lunedì 28 maggio 2018

«Anti-sette», disinformazione e fake news: manipolazione mentale di massa

Vogliamo riproporre un eccellente articolo scritto da Franco Iacch e pubblicato su Il Giornale del 22 Maggio scorso; in realtà è lo stralcio di uno studio, tuttora in corso, che Iacch sta sviluppando assieme a dei colleghi. 

Questa analisi, se letta con attenzione, spiega molto bene qual è la tecnica che adoperano gli «anti-sette», da lungo tempo, sfruttando Internet e i mass media in generale per modificare la percezione della spiritualità non tradizionale da parte degli utenti dei social network e del vasto pubblico.

Vogliamo quindi utilizzare questo articolo come falsariga, riportandone i passaggi che riteniamo di maggiore rilievo, per metterli in relazione con la propaganda antisette che da alcuni mesi denunciamo e documentiamo nel presente blog.

Qui il link per leggere il testo dell’articolo in versione integrale.


sabato 26 maggio 2018

La propaganda «anti-sette» ha realmente una finalità di lucro?

Torniamo su uno degli ultimi temi trattati, riprendendo il discorso cominciato dal nostro Mario Casini appena una settimana fa nel suo post su Luigi Corvaglia del CeSAP e il movente economico degli «anti-sette».

Sono trascorsi solo pochi giorni dalla conferenza di cui relazionava quel post, ed ecco pervenire una inequivocabile conferma, tanto spettacolare quanto inquietante, che la riflessione di Casini era sostanzialmente sensata e ben motivata.

Tale conferma arriva mediante l’ennesimo articolo di grana grossa, scritto da uno dei (soliti) giornalisti del circuito «anti-sette», o per meglio dire dalla sua «metà»; nello specifico, parliamo di Flavia Piccinni, compagna del Carmine Gazzanni di cui si parlava in un post precedente (ad esempio qui).


Classe 1986, da tempo la Piccinni sta cercando di affermarsi come scrittrice e reporter assieme al meglio avviato consorte, che lei stessa ha trionfalmente ed amorosamente celebrato in Gennaio scorso quando si è qualificato come giornalista professionista (dopo anni – va detto – di articoli di qualità più che discutibile smerciati qua e là per la rete ai danni delle piccole minoranze spirituali da sempre nel mirino degli «anti-sette» militanti):


Gazzanni e Piccinni hanno collaborato, fra le altre cose, alla realizzazione del controverso e ampiamente contestato servizio televisivo «anti-sette» di RAI 3 dal titolo «Io ci credo», del quale abbiamo parlato in dettaglio in precedenza:


«Tanto orgoglio e soddisfazione» per aver contribuito alla disinformazione degli italiani con una trasmissione che si è rivelata un completo fiasco in termini contenutistici ed è stata contestata non solo da esperti di movimenti religiosi e da uomini di cultura, ma addirittura dagli stessi «anti-sette»!

Perciò, ci coglie un dubbio: che la «soddisfazione» cui accenna la Piccinni sia da interpretarsi in termini finanziari? Per essere schietti: quanto denaro avranno incassato i due romantici giornalisti per una «consulenza» così «qualificata»?

Un interrogativo con il quale tuttavia abbandoniamo tale digressione e torniamo di buona lena al filone principale di questo post.

Il 18 maggio scorso esce nelle edicole il settimanale «Gioia», che con tanto di richiamo in prima pagina lancia uno dei soliti titoloni allarmistici:


I concetti sono i soliti della trita e ritrita propaganda «anti-sette»: guai a vestirsi in modo anticonformista, guai a recitare preghiere poco conosciute, guai a non seguire le ritualità di regime o a cercare una filosofia distinta da ciò che ci hanno sempre insegnato. È pericoloso, perché si finisce per essere «manipolati», dopo di che non si può più uscirne, ecc.

Come al solito, costoro ci vorrebbero tutti vestiti in divisa e allineati per fare il saluto romano al duce, come sembrava voler intendere un’esponente «anti-sette» del GRIS di cui abbiamo parlato in precedenti post sia qui che qui. D’altronde, si sa, il controverso «reato di plagio» per il quale tanto costoro battono la grancassa, faceva parte dell’ordinamento giuridico del «ventennio».

Saremo forse un po’ troppo sarcastici, ma il resto dell’articolo non aiuta certo a far salire il livello della critica.

Vediamo alcuni passaggi:


Certamente delle righe tanto patetiche (nel senso del «pathos») potranno strappare qualche lacrima al lettore che non conosce l’argomento; certamente dev’essere a quell’audience che si rivolge la Piccinni. I meglio informati, però, potrebbero solo sorridere (con amarezza) riconoscendo i fatti concreti dietro i proclami.

Le «persone e specialisti» cui accenna vagamente la giornalista sono questi, che dalla sua pagina Facebook lei stessa racconta di avere incontrato alle porte di Bari assieme al «suo» Gazzanni all’inizio di febbraio di quest’anno:

 


Lorita Tinelli sulla sinistra nella prima foto, Toni Occhiello nella seconda: ecco gli «esperti» di cui va parlando, talmente «esperti» da non essere in grado (la prima) di definire in maniera chiara e lineare che cosa sarebbe una «setta», né di adoperare (il secondo) una dialettica civile ed educata per rapportarsi con gli altri. Invece che confrontarsi con chi muove loro delle critiche, costoro reagiscono con scherno e tentativi di intimidazione, come s’è più volte (e da più parti) riferito in precedenza.

Fra gli «esperti» interpellati dalla Piccinni c’è anche Patrizia Santovecchi: un’altra figura dal passato controverso, della quale abbiamo parlato più in dettaglio in un precedente post.

Tinelli, Occhiello e Santovecchi sono «anti-sette» tutti accomunati da una stessa fondamentale caratteristica: sono tutti direttamente e profondamente influenzati da storie di apostati, oppure sono loro stessi apostati, ovvero persone che hanno professato una determinata fede per un certo tempo e poi l’hanno abbandonata

Per spiegare di che genere di individuo stiamo parlando, citiamo proprio uno dei pochi passaggi del succitato servizio di RAI 3 che, culturalmente parlando, si salva rispetto al resto delle sequenze perché riporta dei pareri autorevoli (qui il prof. Silvio Calzolari, orientalista e segretario di quella «federazione per la libertà di credo» citata dalla Piccinni):


Nel tentativo di conferire un po’ di ufficialità alla sua linea di pensiero, la Piccinni chiama in causa altri personaggi mediatici, prima fra tutte naturalmente Michelle Hunziker, la cui superficialità è stata messa in evidenza non solo sul nostro blog per la parte attinente ai nuovi movimenti religiosi, ma anche altrove per l’attendibilità alquanto discutibile della sua ricostruzione dei fatti.

C’è spazio anche per i due giornalisti «anti-sette» Stefano Pitrelli e Gianni Del Vecchio (dei quali si è detto qui e qui), che con un’ondata di autoreferenzialità arrivano a fregiarsi di essere riusciti, grazie al loro libro, a distogliere dalle loro scelte un numero non meglio precisato di devoti di movimenti religiosi. Non dicono quante persone, invece, avendo letto il loro testo o le relative recensioni, si siano convinti sempre più a portare avanti la propria fede oppure si siano interessati a questo o quel gruppo spirituale. Ma in ambo i casi siamo nell’ambito delle speculazioni, dal momento che nemmeno i due giornalisti «anti-sette» portano alcun dato verificabile e circostanziato.

Dovendo riempire la colonna, la Piccinni arriva addirittura a «riesumare» Cecilia Gatto Trocchi, una sociologa che, dopo anni di militanza contro i nuovi movimenti religiosi al fianco del GRIS e di altri «anti-sette», nel luglio del 2005 morì suicida a 66 anni dopo un periodo di conclamata instabilità mentale.

Emblematico un riquadro laterale: sapendo che nel nostro blog abbiamo cominciato a smentire (con fatti e documenti) certe favole «anti-sette», la Piccinni porta ad esempio il controverso caso di Waco (del quale pure ci occuperemo) e non parla, invece, del Tempio del Popolo, una storia solitamente molto gettonata da costoro.

A conti fatti, ben lungi dall’apportare dei contenuti propri, tutto l’articolo della Piccinni risulta essere una réclame degli «anti-sette» e dei loro «prodotti editoriali» o «servizi personalizzati»: in concreto, una sorta di spot pubblicitario finalizzato a portare clienti ai suoi amici psicologi come Lorita Tinelli o Luigi Corvaglia, piuttosto che a creare un interesse (e quindi una futura domanda commerciale) per il libro che sta scrivendo assieme al suo compagno Gazzanni, o per quello della Hunziker, o anche per le prossime trasmissioni televisive che sicuramente verranno imbastite sul tema dei «culti distruttivi».

Infatti, dulcis in fundo, ecco il «gran finale»:


Ci asteniamo dal commentare i virgolettati della Tinelli riportati in questo riquadro, perché lo fanno già egregiamente da sé, rimanendo sulla stessa linea dialettica della pseudoscienza già relazionata in post precedenti come questo o questo. Ci soffermiamo invece sulla chiusa, in cui vengono appunto pubblicizzate le associazioni facenti parte della rete «anti-sette» italiana.

Diventa, insomma, sempre più evidente che gli «anti-sette» stanno fomentando, ormai da anni, una campagna mediatica fondata su tesi di grande superficialità, su resoconti di dubbia attendibilità e in generale su una pseudoscienza che usurpa la sociologia delle religioni, sfruttando la credulità popolare e generando allarme, allo scopo di generare profitti per una ristretta cerchia di persone, vuoi con prodotti editoriali vuoi con prestazioni professionali a pagamento. Forse non sempre tale attività genera utili finanziari in senso stretto, ma comunque, porta inconfutabilmente agli esponenti «anti-sette» un ritorno di immagine, una certa reputazione e una visibilità mediatica che, di conseguenza, li conduce a una qualche forma di guadagno personale, per loro altrimenti irrealizzabile.

Va anche rilevato che sono sempre gli stessi nomi e sempre gli stessi gruppi a portare avanti la campagna propagandistica contro le minoranze religiose «non convenzionali» e a dirigere in forma organizzata le attività infamanti descritte in questo blog.

Ecco dunque il vero movente degli «anti-sette»: il lucro.

martedì 22 maggio 2018

Gli «anti-sette» di AIVS commettono continue violazioni della privacy?

Torniamo nuovamente sull’operato di AIVS (l’associazione «anti-sette» nata più di recente, luglio 2016, ed alleata con il CeSAP di Lorita Tinelli e Luigi Corvaglia), perché qualche loro discussione degli ultimi tempi ci ha indotto a focalizzare l’aspetto della privacy di coloro che essi hanno nel mirino.

Il 5 maggio scorso, su uno dei gruppi Facebook di AIVS compare questo post pubblicato da un’attivista (i nomi completi sono stati nascosti per rispetto degli interessati):


Lo Stefano Martella di cui parla è un apostata dei Testimoni di Geova abbastanza conosciuto perché militante da una ventina d’anni fra le fila di coloro che osteggiano il movimento (infatti il suo nome l’abbiamo lasciato perché già trattasi di personaggio pubblico e d’altronde lo avevamo citato in un precedente post oltre ad averlo inserito nella pagina con l’elenco degli esponenti «anti-sette»).

In buona sostanza, la Bertulu di AIVS ha notato il suo ingresso nel gruppo Facebook dell’associazione e si domanda se abbia qualcosa a che fare con dei devoti della Soka Gakkai di sua conoscenza.

Un amministratore di AIVS interviene, correttamente, precisando che si tratta di un’omonimia. Lo stesso non fa però un’altra attivista del gruppo «anti-sette» con sede a Potenza, la romana Paola Moscatelli più volte citata di recente perché senza dubbio la più veemente nelle sue esternazioni contro la religione che ha professato per anni (un esempio in questo post). Ecco la sua uscita (anche qui nome e luogo sono stati oscurati):


Che ci azzecca la citazione di una persona che nulla ha a che vedere con il nuovo arrivato Stefano Martella? A che pro? Si vuole solo fare sfoggio di conoscenze di singoli individui «colpevoli» di professare (assieme a molti altri) un certo credo religioso o – per definirlo come la signora di Roma – delle «porcate»? Che diritto ha la Moscatelli di offendere le convinzioni di un’altra persona, citandola con nome e cognome su Facebook e indicando la sua appartenenza religiosa?

Non si dimentichi che tale informazione ricade completamente sotto l’intestazione di «dati sensibili» in base alla normativa sulla privacy. E ciò che a nostro parere dovrebbe far riflettere è che non vi è alcuna ragione per una tale menzione da parte della Moscatelli, ha invece tutta l’aria di una rappresaglia emotiva.

Forse perché consapevole dell’imbarazzo di tipo legale, interviene Toni Occhiello:


«Era ora!» avremmo detto: sarebbe stata infatti la prima volta di un intervento deciso da parte di Occhiello per moderare uno dei suoi gruppi Facebook, sempre gonfi di volgarità, cattiverie e malauguri.

Ma il commento non è stato rimosso. A distanza di ben oltre due settimane, sia il post sia il commento qui sopra riportati sono ancora dov’erano prima.

A nulla sono valse le perplessità espresse persino da altri accoliti di AIVS, come questa utente della quale sentiamo di condividere completamente il parere:


La ragione? L’intervento pubblicato due giorni più tardi da un altro amministratore delle pagine di AIVS, Luciano Madon, che la pensa così:


Il «ragionamento» è: gli altri rispettano la privacy? Siccome noi siamo contro di loro, allora facciamo l’opposto.

Sarebbe come dire: «siccome noi siamo interisti e ce l’abbiamo a morte con gli juventini, mentre loro si astengono dal venire alle mani, noi invece li massacriamo di botte; e ci riteniamo legittimati in pieno perché i cattivi sono loro!».

Si può considerarlo un modo di ragionare adulto e coscienzioso? A nostro parere, decisamente no.

Quasi a voler dimostrare che la politica di AIVS è di mettere in piazza i fatti privati degli altri, ecco che all’indomani della dichiarazione d’intenti di Madon viene pubblicato un post di un fedele della Soka in cerca di conforto spirituale e amicale per un grave infortunio dal quale si sta riprendendo:


Inutile dire che i commenti al post sono per la maggior parte all’insegna dello scherno e del disprezzo.

I più puntigliosi obietteranno che è stato l’interessato il primo a mettere su Facebook la propria foto e certamente non si potrebbe dar loro torto. Ma chi autorizza AIVS (un’associazione che fa della pubblicità una delle proprie attività principali) a riprendere il suo post e a pubblicarlo senza alcun consenso e (quel che è peggio) con l’aggiunta di offese e infamie varie nei suoi confronti e nei confronti della sua congregazione?

Ma d’altronde: «Noi facciamo l’esatto contrario [del rispettare] la privacy!», aveva dichiarato Madon.

Tant’è che spifferare i fatti altrui sembra essere diventata un’attività prevalente. Lo stesso giorno di quel «manifesto AIVS contro la riservatezza dei dati» veniva caricato su YouTube l’intervista amatoriale alla stessa Moscatelli, che informazioni private non ne lesina affatto (curiosità: notare come il post viene subito condiviso da Giovanni Ristuccia, esponente «anti-sette» di Novara):


E infatti la condotta di altri membri AIVS conferma in pieno quanto dichiarato da Madon, e si potrebbe dire a 360 gradi, come mostra per esempio questo post scritto da uno dei più recenti amministratori di quello stesso gruppo Facebook:


Anche le informazioni di carattere sanitario e psichiatrico sono da considerarsi «dati sensibili», ma l’attivista che ha scritto quel post ne fa sfoggio quasi fossero un vanto.

Insomma, per l’ennesima volta ravvisiamo in questa associazione «anti-sette» un comportamento a nostro parere non solo ai limiti del lecito, ma anche beffardamente e spavaldamente vantato come tale.

Ci auguriamo che coloro i cui diritti stanno venendo lesi in tal senso, ne intraprendano la tutela presso le opportune sedi.

domenica 20 maggio 2018

Il business «anti-sette»: Luigi Corvaglia, il CeSAP e la ricerca di potenziali clienti

di Mario Casini

Modificando un po' l'abitudine del blog, in questo post partirò dal quesito conclusivo: il CeSAP è davvero un «centro studi» oppure è una sorta di associazione «di facciata» che opera a livello mediatico e propagandistico per generare una domanda commerciale e poi passare i potenziali clienti ai propri associati e partner che erogheranno loro delle prestazioni a pagamento?

Una domanda insolita?

Qualcuno sarà forse rimasto sbalordito, qualcun altro indignato, chi più di spalle larghe, invece, indifferente.

Eppure quest’interrogativo che da un po’ ci stiamo ponendo (si vedano ad esempio questo, questo o questo post, oppure i post su Michelle Hunziker), e che gli «anti-sette» non ci stanno affatto aiutando a fugare, si fa largo in modo sempre più ingombrante nella nostra visuale del grottesco teatrino di gruppi che osteggiano le piccole minoranze religiose.

Sin dall’inizio dei lavori di questo blog mi sono domandato: cui prodest? Perché costoro fanno tutto ciò? Perché diffondere odio e allarmismo ogni santo giorno? Perché sfruttare qualunque occasione possibile per stigmatizzare il tale o talaltro movimento religioso non convenzionale e quindi portare avanti la controversa e sbugiardata teoria del «lavaggio del cervello» o «manipolazione mentale» e continuare a fare pressione sulla politica perché ripristini il reato fascista di plagio? Perché seguitare a parlare di «culti distruttivi» quando di fatto gli unici casi accertati di reato riguardano fattispecie già ben presenti e consolidate nell’ordinamento giuridico e individui che (ahimè) si macchiano di determinati fatti criminosi a prescindere dalle proprie asserite convinzioni spirituali?

Ebbene: più andiamo avanti a denunciare le incongruenze e incoerenze degli «anti-sette», più li osserviamo con attenzione, più seguiamo i loro interventi pubblici, più conferme troviamo della nostra teoria (che comunque – è doveroso precisarlo – non possiamo ancora considerare completamente confermata).

Solo ultimo in ordine cronologico, è stato un seminario che abbiamo visto pubblicizzare a più riprese da Luigi Corvaglia e Lorita Tinelli del CeSAP e, seguenti a ruota, da Sonia Ghinelli di FAVIS, questo:


Tralasciamo il fatto che il seminario ha visto una partecipazione abbastanza scarsa (circa 25-30 persone a in totale, inclusi gli amici dei relatori e gli organizzatori, a fronte di una capienza complessiva della sala di almeno il doppio dei posti) da parte della popolazione locale (la città di Lecce conta poco meno di 95.000 abitanti, circa 800.000 con la provincia) e concentriamoci sui contenuti, così come sono stati relazionati da una TV locale:


La solita minestra: lavaggio del cervello, tecniche di persuasione, sette abusanti, ecc. Nient’altro se non il trito e ritrito repertorio «anti-sette» riproposto anche in quest’occasione.

La giornalista, nel servizio, parla di una «visione nuova, inedita e laica» ma evidentemente nemmeno lei (tanto quanto il direttivo del Cefass) ha approfondito alcunché dei temi presentati e delle tesi portate avanti dal CeSAP, che sono in fin dei conti sempre le stesse.

Forse l’unico asserto un po’ diverso dai soliti è il fatto che le persone facenti parte dei «movimenti religiosi alternativi» (o delle «sette», per usare il termine tanto caro a chi ha buon gioco ad infangarli) portano avanti «due vite»: sembra quasi vogliano dare a intendere che chi segue un credo «non tradizionale» abbia una «doppia vita» (concetto che naturalmente richiama tinte fosche e attizza fantasie morbose). Sarà anche una «visione nuova, inedita e laica», ma a me pare solo l’ennesima trovata buona a mettere in cattiva luce chi non la pensa come loro.

Ma ciò che desidero focalizzare nel presente post, è un passaggio dell’intervista a Luigi Corvaglia:


Ecco spuntare fuori il filone del business.

Per parafrasare in modo schietto e un po' umoristico:
Sei un «Arancione»? allora sei malato, vieni da me così ti curo.
Reciti ogni mattina per mezz’ora un mantra buddista? stai mettendo a dura prova i tuoi neuroni, devi farti vedere da uno specialista.
Frequenti dei seminari full-immersion per l’autostima con il guru di una disciplina olistica? fa’ attenzione, sei a rischio di plagio e presto verrai isolato dal mondo intero! fissa subito un appuntamento con il CeSAP per una consulenza.

Francamente lo trovo patetico: queste persone non stanno facendo nient’altro che sfruttare la notorietà sempre crescente e dilagante dei nuovi movimenti religiosi per carpire la loro luce riflessa, identificare la loro presenza come allarmante e pericolosa, spaventare più possibile la gente con casi di reato (veri o presunti) che con la religione o la spiritualità hanno ben poco a che fare, stabilire un legame fra i fatti criminosi e quei movimenti, e poi piazzarsi sotto i riflettori proponendosi come «soluzione al problema».

Per raggiungere un tanto subdolo obiettivo, manipolano le statistiche e forniscono cifre incongruenti, ripropongono teorie screditate al limite della pseudoscienza, conducono campagne sui media tanto sistematiche quanto fuorvianti e sfruttano episodi del passato gravissimi e sconcertanti (ma di sicuro appeal psicologico) come l’eccidio del Tempio del Popolo senza però raccontarne tutte le verità storiche.

Ecco quello che fanno in realtà: cercano di procurarsi clienti.

E nel caso di Corvaglia, ciò apre un ulteriore panorama di interrogativi, se teniamo conto che lo psicologo del CeSAP è anche un dipendente dell’ASL di Bari. Ma di questo ci si occuperà prossimamente.

Consapevole di tutto ciò, subito dopo aver visto il servizio televisivo in questione, sono stato preso dal disappunto per una così sonora caduta di stile di un centro studi che all’apparenza sembrava tanto stimato ed apprezzato dai suoi utenti.

Ho quindi voluto esprimere il mio parere in proposito lasciando una recensione sulla loro pagina Facebook:


Per tutta risposta, mi sono ritrovato poche ore più tardi un messaggio alla mia pagina Facebook che, al di là della comprensibile e più che legittima contestazione del mio parere da parte del Cefass, si concludeva con la solita, immancabile minaccia velata di ritorsioni legali (che vorrei tanto pubblicare ma non faccio solo perché si tratta di un messaggio privato e quindi, per rispetto, mi astengo).

Tutto ciò non fa che concorrere ad avvalorare la mia impressione che gli «anti-sette» stiano semplicemente cercando di «tutelare» (come una bestia feroce fa con la propria preda) il proprio business, in quanto psicologi o consulenti, da presunti «rivali» che essi riterrebbero di individuare in persone, come me e molte altre, che esprimono la propria opinione (contraria alla loro) o che portano avanti un messaggio differente e non tendenzioso, come i principali studiosi di religiosità alternativa.

sabato 19 maggio 2018

Aggiornamento breve - fra continue difficoltà, prosegue la questua di AIVS

Mentre vi abbiamo appena raccontato della singolare incongruenza legata alle iniziative legali di AIVS (cui ancora non abbiamo trovato una spiegazione), rileviamo una contestuale fiaccarsi, almeno apparente, delle loro attività.

Dalla pagina Facebook di AIVS, Luciano Madon sembra voler ancora ostentare sicurezza di sé e vigore, ma il suo appello non riesce a non far trapelare una certa spossatezza:


Ci suona strana l’affermazione «occorrono testimonianze», quando Toni Occhiello e i suoi hanno lasciato intendere di essere a capo di intere orde di fuoriusciti con tanto di dente avvelenato e mirabolanti testimonianze da schiaffare sul tavolo di qualche magistrato. Bontà loro, sarà solo questione di tempo perché possano venire svelate a tutti i comuni mortali. Per il momento, si è solo assistito a qualche video amatoriale sconclusionato e a qualche intervista televisiva priva di qualsiasi circostanza atta a considerarla attendibile e degna di approfondimento.

Notiamo invece con soddisfazione la correttezza di quanto si era sinora detto di recente nel presente blog, ossia che AIVS è di fatto composta non da «numerosi personaggi» come si legge sul loro sito istituzionale, ma da tre amici (i succitati Madon e Occhiello più Francesco Brunori detto «Italo») e una mezza dozzina di simpatizzanti.

A giudicare dal malcontento quasi rassegnato di Madon, la loro questua (di cui abbiamo dato conto precedentemente in questo, questo e questo post) non deve aver fruttato sufficientemente, nonostante le «cifre da capogiro» che secondo loro rappresenterebbero i fuoriusciti dai movimenti religiosi a loro invisi, cifre che a sentire Occhiello supererebbero addirittura la quantità dei facenti parte. Non ci sembra di poter dire che i riscontri qui presentati confermino quella tesi.

Insomma, AIVS fatica a tirare avanti e persino alcuni dei loro più accaniti sostenitori (già due solamente nel seguito del post che abbiamo riportato qui sopra) per quanto esprimano buone intenzioni in proposito, non sembrano essere ancora riusciti a privarsi di qualche cena al ristorante o di qualche serata al cinema per racimolare i 20 o 30 Euro necessari ad associarsi ad AIVS o al suo «Gold Club».


Sarà riuscita a raggranellare un po’ di spiccioli per i suoi compagni di avventura? Con un po’ di misericordia, non possiamo che augurarglielo.

venerdì 18 maggio 2018

Gli «anti-sette» di AIVS gettano il sasso e poi ritraggono la mano?

Indispensabile precisazione preventiva: diversamente dal solito, in questo post riferiamo dei fatti che ci sono giunti solo parziali esponendo un interrogativo che potrebbe rivelarsi, nelle premesse, completamente erroneo.

Abbiamo scelto di pubblicare ugualmente il presente post, rincuorati da una delle ultime dichiarazioni pubbliche di AIVS (sigla «anti-sette» italiana con sede a Potenza) a proposito della loro asserita «disponibilità ad un confronto pubblico» (che peraltro ancora non abbiamo visto tradursi in concreto) perché non escludiamo che possano giungerci delle spiegazioni o delle rettifiche dall’associazione di Toni Occhiello, Luciano Madon e Francesco Brunori detto «Italo».

In assenza di chiose da parte loro, potremo solo ritenere valida la nostra interpretazione dei fatti.

Veniamo al dunque.

Il 1° Maggio scorso, Luciano Madon pubblica due distinti post su una delle pagine Facebook di AIVS, preannunciando il fatto che l’associazione si stava occupando di far partire delle cause legali per ottenere denaro dalla Soka Gakkai sotto forma di richieste di risarcimento per i presunti danni a loro cagionati dai responsabili della comunità religiosa, nel periodo in cui essi la frequentavano.

Qui un breve stralcio esemplificativo di uno di quei post:


Apriamo un inciso. Forse saremmo troppo di parte se ipotizzassimo che queste dichiarazioni d’intenti somigliano all’annuncio di avviare una campagna di «stalking giudiziario». La perplessità rimane, motivata non solo dall’ambiente e dal contesto in cui viene formulato l’annuncio, ma anche dalla constatazione del considerevole tempo trascorso (in taluni casi, parecchi anni) da quando questi apostati della Soka Gakkai hanno abbandonato il movimento. Non potrebbe trattarsi di uno stratagemma di guadagno alle spalle di chi aveva offerto loro un cammino spirituale che poi essi hanno scelto di non proseguire?

Tant’è che, galvanizzato da una tanto rosea prospettiva, fa capolino da Novara Giovanni Ristuccia (un altro «anti-sette» amico di AIVS del quale abbiamo parlato tempo addietro) per salutare con favore la loro iniziativa:


Un’azione che «darà maggior respiro»: in che senso? Forse è a conoscenza delle loro difficoltà gestionali?

Lasciamo irrisolto questo interrogativo e proseguiamo col nocciolo della questione.

Di fatto, ciò che Madon sta preannunciando è una causa (o, meglio, una serie di cause) per danni, dunque (presumibilmente) delle citazioni in giudizio presso un tribunale civile intese ad ottenere dei risarcimenti in denaro.

Ciò che leggiamo nemmeno 24 ore più tardi sulla stessa pagina Facebook, pare confermare tale ipotesi:


Un tanto trionfale annuncio viene seguito a ruota dalle chiose di (crediamo) Toni Occhiello:


E ancora, a voler fugare ogni dubbio, Occhiello (crediamo, sulla base dello stile ampolloso) specifica:


Per comprendere meglio ciò che sta dicendo Occhiello con il suo entusiastico annuncio, abbiamo svolto un minimo di approfondimento, come farebbe un cittadino qualunque non qualificato in materia legale.

AIVS parla di una denuncia depositata. Vediamo che cos’è una «denuncia»: «atto formale informativo, facoltativo o obbligatorio, con il quale si dà notizia alla competente autorità di un reato perseguibile d’ufficio». Un altro dizionario definisce il vocabolo come «termine con cui si indica la comunicazione rivolta da privati, pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio all'autorità giudiziaria circa un fatto di reato».

Collegando le affermazioni di Madon e di Occhiello, però, riteniamo in realtà che essi stessero facendo riferimento, più propriamente, ad un atto maggiormente finalizzato come la «querela», ovvero una «dichiarazione di volontà con cui la persona offesa da un delitto richiede all'autorità giudiziaria di procedere contro chi ha commesso il fatto, perciò sostanziandosi in una condizione di procedibilità, dalla quale la legge fa dipendere la perseguibilità di determinati fatti criminosi».

La distinzione fondamentale fra una «denuncia» e una «querela» è  dunque la precipua volontà di far perseguire un fatto che si ritiene illecito e si relaziona come tale all’autorità competente.

Così stando le cose, non dovremmo che attenderci quindi il responso della magistratura: o archivierà la querela, oppure la attiverà svolgendo delle indagini.

Quello che però vediamo solo pochi giorni più tardi, è un video amatoriale diffuso da AIVS con una sorta di «intervista» (di fatto una chiacchierata in un bar registrata con un telefonino) al termine della quale si legge:


… con tanto di «E» maiuscola, un esposto. Non una denuncia o una querela, ma un esposto.

Cosa cambia ciò?

Vediamo il significato della parola.

Un «esposto» è uno «scritto in cui si espongono situazioni o ragioni proprie dell’esponente a un’autorità amministrativa, o in cui sono portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria o di polizia determinati fatti perché l’autorità stessa adotti, se del caso, i provvedimenti di sua competenza: presentare, inoltrare un e. al ministero».

Questo cambia un po’ le cose.

Non una querela, che solitamente viene depositata da un avvocato il quale ha ricevuto un formale incarico normalmente retribuito e dietro versamento di un anticipo a titolo di fondo spese; non un atto recante una esplicita richiesta di rinvio a giudizio. Ma un esposto, ossia una sorta di lamentela ufficiale che non richiede necessariamente l’attivazione di un legale competente e lascia tutto in mano all’autorità giudiziaria.

Eppure Madon aveva anche scritto: «Insieme ad alcuni legali stiamo visionando materiale per poter dimostrare che [i responsabili del movimento] ci hanno truffato», ecc. Hanno trovato delle prove? Se così fosse, non avrebbero potuto depositare una querela chiara e distinta con degli addebiti ben precisi a carico di persone chiaramente identificate?

Ecco perché ci domandiamo: come mai tanto tam tam su denunce, richieste di risarcimento danni, ecc., e poi invece di una querela propriamente detta, redatta e depositata in modo professionale, tutto si riduce a un esposto?

Insomma: gli «anti-sette» di AIVS gettano il sasso e poi ritraggono la mano?

giovedì 17 maggio 2018

Contributo esterno: la vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)

Recentemente Lorita Tinelli, nel corso del webinar organizzato dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia, dal titolo «Sette: analisi psicologica dei meccanismi di affiliazione e affrancamento» (di cui si è ampiamente parlato sul presente blog in un primo post, poi ancora in un secondo e in un terzo), ha portato alla nostra attenzione alcuni esempi di movimenti a carattere «settario» (o presunto tale), descrivendone caratteristiche a suo dire allarmanti e paragonandoli a gruppi divenuti famosi nella cronaca nera mondiale per eccidi e stragi di massa terribili.

Uno dei gruppi citati dalla Tinelli è il «Peoples Temple» o «Tempio del Popolo».

Il nostro contributore – per così dire – esperto in affari esteri ha voluto riprendere in esame il tema (che aveva peraltro già lambito in un suo precedente pezzo) ed approfondirlo in modo dettagliato. L’articolo che segue affronta l’argomento dimostrando la totale infondatezza di paragoni come quelli ipotizzati dalla psicologa pugliese e, finalmente, fornisce elementi concreti per poter formare un’opinione super partes su quei tragici eventi.

Un avvertimento: questo resoconto non è per lettori di stomaco debole.


martedì 15 maggio 2018

Gli «anti-sette» di AIVS promuovono il razzismo contro le minoranze etniche?

Già in precedenza avevamo dato conto di alcune avvisaglie di razzismo da parte di Toni Occhiello e della sua associazione «anti-sette» denominata AIVS: per esempio, quando Occhiello si era lanciato in una singolare ma completamente erronea interpretazione di alcuni vocaboli nipponici (interpretazione strumentale ai suoi scopi propagandistici nei confronti del movimento religioso che egli osteggia a ogni piè sospinto, ma rivelatasi falsa) sfruttata per criticare aspramente un’intera nazione come il Giappone, ricchissima di cultura e dalla saggezza millenaria. D’altronde, la sua ostilità rispetto a quella cultura è stata da lui esplicitata a più riprese.

O ancora, sin dai primordi degli exploit mediatici della neonata associazione, quando Luciano Madon (braccio destro di Occhiello e gestore delle pagine Facebook di AIVS) si era cimentato in un giudizio sociologico sulla «manipolazione mentale» a suo dire prerogativa degli «zingari». Un’esposizione dialettica (a nostro avviso) di una superficialità degna solo dei peggiori discorsi da bar, che riproponiamo qui:


Qualche giorno fa abbiamo notato un’altra chiassosa militante di AIVS, Paola Moscatelli, fare riferimento ai Rom in modo alquanto tranchant (il contesto è una discussione nata a proposito di Papa Bergoglio, la stessa di cui si parlava in questo post):


Un’altra utente interviene manifestando perplessità sul coinvolgere i Rom in un post contro tutt’altra religione:


Notare la replica immediata e senza ripensamenti della Moscatelli. Ma non finisce qui: l’altra utente cerca di farla ragionare introducendo concetti di buon senso e una punta di solidarietà, ma a quanto pare fallisce miseramente:


Quindi i Rom meno abbienti sono «colpevoli» di ricevere, in piena legalità, degli assegni sociali: non entriamo qui nel merito della polemica politica al riguardo e se sia giusta o meno la linea del welfare del Comune di Roma.

Ci limitiamo a osservare il livello dialettico e la superficialità mostrati da questa sostenitrice di AIVS, che si palesa ulteriormente nell’ultima replica alla sua interlocutrice:


In tutta franchezza, a noi pare un atteggiamento da asilo infantile o, nella migliore delle ipotesi, una mentalità «a compartimenti stagni». Brilla, fra l’altro, per l’assoluta mancanza di autocritica.

È fuori discussione che i tre o quattro soci responsabili di AIVS (o, come amano definirsi loro stessi tramite il sito istituzionale, i «numerosi personaggi»), assieme alla mezza dozzina dei loro seguaci militanti, hanno il sacrosanto diritto di formarsi, conservare ed esprimere pubblicamente delle proprie opinioni nei confronti di qualsivoglia minoranza etnica. Noi stessi saremmo i primi a difendere tale prerogativa (la libertà di espressione) che è nostra tanto quanto loro tanto quanto lo è degli stessi immigrati che calcano la nostra terra. Mentre certi «anti-sette» come Lorita Tinelli sembrerebbero voler limitare tale diritto inalienabile, noi ne siamo dei ferventi sostenitori.

Non contestiamo, quindi, il fatto che i seguaci di AIVS o i loro «personaggi» (responsabili) si esprimano in maniera sprezzante nei riguardi dei Rom piuttosto che dei Sinti o dei Giapponesi. Poniamo piuttosto l’accento sul fatto che simili discorsi sono anzitutto completamente avulsi dalla materia che essi dovrebbero trattare, inoltre rappresentano una palese contraddizione rispetto alle loro stesse dichiarazioni d’intenti, non solo statutarie («L’associazione (…) persegue finalità di solidarietà sociale»), ma anche a più riprese affermate su Facebook come quella di Kathy Aitken riferita in questo post («ipersensibile a qualsiasi affermazione discriminatoria») o del già citato Madon («intendo massimamente rispettare le opinioni di chiunque»).

L’altro aspetto che rileviamo, in discussioni come quella riportata qui sopra, è l’assoluta assenza di una moderazione ragionevole da parte dei «personaggi» (responsabili) di AIVS: l’impressione che danno è che tutto sia lecito finché si sparla di altri, ma quando qualcuno osa muovere delle critiche, è subito a rischio di ostracismo.

Insomma, rispettare e non discriminare sono nobili intenti: a parole... ma quanto AIVS li persegue con i fatti?

lunedì 14 maggio 2018

Gli «anti-sette» di AIVS e la loro «democrazia totalitaria»

Abbiamo voluto utilizzare, nel titolo, un’espressione un po’ provocatoria (per la precisione, un ossimoro) perché ci pare che contraddistingua bene il clima nel quale operano gli «anti-sette» di AIVS e nel quale devono abituarsi ad interagire gli utenti che vi si iscrivono.

Neanche un mese fa abbiamo raccontato come in AIVS sembri vigere una sorta di dittatura da parte dei tre amministratori (Toni Occhiello, Luciano Madon e Francesco Brunori, che si fa anche chiamare «Italo», «Italo Brunori» e «Italo Tobruk»). Una dittatura che esclude qualsiasi apporto o contributo di senso contrario a quello espresso dai loro post, e guai a chi osa contraddirli!

Non finiamo mai di stupirci per la maniera speciosa e obiettivamente contraddittoria con cui da un lato cercano di darsi una veste di serietà e di professionalità, dall’altra usano modi spesso minacciosi, talvolta offensivi, a tratti volgari, in certi casi intimidatori, e comunque tutt’altro che tolleranti, senza contare che le loro informazioni sono sovente per nulla accurate.

Ecco cosa dichiaravano appena una ventina di giorni fa sulla loro pagina Facebook istituzionale:


Un confronto pubblico con quanti si mostrassero perplessi? Vediamo cosa è successo con uno di questi, nella fattispecie un utente che ha espresso una critica nei confronti della Chiesa Cattolica commentando una lettera al Papa scritta da Francesco Brunori nel tentativo di seminare zizzania ed impedire le attività interreligiose fra Chiesa e Soka Gakkai.


Un commento non perfettamente allineato? Non sia mai! Ecco subito salire in cattedra Toni Occhiello:


Ne consegue un botta e risposta nel quale Occhiello fa una sorta di «terzo grado» all’utente e questi risponde senza timori ad ogni domanda, difendendo il suo diritto ad esprimere la propria opinione.


Ma all’ennesima reiterazione della domanda «perché sei qui?», l’utente comincia a manifestare qualche perplessità.


Immediata la replica di Occhiello, che all’insegna del miglior «complottismo» di marca «anti-sette», comincia a insinuare il sospetto che la libera espressione dell’utente sia una sorta di «trama» anti-AIVS:


E nonostante la risposta (schietta ma tutto sommato pacata) e chiarificatrice dell’utente, Occhiello oramai sembra essere partito per la tangente e ha additato il «lebbroso» che deve essere «epurato» dal suo gruppo di «eletti», tanto che la replica lo mette definitivamente alle corde:


L’epilogo? Lo si può già vedere dalla colorazione del nome dell’utente (grigio scuro), che mostra che è stato escluso dal gruppo. Ovviamente, come tutte le altre voci fuori dal coro in AIVS, anche lui è stato tolto dal gruppo e non ha più potuto esprimere la propria opinione. Nemmeno ha potuto replicare alle ingiurie in cui si è poi lanciato Occhiello una volta assicuratosi che il suo interlocutore fosse stato messo alla porta:


«Fuck you son of a bitch», «fannullone da bar»… ulteriori commenti sarebbero superflui.

Tutto questo quando il commento originale dell’utente rispetto all’iniziativa di Brunori, in sintesi, era stato:


Discorso simile a quello che facevamo in un recentissimo post a proposito di Lorita Tinelli del CeSAP, un’associazione che si propone addirittura referente di una sigla europea contro i «culti distruttivi», la contestata e discussa FECRIS: con una mano mostrano il baluardo del «diritto di cronaca», con l’altra mano fanno di tutto per tacitare i loro detrattori in modi che rasentano l’intimidazione.

Questi sono gli «anti-sette» di AIVS e CeSAP, che riteniamo mirino direttamente ai fondi europei dell’orbita FECRIS, se abbiamo interpretato correttamente le parole della Tinelli, a proposito del denaro, di cui abbiamo dato conto in un precedente post che tanto li ha messi in agitazione.

domenica 13 maggio 2018

Aggiornamento breve - gli «anti-sette» di AIVS fanno «dossieraggio»?

Siccome Lorita Tinelli, in un post su Facebook di alcuni giorni fa, ha espresso delle lamentele da melodramma (che abbiamo debitamente commentato) e, fra le altre cose, ci ha indebitamente accusati di «dossieraggio», ci pare il caso di mettere in luce qualche fatto concreto a tale proposito.

A dire il vero, avevamo già accennato a questo tema in un post di qualche settimana fa, ma riteniamo necessario ritornarvi.


Cominciamo anzitutto a capire di che cosa stiamo parlando: individuiamo il significato del vocabolo adoperato dalla psicologa pugliese (a nostro parere completamente a sproposito), «dossieraggio»:


Forse la Tinelli si riferiva alle attività a più riprese annunciate da Toni Occhiello, come in questo commento?


Oppure si riferiva ai propositi evidenziati dal braccio destro di Occhiello e gestore delle pagine Internet di AIVS, Luciano Madon in quest’altro commento?


Anche ammesso per ipotesi (ma decisamente non concesso) che quel «combatterli» sia un intento nobile, nella nostra Repubblica è previsto che vi siano degli enti preposti sia a svolgere indagini, sia a sanzionare con la legge gli eventuali comportamenti illeciti commessi dalle persone.

Quindi, chi autorizza Madon e i suoi compari a compilare dei «dossier»?

Si badi bene che il post in calce al quale è stato scritto quel commento (la data è il 10 maggio scorso) parla di «testimonianze» afferenti non solo alla sfera religiosa, ma anche a questioni familiari, situazioni di tipo medico e sanitario o addirittura psichiatrico, problematiche finanziarie, ecc. Insomma, tutte cose che vanno a toccare informazioni strettamente riservate sulle persone coinvolte, delle quali però Madon insiste a gran voce che si facciano nomi e cognomi.

Non è questo, quindi, dossieraggio? Non è questa una condotta a rischio di diffamazione?

venerdì 11 maggio 2018

Gli «anti-sette», Lorita Tinelli e la libertà di parola proibita

Abbiamo colto, negli ultimi giorni, delle reazioni scomposte e frenetiche da parte dei principali esponenti «anti-sette» italiani e di alcuni loro accaniti sostenitori, specialmente da quando abbiamo analizzato e commentato il webinar di Lorita Tinelli del 18 Aprile scorso, mettendone in luce la superficialità e la scarsa professionalità soprattutto in paragone con il lavoro svolto da altri studiosi realmente qualificati).

Su tutte, una di queste reazioni ci ha colpito maggiormente perché ci sembra esemplificare, in modo davvero emblematico, non solo la forma mentis complessiva degli «anti-sette» (che in questo blog tanto dettagliatamente documentiamo), ma anche la loro apparente indisponibilità (o incapacità?) a dialogare in modo costruttivo, oltre che la loro scarsa conoscenza dei diritti fondamentali delle persone. Per inciso, vorremmo davvero che si trattasse solo di scarsa conoscenza, e non – come temiamo che sia – di mancata accettazione o mancato riconoscimento di quei radicali diritti.

Fra le prerogative fondamentali di un cittadino italiano (e, per la verità, di qualsiasi abitante del mondo) vi è quella che si chiama «libertà di espressione»: questo diritto è garantito non solo dalla Costituzione della Repubblica Italiana nell’articolo 21 («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»), ma anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, che all’articolo 19 così recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione».

Vediamo di essere schietti ma obiettivi: cosa facciamo con questo blog? Riprendiamo post, articoli, commenti e dichiarazioni da parte di personaggi pubblici (come essi stessi tengono a sottolineare e spesso vantano), diffusi tramite televisioni, stampa, pagine Facebook (accessibili a chiunque detenga un profilo), ecc., e le mettiamo in relazione con altri elementi oppure le commentiamo secondo il nostro pensiero, stimolando riflessioni, esprimendo critiche e traendo conclusioni.

In altri termini, non facciamo nient’altro se non esercitare la nostra libertà di parola, rivendicare il nostro sacrosanto diritto di manifestare un’opinione e accendere i riflettori su quello che per noi è un problema grave ed allarmante.

Tutto questo cercando di non mancare di rispetto, comunque senza mai scadere nella volgarità o nell’offesa personale o nell’infamia, ed accertandoci sempre della veridicità di ciò che scriviamo, inoltre restando sempre disponibili a delle rettifiche laddove eventualmente commettessimo degli errori. Infatti, finora abbiamo registrato solo tre casi di errore su un totale di centodieci post e abbiamo provveduto a correggere tempestivamente le inesattezze (comunque non determinanti ai fini del tema o del messaggio che volevamo veicolare).

Mentre, quindi, noi diamo per scontato di essere in democrazia, agli «anti-sette» questo pare non star affatto bene; forse vorrebbero maggiori facoltà di censura?

Lo abbiamo denunciato già molte volte e costituisce una delle maggiori contraddizioni insite in chi osteggia i «nuovi movimenti religiosi»: essi accusano le «sette» di tacitare i propri membri e di proibire il libero pensiero, ma poi sono proprio loro a intimidire i loro critici o i loro presunti rivali con modalità quanto meno discutibili, quando non con delle vere e proprie persecuzioni giudiziarie.

Ma veniamo al dunque, ossia alle reazioni che abbiamo notato: qualche giorno fa, Lorita Tinelli se la prende (tanto per cambiare), con il principale gestore di questo blog, il nostro Mario Casini, che con un epiteto (a nostro parere calunnioso) ella definisce «stalker»:


Tralasciamo le pure e semplici offese che, caso mai, sono indice dello stato d’animo in cui versa la psicologa (dalla quale, però, come minimo ci si aspetterebbe un po’ meno melodramma e un po’ più di serietà professionale) e vediamo il nocciolo delle accuse.

Con questo post tanto lamentoso e carico di risentimento, la Tinelli sostanzialmente si lagna del fatto che Casini:
1) ha riportato una citazione dell’Antico Testamento,
2) ha scritto tre e-mail (nell’arco di oltre tre settimane) all’Ordine degli Psicologi,
3) ha pubblicato dei commenti su un tot di pagine qua e là in Internet manifestando le proprie idee (notare come nell’iperbole tinelliana diventino «centinaia» di pagine quando saranno sì e no qualche dozzina).

Di nuovo, in altri termini, Mario Casini ha commesso il grave e riprovevole atto di esercitare la propria libertà di parola.

Si noti come la Tinelli, a parte offendere («psicopatico»), mettere in cattiva luce («grafomane», «l’idea che la gente si fa di lui», «non ha una vita soddisfacente») e affibbiare un’etichetta («stalker», «dossieraggio»), non è affatto in grado di evidenziare una condotta illecita vera e propria con circostanze ben precise.

A quanto pare, secondo la Tinelli l’espressione del proprio parere o il commento non compiacente delle affermazioni pubbliche propalate da lei o dai suoi colleghi «anti-sette» è automaticamente «stalking».

Ci torna in mente il fatto che una studiosa di spiritualità, ex collaboratrice del CeSAP, qualche anno fa nel blog in cui raccontava (con dovizia di particolari e documenti) dei costosi attacchi subiti proprio da parte della Tinelli, ha parlato di «stalking giudiziario».

Tutto ciò ci lascia con la netta impressione che il nostro lavoro di informazione puntuale e di costante aggiornamento sul variegato e contraddittorio panorama degli «anti-sette» italiani stia dando sempre più fastidio a coloro che non paiono voler modificare i propri comportamenti discriminatori.

Forse ora è un po’ più chiara, ai lettori, la ragione per cui ci sentiamo costretti a tutelare, mantenendole riservate, le identità di coloro che collaborano con questo blog, con l’unica eccezione di Mario Casini che ha scelto, forse un po’ spavaldamente, di usare il proprio nome e il proprio profilo Facebook (sarà la «lieta furia dei suoi vent’anni»?).

Anche nei commenti al post evidenziato, la Tinelli prosegue la propria lamentela, tentando di ostentare una superiorità che però viene immediatamente tradita dal pensiero appena successivo, rivolto ad una delle vittime della persecuzione giudiziaria montata proprio da lei ai danni del gruppo Arkeon (ne abbiamo dato conto ancora agli inizi di questo blog):


Di nuovo, la lagnanza della psicologa pugliese colpisce un po' a casaccio ed è riferita al puro e semplice fatto che Casini ha scritto dei messaggi ad altre persone a lei collegate, essendo dotato di favella e potendo godere di libertà di parola. Sembra quasi che la Tinelli abbia difficoltà a comprendere la realtà dei fatti.

Tali affermazioni, inoltre, denotano una scarsa comprensione delle questioni legali (nonostante la Tinelli vanti spesso di essere consulente di magistrati e della polizia religiosa «anti-sette», oltre che referente - con la sua associazione CeSAP - della controversa organizzazione francese FECRIS) visto e considerato che si fa uso della parola «stalking» in modo decisamente fuori luogo: come si spiegava prima, infatti, riprendere su un blog quel che la Tinelli scrive o dice commentandolo molto civilmente anche se in maniera diametralmente opposta, non è certamente stalking, semmai è esercizio della libertà di parola, di pensiero e di critica. Insomma, la Tinelli pare avere un concetto molto personale e restrittivo di queste libertà costituzionalmente garantite.

Un commento successivo fa anche trapelare l’intento velatamente intimidatorio e il ricorso alle autorità, per ragioni evidentemente futili, al fine di tacitare chi osa non pensarla come lei:


A dire il vero, il riferimento a fantomatici sistemi di «criptatura» (che in italiano si direbbe «crittografia» o «cifratura») ci fa pensare che il commento della Tinelli sia un clamoroso bluff, dato che non utilizziamo alcun mezzo di quel genere. Ma soprassediamo lasciando a chi lo desidera tutto lo spazio per coltivare un avvincente immaginario da fiction.

Per non parlare poi dei riferimenti (anch’essi fuori luogo) ai possibili rischi che lei o i suoi familiari potrebbero correre («a causa» del presente blog, di qualche e-mail e di qualche decina di commenti in Facebook a fronte delle migliaia e migliaia che vengono pubblicate ogni secondo): hanno tutto l’aspetto dell’ipocrisia, una via di mezzo tra un tentativo di mantenere alto il gradimento da parte dei suoi seguaci (un sorta di «captatio benevolentiae») e un voler mettere le mani avanti, nell’eventualità di guai personali, per poter prendere di mira qualcuno anche se completamente estraneo ai fatti.

Eppure, in questo blog non vi è niente che inciti all’odio e alla violenza, caso mai è vero l’esatto contrario!

Invece, stando alle cronache e agli episodi che registriamo e raccontiamo di volta in volta, l’inveterato allarmismo degli «anti-sette» ha gravemente danneggiato numerose persone.

Rimane comunque divertente leggere i commenti dello striminzito gruppetto di accoliti della Tinelli che cercano di asciugarle le lacrime: in fin dei conti sono una decina scarsa di utenti e assommano a meno di una trentina di «Mi piace»: forse che le innumerevoli (e discutibili) comparsate alla TV di stato non hanno prodotto granché in termini di notorietà?