lunedì 13 agosto 2018

Gli «anti-sette» e l’illegalità: il «dossieraggio» e l’interferenza nella vita privata

di Mario Casini


Già in precedenza abbiamo documentato dei chiari indizi dell’attività di «dossieraggio» posta in essere da taluni esponenti «anti-sette», in particolare Toni Occhiello, esponente di AIVS, ultima nata fra le associazioni «anti-sette» italiane e spalleggiata da Lorita Tinelli del CeSAP (sigla che non solo si dichiara referente della polizia religiosa «SAS», ma è anche una consociata della FECRIS, la controversa ONG europea che combatte la spiritualità non convenzionale).

Quasi per caso, navigando qua e là al rientro dalle ferie, mi sono imbattuto in una breve serie di post pubblicati fra aprile e maggio 2017 sulla pagina Facebook di una collega proprio di Lorita Tinelli, la psicologa Ornella Minuzzo di Marostica (VI), già candidata vicesindaco del blasonato comune vicentino alle ultime elezioni:


Il post inneggia al GRIS, gruppo cattolico estremista presente nelle principali curie su tutto il territorio nazionale che combatte la religiosità «alternativa», e lo presenta come «unica associazione impegnata in questo campo» (addirittura), il che già di per sé denota un’evidente inesperienza nel settore dal momento che di organizzazioni di rilievo nazionale attive nel contrasto ai nuovi movimenti religiosi ve n’è almeno tre o quattro, e si conoscono reciprocamente.

Ma ecco l’esordio del post in questione, datato 15 maggio 2017:


La prima cosa che ho notato è – di nuovo – l’incursione del tutto indebita di una psicologa in un campo di conoscenze vasto e specialistico come quello della religione, della sociologia e della spiritualità, superficialmente impacchettato ed etichettato con la nomea stigmatizzante di «culti distruttivi», facile ghetto dialettico ben studiato per incasellare sin da subito intere comunità confessionali in un loculo nel quale possano essere più agevolmente prese di mira dalle tirate denigratorie. Inoltre – di nuovo, e malignamente – all’ambito della spiritualità viene associato il fumoso, vago concetto di «manipolazione mentale»; concetto che, come si è documentato precedentemente in questo blog, riporta a teorie ampiamente screditate (vedere qui e qui) in ambito accademico la cui citazione oramai, per gli «anti-sette», è diventata una sorta di autogol.

Proseguendo nella lettura e facendomi largo fra il coacervo dei soliti anatemi propagandistici, pregiudizi allarmistici e generalizzazioni superficiali, ho potuto scorgere una sezione – se possibile – ancora più inquietante perché mostra in maniera quanto mai evidente come l’ideologia «anti-sette» militante induca davvero all’ostilità nei confronti di coloro che possano essere in qualche maniera classificati come «sospetti» o «ambigui».

L’intero post di Ornella Minuzzo è piuttosto corposo ed articolato e meriterebbe senz’altro un approfondimento assieme agli altri tre della sequela, tuttavia in questo mio contributo vorrei concentrarmi solamente su un singolo aspetto e rimandare a più avanti la critica puntuale delle rimanenti sezioni, che da un lato sfiorano il grottesco per la loro incoerenza e dall’altro suscitano persino qualche sorriso (per quanto amaro).

Prendo quindi in considerazione questo interessante passo, di cui sottolineo qualche riga:


Proviamo a ripassare un momento il significato del vocabolo «dossieraggio» citando un dizionario autorevole: «attività di raccolta di informazioni riservate e scottanti su personaggi in vista, da usare in genere a fini di ricatto».

Si potrebbe questionare sulla finalità di ricatto, apparentemente non esplicitata nel post della Minuzzo, ma non la si potrebbe escludere dato che già lo spauracchio della querela può risultare relativamente intimidatorio, specie nei confronti di chi sta soltanto cercando di professare il proprio credo proclamandolo ampiamente e coinvolgendo più persone possibile.

Anche al netto dell’eventualità che il «personaggio» vittima della «raccolta di informazioni riservate e scottanti» sia particolarmente «in vista», rimane il fatto che la Minuzzo esorta a tenere traccia scritta ed accurata di quelle informazioni che afferiscono a tutti gli effetti ad ambiti personali e affatto privati.

Condotta, quella caldeggiata dalla psicologa vicentina, che ricorda anche un’altra fattispecie di reato descritta dal codice penale, la «interferenza illecita nella vita privata» (art. 615 bis), che così recita: «chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni».

Il 615 bis prevede anche: «alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo». Il che è esattamente quanto Ornella Minuzzo consiglia di fare a genitori e parenti di persone che abbiano fatto una scelta religiosa ritenuta «discutibile»: ossia passare le informazioni (personali e riservate) ai mass media così che si possa «informare» la massa su questioni del tutto private, con nomi e cognomi.

In parole povere, la psicologa pensa che se un papà e una mamma sono preoccupati – dopo aver visto in TV l’ennesima, roboante trasmissione in cui si grida all’allarme contro le «sette» – perché un loro figlio ha appena abbracciato la fede buddista Soka Gakkai (o ha deciso di trascorrere una settimana presso la comunità Damanhur, o sta leggendo libri di Osho Rajneesh o segue regolarmente degli incontri di Scientology), la soluzione sta nel fare in modo che loro si fingano gentili e amorevoli, spillino più informazioni possibile al ragazzo sul gruppo di cui fa parte, le tengano registrate per benino, corredino il tutto con qualche opuscolo o volantino della congregazione, confezionino per bene il «resoconto» facendosi aiutare dal GRIS o da qualche altra associazione «anti-sette», e alla fine corrano a spifferare l’intera storia a qualche giornalista per uno splendido «scoop».

Un rimedio collaudato? Chissà, forse per le tasche del giornalista e per la popolarità dell’esponente «anti-sette» di turno. Ma – io credo – non certo per la disarmonia di quella famiglia e per la conflittualità fra genitori e figli.

Lasciatemelo dire chiaro e tondo: queste metodologie da delatore non sono soltanto palesemente immorali, sono anche ai limiti del lecito (secondo i succitati riferimenti normativi) e sono un invito alla devastazione dei rapporti fra familiari. E di casi concreti in cui ciò è avvenuto ve n’è a iosa, purtroppo.

Mi auguro che la psicologa Ornella Minuzzo sia sufficientemente indaffarata nel risolvere i problemi psicologici della sua clientela, piuttosto che nell’istigare tumulti nelle famiglie di chi abbraccia una fede non tradizionale… proprio lei, che come candidata vicesindaco avrebbe assunto le deleghe alla cultura e ai servizi sociali!

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