venerdì 8 dicembre 2017

Le devastanti conseguenze della propaganda «anti-sette»

Con un banale (e forse anche un po’ inflazionato) adagio popolare, si potrebbe sentenziare: «la gallina che canta, ha fatto l’uovo».

Passiamo dalle facezie alla serietà e focalizziamo ulteriormente una tematica grazie allo spunto fornitoci proprio da una delle principali esponenti «anti-sette» in Italia, ossia Sonia Ghinelli del FAVIS, che da anni gestisce l’anonimo e controverso profilo Facebook di «Ethan Garbo Saint Germain».

Due dei suoi ultimi post, in particolare, forniscono ulteriori elementi a riprova di quanto viene denunciato in queste pagine. Ecco il primo:

 

A noi pare che salti un po’ di palo in frasca: forse a causa di uno stato d’animo un po’ nervoso? o forse in un funambolico tentativo di giustificare se stessa senza perdere la faccia? Chissà, lasciamo a ciascuno trarre le proprie conclusioni.

Comunque, nel suo messaggio indubbiamente, nel complesso, un po’ confuso, la Ghinelli però si lascia sfuggire:



«Chi si scusa si accusa», dice un altro proverbio. Senza contare che risulta alquanto incomprensibile il contorto (s)ragionamento che attribuisce dei giudizi a noi, a proposito di un caso di cui non ci eravamo (sinora) nemmeno occupati, senza neanche averci interpellato prima!

D’altronde, già solo la citazione del caso di Aldo Verdecchia porta alla luce un intero argomento che trasuda incompetenza e faciloneria. Forse involontariamente (o inconsciamente?), così facendo la Ghinelli ha inteso dischiudere un altro cassetto nel quale erano celati fatti che sono stati, in passato, raccontati nel blog «Pensieri Banali» e che dovranno essere oggetto di (almeno) un post a parte sul presente blog.

Uno stralcio su tutti (questo il post da cui è stato estrapolato), direttamente afferente a quanto richiamato dalla Ghinelli:

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In una lunga intervista pubblicata da Il Giornale il 17 ott. 2004, Aldo Verdecchia racconta più in dettaglio la vicenda che lo ha portato alla creazione del suo gruppo anti-sette e anti-pedofilia. Apprendiamo così che ad adescargli il figlio di "pochi mesi", per poi plagiarlo "quando aveva solo due anni", non fu l'opera di un singolo "guru" plagiatore, ma una temibile:

"setta di degenerati morali, pornografi e plagiatori, collusa con autorità giudiziarie, politiche e religiose".

Quella raccontata da Verdecchia è una storia piuttosto complicata, con molti personaggi e ricca di intrecci, che si caratterizza per la scabrosità dei crimini denunciati, consistenti in reati sessuali di inimmaginabile depravazione compiuti su minori. (Verdecchia appare inoltre convinto che tutta la società italiana sia trasversalmente caratterizzata da una incontenibile depravazione sessuale). 

L'esposizione dei fatti è poco chiara, ma qualche punto fermo c'è. Il primo è che il figlio neonato "adescato" dalla setta, gli viene "portato via per ordine della magistratura", la quale avrebbe poi di proposito "trascinato [il neonato] a vivere in una comunità dove si celebrano riti d’incarnazione, si praticano sedute spiritiche, si consumano sordidi incontri fra adulti e minori."»

(…)

Veniamo ai fatti. Siamo nel 1983, Verdecchia ha 36 anni e fino a quel momento ha "pensato solo al lavoro", che lo costringeva ad essere "sempre in giro". 

Questo continuo viaggiare gli consentiva di sfoderare le sue armi di seduttore: "come i marinai, avevo donne in ogni città".

Per inciso, chi ritiene che sia più deplorevole fare il farfallone amoreggiando contemporaneamente con donne sparse "in ogni città", piuttosto che avere una foto della propria compagna nuda, è probabilmente da considerarsi un "degenerato morale".

Torniamo ai fatti, che sono così riassumibili: nell'83 scocca la scintilla con "una bella ragazza, mora, di ottima famiglia", che resta incinta "quasi subito". Matrimonio riparatore, e nel maggio '84 nasce il bambino (quello adescato all'età di pochi mesi e plagiato all'età di 2 anni).

(…)

È una storia banale, come ne accadono tante ogni giorno. Dopo una prova su strada, la ragazza opta per un usato sicuro, e ritorna dall'ex fidanzato con cui va a convivere (forse per impedirsi in futuro altri colpi di testa tanto sciagurati). Fu una relazione tanto effimera che non possiamo neppure parlare di corna.

Ciò che rende questa storia diversa dalle innumerevoli altre simili, è che il sedotto e abbandonato, anziché annoiare gli amici con le sue pene d'amore, tira in ballo la setta plagiatrice sostenuta dal complotto. 

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Il post sarebbe davvero da leggere integralmente, anche perché riesce a raccontare fatti alquanto paradossali con uno stile spigliato e a tratti spassoso.

Ma desideriamo riportarci al secondo spunto offertoci da Sonia Ghinelli in un suo secondo post su Facebook di qualche giorno fa, perché questo, sì, conduce il pensiero a temi ben più seri e tragici:

 

Il post porta avanti nuovamente un discorso apologetico e rimanda ad un interessantissimo articolo pubblicato su «Il Foglio» a firma Annalena Benini. Maggiori approfondimenti sulla tematica trattata da questo ottimo articolo si possono trovare a questi link:
- https://video.repubblica.it/cronaca/il-paese-dei-bambini-perduti-veleno-la-serie-da-ascoltare/287343/287954
- http://lab.gruppoespresso.it/repubblica/2017/veleno/correlati.php?p=1
- http://lab.gruppoespresso.it/repubblica/2017/veleno/correlati.php?p=2

E' una triste, tristissima storia di accuse fasulle di violenze su bambini, che hanno scatenato una vera e propria atroce persecuzione contro dei genitori e contro un prete (innocente) morto per infarto durante il procedimento. Una persecuzione fondata sull'allarmismo e sul pregiudizio.

Ecco perché la chiusa del post, da parte della Ghinelli, merita un commento a parte:


Ci verrebbe da dire: «eppur si muove»!

Sì, perché un’affermazione del genere ci appare come il travestimento del lupo che s’ammanta della pelle dell’agnello: con quale faccia tosta, mentre una mano continua a menare fendenti contro le minoranze e i gruppi che lei ha bollato come «abusanti», leva l’altra mano verso l’alto indicando la volta celeste?

Con quale speciosa incoerenza muove un monito per il rispetto dell’altro, per l’affermazione del principio dell’innocenza fino a prova contraria, mentre in contemporanea prosegue nella sua opera incessante di avvelenamento dell’opinione pubblica con le sue malignità generalizzate e storiacce allarmistiche?

Che faccia, invece, un serio esame di coscienza. Che si renda conto (per lo meno fra se e sé, non le chiediamo certo di essere noi il suo confessore!) di come il suo «lavoro» (o, per meglio dire, il suo ozio pagato dai contribuenti) si traduca in un costante fomento del fuoco dell’intolleranza, che conduce proprio a tragedie come quella raccontata nell’articolo de «Il Foglio».

Purtroppo, essendo i veri moventi di costoro tanto lontani dalla «pubblica informazione» e dal «servizio alla comunità», non siamo ottimisti in proposito.

Ma, per lo meno, proseguiamo nella nostra opera di denuncia di tali fenomeni – questi, sì – «abusanti» da parte degli «anti-sette».

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