
ottobre del 2016, con un exploit sui media locali del salernitano. Proprio a quel periodo risalgono i suoi contatti con
Lorita Tinelli del
CeSAP e
Sonia Ghinelli del
FAVIS. In marzo del 2017, quindi ben oltre un anno prima dell’ondata mediatica a cui abbiamo assistito nel giugno scorso, la Di Nicola ha addirittura tentato di imbastire una
petizione online al Presidente della Repubblica:
Dunque
perché tornare ancora alla ribalta qualche settimana fa?
Perché esacerbare una storia già tanto triste, al punto da suscitare la reazione delle sue figlie che fino a quel momento avevano mantenuto un rispettoso silenzio persino davanti alle cattiverie
strombazzate dalla madre
ai quattro venti sul loro conto e sul conto della loro congregazione? A che pro?
Ma ciò che lascia ancor più sgomenti è la falsità stessa dell’argomentazione su cui è imperniato il cancan di quegli ultimi articoli, ossia: è una
menzogna che le figlie abbiano abbandonato la madre a seguito della trasfusione, e a specificarlo è proprio la casalinga di Colliano (SA) in questa intervista del
19 ottobre 2016, di cui proponiamo qui di seguito un breve stralcio.
La Di Nicola ha spiegato in dettaglio come abbia
lei per prima deciso di abbandonare i Testimoni di Geova diversi
mesi dopo l’episodio della trasfusione, per il semplice fatto che non voleva più accettare quella fede e le pratiche religiose ad essa collegate. Una scelta innegabilmente legittima e indiscutibile, ma perché ha voluto obbligare altri a seguirla?
Ci domandiamo come si possa tanto candidamente sorprendersi per il disappunto delle proprie figlie quando, dopo anni di adesione ad un credo, di punto in bianco si va in TV a dirne peste e corna mettendo in piazza fatti privati e questioni familiari che si dovrebbero risolvere parlando con i propri cari. Forse
qualcuno l’ha indotta a fare ciò? Magari proprio
qualche «anti-sette»? Se la Di Nicola un giorno avrà l’onestà intellettuale di rivelarlo, allora sì che sarà stata fatta davvero chiarezza.
Ma non solo: il racconto della Di Nicola, fra l’altro, dimostra la
falsità delle storie allarmistiche sulle
trasfusioni di sangue, nelle quali viene sempre sistematicamente omesso il fatto che al Testimone di Geova viene prestata
assistenza qualificata dalla congregazione affinché si individui una terapia alternativa sotto l’opportuna
supervisione medica.
Ci domandiamo dunque: era davvero necessario
rovinare la propria famiglia, in conseguenza della propria scelta di abbandonare una data fede?
Probabilmente no; ma se anche non era necessario, è stato
consequenziale alle attività tipiche degli «anti-sette».
E pensare che solo
pochi anni fa la signora
Grazia Di Nicola diffondeva messaggi come questo:
Ecco, quindi, un’ennesima dimostrazione di come la propaganda «anti-sette»
sconvolge intere famiglie, semina
allarmismo e genera
divisione e
conflittualità.