domenica 2 settembre 2018

I danni degli «anti-sette»: il caso di Ananda Assisi (2004-2008)

Ci tuffiamo nuovamente nei retroscena dell’attuale propaganda «anti-sette» e descriviamo uno peggiori casi che, disgraziatamente, ben esemplificano i danni devastanti che i militanti contro la spiritualità «non convenzionale» sono in grado di produrre strumentalizzando la macchina mediatica per gettare fango su comunità pacifiche, «colpevoli» soltanto della propria «diversità». La vicenda di cui ci occupiamo stavolta si colloca peraltro in un periodo storico (prima metà degli anni 2000) segnato dal dilagare dell’attività «anti-sette» del «prete inquisitore» don Aldo Buonaiuto, referente della «polizia religiosa» SAS (la «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno, sulla cui costituzionalità molti dubbi e perplessità sono stati giustamente sollevati) nonché collaboratori degli altri gruppi «anti-culto» associati alla controversa sigla europea FECRIS.

E, come vedremo, il principale istigatore occulto dell’ingiustizia consumatasi fra il 2004 e il 2008, è proprio don Aldo Buonaiuto.


L’associazione Ananda (meglio nota come «Ananda Assisi») non è solo un popolare gruppo di meditazione yoga e cultura orientale, è anche una vera e propria comunità residenziale nella quale le persone si recano in un ritiro totale dalla frenesia del vivere quotidiano; molti, dopo aver provato l’esperienza di vita proposta da Ananda, si trattengono presso la struttura per periodi prolungati, qualcuno sceglie anche di fermarvisi definitivamente imponendo un cambio radicale alla propria vita e di dedicarsi alla propria spiritualità, come ben racconta un articolo di «Repubblica» pubblicato in maggio del 2016. Alquanto indovinata anche la collocazione geografica del gruppo: in comune di Nocera Umbra, fra Assisi e Gualdo Tadino, nel cuore dell’Italia peninsulare, immersa nella meravigliosa e lussureggiante vegetazione di una regione splendida come l’Umbria, nota in tutto il mondo per i forti, profondi richiami religiosi di luoghi sacri millenari.


Nell’inverno del 2004, la comunità di Ananda viene scossa da eventi drammatici ed inaspettati. Ecco la testimonianza di «Narya», Paolo Tosetto, uno dei principali rappresentanti italiani del movimento, che descrive quel terribile periodo. Il video è tratto dagli interventi del convegno di presentazione dell’associazione LIREC (Centro Studi sulla Libertà di Religione e di Credo), tenutosi a Roma il 16 gennaio scorso.


In soli dieci minuti, Tosetto riassume in modo esauriente e con straordinaria dignità dei fatti agghiaccianti che possono solo suscitare indignazione: il 14 Gennaio del 2004 un contingente di un’ottantina di poliziotti fa irruzione presso la sede dell’associazione Ananda (una tranquilla comunità religiosa presente in zona da più di dieci anni e perfettamente integrata con il suo territorio!), perquisiscono perentoriamente i locali e sequestrano interi faldoni di documenti e una quarantina di computer; i conti bancari dell’associazione vengono congelati e la sua stessa esistenza viene messa a repentaglio. Di lì a poco, scattano i titoloni allarmistici dei giornali ed ecco che di nuovo un (inesistente) «mostro» viene sbattuto in prima pagina.


Gli articoli del solito tenore «anti-sette», naturalmente, parlavano della «forte pressione psicologica» con cui «gli adepti alla setta venivano indotti a spogliarsi dei propri beni» (Il Gazzettino del 3 marzo 2004) e raccontavano di «suicidi e psicosi croniche dietro i “misteri” di Ananda», di «riduzione in schiavitù» ammantata di religiosità indiana (Il Messaggero del 5 marzo 2004). Ai responsabili vengono contestati reati gravissimi, fra cui l'associazione a delinquere.

Inutile proseguire nel riesumare altri articoli dell’epoca: finiremmo per rimestare nel torbido, sappiamo molto bene che genere di anatemi tendano a proporre e quali allarmanti minacce dipingano. È la solita minestra, riscaldata già al tempo (basti pensare alla vicenda degli inesistenti «Angeli di Sodoma») e ribollita anche oggigiorno con secondi fini (talvolta persino economici).

Purtroppo non fu un fuoco di paglia, l’inchiesta proseguì e i soprusi del giustizialismo «anti-sette» non si fermarono alla prima irruzione: alle ore 5:30 del mattino del 29 febbraio 2004, la polizia tornò presso la sede di Ananda ed arrestò una decina di dirigenti dell’associazione, che erano stati posti sotto indagine, portandoli in carcere, dove rimasero per una settimana in attesa di venire giudicati.

Come ben scrisse in quel periodo Manuel Olivares, un giornalista che s’interessò al caso: «Da un punto di vista culturale ciò che, credo, penalizzi realtà come Ananda, in particolare in momenti così diffcili, è la profonda e diffusa ignoranza di culture religiose altre, che può indurre ad assumere punti di vista univoci e ferocemente preconcetti (…) Di qui, nell’universo insulso dei luoghi comuni, chi sceglie, ad esempio, di praticare il karma-yoga (servizio volontario come offerta a Dio) in un ashram o in una comunità religiosa può essere facilmente additato come un individuo psicolabile sfruttato da feroci aguzzini o addirittura ridotto in schiavitù».

Facile intuire quali furono le distruttive conseguenze subite dai partecipanti di Ananda Assisi durante quei terribili anni: la reputazione dei singoli intaccata dal tam tam mediatico, i danni economici subiti dalla comunità, il sospetto e la diffidenza che gli «anti-sette» hanno tentato di sobillare. Ma, come ha ben raccontato Tosetto, il loro tentativo di demolire Ananda ha sortito l’effetto contrario, con manifestazioni di solidarietà ed aiuti inattesi da parte non solo di frequentatori della comunità, ma anche dai vicini della medesima.

Successivamente, è arrivata anche la vittoria giudiziaria: il 22 novembre 2008, «dopo 7 anni di indagini e accuse da parte della procura di Perugia, il caso intentato contro Ananda per associazione a delinquere con scopi di riduzione in schiavitù, lavaggio del cervello, circonvenzione d'incapace, usura e frode si è concluso con un’assoluzione piena. Tutte le accuse sono totalmente crollate e il giudice dell’udienza preliminare, Dr. Massimo Ricciarelli, ha assolto tutti i componenti di Ananda, emettendo sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste».

Scavando nel background di un così grave caso di persecuzione giudiziaria ai danni di un gruppo spirituale, emerge come già altrove la figura da carogna degli apostati o «ex membri»: nella fattispecie, un paio di persone che si sono adoperate per comunicare le proprie recriminazioni e trasformarle in accuse, rivelatesi poi false in tribunale. La principale fra questi è un ex addetto alle vendite dei prodotti biologici realizzati e commercializzati da Ananda per sostenere le proprie attività religiose (particolarmente apprezzate le «noci lavatutto») il quale, allontanato per i suoi comportamenti non in linea con le buone maniere richieste dalla comunità e scontento per non aver tratto il profitto sperato dall’attività svolta, aveva dapprima giurato vendetta alla dirigenza e successivamente aveva fornito le proprie «testimonianze» per fare in modo che Ananda finisse in guai seri.

Sotto il profilo giudiziario, il responsabile dell’indagine fu il sostituto procuratore di Perugia, Antonella Duchini.


Triestina, classe 1956, in magistratura sin dal 1981, già da pretore di Perugia a metà anni ’90 il suo nome era spesso sui giornali. Fece scalpore, ad esempio, nell’ambito di un’inchiesta sulla produzione e vendita di videocassette pornografiche, per la decisione di sottoporre a un vaglio attento e scrupoloso oltre quattrocento cortometraggi a luci rosse. In quel periodo, era considerata un «giovane magistrato dal piglio deciso e stimata dai colleghi per lo scrupolo con il quale svolge il proprio lavoro». Oggigiorno il vento sembra soffiare in direzione opposta, se consideriamo che la Duchini è indagata per abuso d’ufficio e rivelazione di informazioni segretate, tanto che il Consiglio Superiore della Magistratura ne ha disposto il trasferimento ad altra procura (Ancona).

Ma in quel periodo (primi anni 2000) la Duchini era considerata  una professionista competente e coscienziosa. Ci domandiamo, quindi, cosa poté spingerla a prendere una cantonata tanto clamorosa e – soprattutto – tanto deleteria per un’intera comunità religiosa?

Come poté la Duchini, senza aver mai nemmeno interpellato la dirigenza di Ananda nel corso di oltre un anno di indagini, giungere alla conclusione che «molti adepti» avevano subito dello «sfruttamento» ed un «totale condizionamento psicologico», tanto da «trovarsi in una condizione devastante della personalità, sfociata in più occasioni in disturbi mentali gravi»?

Quale genere di «consulente» o di «consigliere», evidentemente ritenuto «qualificato», può fuorviare sino a tal punto un sostituto procuratore nel pieno della sua carriera come Antonella Duchini?

Troviamo la risposta in bella mostra in uno degli articoli più recenti sugli sviluppi del caso giudiziario:


 «(…) la sostanza dell’impianto accusatorio nei confronti degli imputati doveva ravvisarsi nelle dichiarazioni rese da alcuni soggetti (...) e nelle
consulenze redatte da Don Aldo Buonaiuto e dalla Prof.ssa Cecilia Gatto Trocchi»

I commenti sarebbero inutili: don Aldo Buonaiuto (un prete cattolico) e Cecilia Gatto Trocchi (esponente del GRIS), ben noti per le loro tesi contro i nuovi movimenti religiosi. Conoscendo il già citato caso degli inesistenti «Angeli di Sodoma», possiamo ben immaginare quali nefandezze per lo più immaginarie possano aver riferito agli inquirenti.

Ma mentre la seconda non può più rispondere dei propri abusi, essendo morta suicida a 66 anni nel luglio del 2005, il primo è ancora in circolazione ed è piuttosto attivo nell’osteggiare la spiritualità non cattolica o anche cattolica ma non convenzionale.

Hanno mai chiesto perdono, costoro, per gli orribili torti che hanno commesso?

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