domenica 14 ottobre 2018

«Sbatti il mostro in prima pagina»: la propaganda «anti-sette», il caso di Mario Pianesi e l’occultamento di testimoni «scomodi»


Torniamo a parlare del caso di Mario Pianesi (nella foto) e dell’associazione «UPM» (Un Punto Macrobiotico), del quale ci siamo occupati in precedenza (qui, qui, qui e qui) sin dall’esplodere, lo scorso marzo, del linciaggio mediatico nei loro confronti in pieno stile da propaganda «anti-sette» appositamente strutturata per sottoporre i malcapitati a una sorta di giudizio sommario senza contraddittorio né appello e già destinato a concludersi con un’impietosa condanna.

Appena due settimane fa (l’ultima di settembre scorso), i media di mezza Italia hanno diramato la conturbante notizia che Pianesi è sotto indagine non più soltanto per le vicende legate alle diete e all’alimentazione macrobiotica della sua corrente nutrizionale, ma addirittura per la morte della ex moglie deceduta niente meno che diciassette anni fa (settembre 2001).

Riesumare un evento tanto tragico per incolpare proprio chi più ne era stato colpito (perché maggiormente vicino alla defunta) ha tutto l’aspetto di un accanimento, non solo giudiziario ma anche (e soprattutto) mediatico. Sembra quasi parte di un progetto, di una macchinazione.

Somiglia tanto alla storia mirabilmente raccontata nel lontano 1972 da Marco Bellocchio nel suo film capolavoro, interpretato da un formidabile Gian Maria Volontè, di cui nel nostro blog di quando in quando prendiamo a prestito il titolo, «Sbatti il mostro in prima pagina» (qui una recensione):


Senza alcuna velleità complottista e attenendoci alle sole prove a disposizione, l’unico dato di fatto sinora sono le indagini in corso e i capi d’accusa. Per il momento, non vi è nessun colpevole e nessun condannato, a prescindere dalla quantità di conclusioni affrettate, insulti da stadio e giudizi offensivi che si sono letti qua e là in Internet e nei commenti agli articoli diffusi dai mass media.

Sembra tutto? Non lo è.

Vi è infatti un’altra porzione dello scenario che rimane occultata alla vista, a nostro avviso del tutto volutamente.

Ci riferiamo a interviste, testimonianze, proteste e repliche del tutto ignorate da quella stessa stampa che ha pubblicato titoloni spaventevoli e pruriginosi: voci che si sono levate in difesa non tanto di Mario Pianesi, quanto piuttosto della verità dei fatti e della cronologia degli eventi, persone indubbiamente ben informate che hanno tentato di raccontare una versione differente di come si sono svolte le cose.

Ci riferiamo anche ad articoli che sono misteriosamente scomparsi da Internet ed a commenti che sono stati rimossi (censurati); tutto materiale che avrebbe consentito quanto meno di ponderare dei fatti o dei pareri diametralmente opposti alla versione strombazzata dai giornali e poi ripresa ed amplificata dai chiassosi megafoni «anti-sette».

Ma procediamo con ordine e portiamo un primo esempio:



Questo è il titolo di un articolo di «Cronache Maceratesi» che al momento è ancora disponibile sul Web nel quale vengono riportate le dichiarazioni di Marco e Matteo Pianesi, figli dell’indagato leader di UPM, i quali, indignati per la deplorevole strumentalizzazione della vicenda della loro madre defunta, sono intervenuti così:

«La situazione è infamante (…) Si sta parlando di nostra madre, abbiamo vissuto al suo fianco la sua malattia e il suo dolore, giorno dopo giorno. Nessuno più di noi conosce la verità. Sentiamo il bisogno di difenderne la memoria anche se questo vuol dire far riemergere un passato doloroso. Mai avremmo pensato di doverne parlare a 17 anni di distanza»


Nell’articolo, che va letto con attenzione per coglierne tutti gli aspetti salienti in relazione alle infamanti accuse che sono state mosse a Mario Pianesi, vengono esposti alcuni fatti difficilmente confutabili per i quali, fra l’altro, i due giovani e coraggiosi orfani della madre hanno prodotto della documentazione.

L’aver «segregato» la moglie, averle imposto con la coercizione un regime alimentare errato, aver impedito che seguisse cure mediche adeguate, aver fatto riesumare la salma per occultare le prove (dodici anni dopo il decesso… sic!): per ciascuna di queste accuse i due ragazzi hanno portato testimonianze dirette e documenti.

«Nostra madre era una persona libera che ha portato avanti la filosofia che aveva scelto, lei e nostro padre non meritano tutte queste calunnie, prenderemo provvedimenti legali affinché emerga la verità.»

Tornando ora al troncone iniziale dell’inchiesta penale a carico di Mario Pianesi, verso la fine di aprile scorso i sostenitori dell’associazione UPM, nel lodevole tentativo di contrastare l’ondata di fango sui media di tutto il paese, avevano lanciato una petizione per mettere in luce le anomalie emerse sulla stampa. Ben 3.649 (tremilaseicentoquarantanove) persone hanno firmato la petizione, che al momento è ancora possibile leggere online sul sito «change.org».

Fra i diversi elementi sui quali quella petizione accendeva i riflettori, vi era questo:

«La seconda omissione riguarda una coppia che è alla base di queste denunce, Mauro Garbuglia e la moglie Wanda. Non è stato detto che lui è stato sotto processo per alcuni atti commessi quando lavorava per l’associazione Un Punto Macrobiotico. Non ci sembra un particolare di poca importanza, questa coppia è stata espulsa dall'associazione.»

Ecco di nuovo – come già molte (troppe!) volte si è ravvisato in casi di propaganda «anti-sette» – emergere il ruolo degli «ex appartenenti» al gruppo o all’associazione: nel caso di una confessione religiosa si direbbe «apostati», e come si è descritto in un recente post citando lo studio del prof. Bryan Ronald Wilson, le loro dichiarazioni sono normalmente viziate e vanno recepite con molta cautela perché difficilmente attendibili. È vero che nel caso di UPM non si ha a che fare con un gruppo religioso, tuttavia il meccanismo è lo stesso e risente delle medesime sollecitazioni.

Cercando online qualche articolo o qualche riferimento a proposito di quell’inchiesta a carico di Garbuglia e moglie, si rimane però sbalorditi quando si scopre che non vi è più nulla e che il materiale precedentemente online è svanito. A parte la succitata petizione di UPM, l’unica menzione di quei fatti l’abbiamo rinvenuta in questo tweet:


Doveva ad esempio esservi un articolo sul «Corriere Adriatico» che parlava del caso di Mauro Garbuglia e del processo a suo carico per una «catena di Sant’Antonio» illecita ma, come si può notare dall’istantanea che segue , quel materiale non è più accessibile nemmeno in versione «cache»:


Tornando alla petizione online di UPM, anch’essa andrebbe letta per intero perché solleva altri spunti di discussione che meriterebbero attenzione. Fra questi, il dato dei 90.000 (novantamila) iscritti, i progetti di innegabile interesse ed utilità sociale, gli attestati di stima ricevuti dal Presidente della Repubblica e gli altri numerosi riconoscimenti in varie parti del mondo, la dubbia consistenza dell’accusa di aver tentato di lucrare sugli associati, ecc.

Eppure, malgrado gli accusatori di Mario Pianesi si contino sulle dita delle mani mentre i suoi sostenitori sono (come minimo) migliaia, non sembra che a queste voci sia stato dato ascolto. Di certo non li hanno degnati di alcuna attenzione i mass media che tanto brutalmente hanno vociferato ai suoi danni e – temiamo – continueranno a farlo ai prossimi giri di boa dell’inchiesta, a meno che le indagini non diano esiti negativi e accertino l’innocenza degli accusati.

Ai posteri l’ardua sentenza, come scrisse un illustre poeta d’altri tempi.

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