martedì 30 ottobre 2018

La vera storia del «Tempio del Popolo»: business della morte, il documentario di Leonardo Di Caprio

Pensavamo di aver concluso la serie sulla ricostruzione storica del massacro di Jonestown in Guyana e la confutazione della falsa storia «anti-sette» del «suicidio di massa». Ci sbagliavamo.

Infatti, con l’approssimarsi del triste anniversario dei quarant’anni dall’eccidio, ecco gli avvoltoi mediatici pronti a sfruttare quella tragedia per fare cassa. E come sempre i presunti esperti italiani del panorama «anti-sette» sono lì a seguirli e a dar loro manforte nel protrarre la mistificazione della verità.

Di nuovo, puntuale, l’analisi di Epaminonda non si è fatta attendere e ci fornisce elementi utili a capire a quale fenomeno meschino ci troviamo di fronte.

Per un più rapido riferimento, riepiloghiamo tutti i post precedenti della serie su Jonestown:

- [16 Maggio 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (un compendio)
- [6 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (il massacro comandato)
- [12 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» («anti-sette» sbugiardati)
- [22 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (quale «lavaggio del cervello»?)
- [24 Giugno 2018] La vera storia del «Tempio del Popolo» (una strage politica)





di Epaminonda


IL BUSINESS DELLA MORTE E
IL NUOVO DOCUMENTARIO DI LEONARDO DI CAPRIO


Sappiamo da tempo che alcuni media vivono propagando cattive notizie e allarmismo. Troviamo spesso iniziative mediatiche che lucrano sulla morte altrui. Purtroppo questo è il caso del celebre attore hollywoodiano Leonardo Di Caprio che ha co-prodotto un documentario sul massacro dei Peoples Temple.

La pellicola, intitolata “Jonestown: Terror in the Jungle” (Jonestown: terrore nella giungla) si propone di ricostruire, a 40 anni di distanza, quel che “veramente è accaduto”; è stata realizzata per Sundance TV, un canale televisivo statunitense a pagamento che in origine si occupava di documentari, ma ora si è spostato prevalentemente sulla “reality TV”. In pratica un canale da “Grande Fratello” dove si riproducono situazioni di vita comune con attori non professionisti e una buona dose di pettegolezzo.

Persino Di Caprio ci ripropone ancora una volta la solita teoria, mai comprovata, del suicidio di massa a base di cianuro. Fulcro del documentario è il libro “The Road to Jonestown – Jim Jones and the Peoples Temple” scritto dal giornalista Jeff Guinn e pubblicato lo scorso aprile.


Guinn sostiene di aver raccolto le informazioni in maniera minuziosa, di aver visitato i luoghi e di aver incontrato le persone che ebbero contatti diretti con Jim Jones, il capo della comunità dei Peoples Temple. Ci dipinge Jim Jones come un artista della truffa e un impostore, il che non mi sorprende affatto perché anch’io ho documentato i suoi legami con FBI e CIA, in qualità di informatore e di agente operativo sul campo (basandomi su reperti ufficiali e ricerche indipendenti oltre che sulle indagini governative più recenti: basta vedere in alto i miei diversi contributi di questa serie).

Ho anche ampiamente documentato l’evoluzione politica del personaggio e le orribili pratiche da lui condotte sulle “cavie” della comunità di Jonestown. E nella mia ricerca ho constatato due fatti ormai acclarati: non esistono prove che possano sostenere un suicidio di massa a base di bibita al cianuro, come invece Guinn vorrebbe riproporci, ma semmai esistono numerose evidenze e testimonianze che indicano un massacro attuato con armi da fuoco e iniezioni letali.


Consapevole di rimestare nel torbido e di riproporre menzogne già sbugiardate, Guinn cerca di prevenire eventuali critiche con l’espediente del virgolettato.

Nella presentazione del nuovo documentario troviamo quindi due frasi rivelatrici:


A quel tempo [riferendosi al novembre 1978, la data dell’eccidio], ci fu una notevole copertura stampa dell’incidente, con alcune pubblicazioni che marchiarono l’evento come “suidicio di massa”. Mentre i sopravvissuti di Jonestown – il nome dell’insediamento di questo culto in Guyana – lo etichettarono “omicidio di massa”.

L’autore ammette perciò di sposare la tesi mediatica dell’epoca, in seguito smentita e modificata dalle testimonianze, ma non del tutto, così da assumere una parvenza di parzialità. Al tempo stesso cerca di classificare la versione dell’omicidio di massa come il frutto delle menti “evidentemente malate” degli ex adepti di Jim Jones.

Quel che non ci dice, però, è che il primo a dire che si fosse trattato di omicidio fu Leslie Mootoo, medico legale della Guyana a quel tempo, che fu tra i primi ad arrivare sul luogo del massacro e a constatare la presenza di iniezioni letali sui cadaveri. Mootoo non può di certo essere considerato un “adepto” del “culto” come lo definisce Guinn. Inoltre il nostro giornalista investigativo si dimentica di rilevare che non sono mai state trovate tracce della famosa bevanda a base di cianuro che costituisce il fondamento dell’intera opera di “ricostruzione”.

Ma Guinn è convinto che non sia necessario fornire alcuna prova. La sua minuziosa, dettagliata e zelante ricostruzione della vita di Jim Jones, delle sue stranezze e delle sue follie, ci deve bastare. Se è vero che Jones era il diavolo incarnato, com’è stato dipinto dai media, allora anche tutte le altre teorie balzane proposte dalla stampa dell’epoca devono essere altrettanto vere.

Più che un giornalista, Guinn si qualifica quindi come matematico che usa la proprietà transitiva al posto di un valido lavoro di ricerca. E in questo senso ci piace ricordare le parole scritte da Tim Carter, uno dei pochi testimoni ad essere stati vicini alla carneficina e una delle “star” di un altro documentario rilasciato da poco sulla vicenda.


I assert that the vast majority of those who died in Jonestown that day were murdered.
I will break down those whom I consider to be murdered, beginning with the group of people who were forcibly injected with poison. This is a historical fact that no documentary or film has yet chosen to discuss or even portray. In every interview I’ve ever given, I’ve spoken about the bodies that I personally saw with abscesses. And yet, that fact is never reported.
Could it be that this reality is left out of media portrayals because it doesn’t fit neatly into the “mass suicide” argument?

Dichiaro che la vasta maggioranza delle persone morte a Jonestown sono state assassinate.
Inizierò col suddividere coloro che considero assassinati, cominciando dal gruppo di persone a cui fu praticata a forza un’iniezione di veleno. Si tratta di un fatto storico che nessun documentario o film ha mai deciso di discutere e nemmeno di rappresentare. In tutte le interviste che ho fornito, ho parlato di corpi con ascessi che ho visto di persona. E ciò nonostante, questo fatto non è mai stato riportato. Potrebbe essere che la realtà manca del tutto dalla rappresentazione fornita dai media perché non si adatta alla tesi del “suicidio di massa”?

È triste osservare come nemmeno Guinn e Di Caprio siano sfuggiti alla formula della mistificazione. E mi dispiace notare che, pur di far soldi, siano stati pronti a progettare rispettivamente un libro e un documentario che ricalcano sempre gli stessi cliché, certamente più sensazionali e “politicamente corretti” e quindi più adatti a suscitare orrore nell’audience senza pestare i piedi a nessuno.

Notiamo tuttavia un cambiamento nei toni di entrambi i progetti mediatici di cui abbiamo parlato di recente, quello di ABC News e di Sundance TV. Pur riproponendo la tesi ormai insostenibile del “suicidio di massa”, non possono oscurare le voci autorevoli che testimoniano l’eccidio di massa. Cercano semmai di sminuirle attribuendole, falsamente, agli ex-adepti del gruppo. Omettono di commentare che provengono per la maggior parte da altre fonti.

Perciò, a distanza di 40 anni, la memoria delle vittime viene ancora infangata con la peggiore delle macchie: la becera sordità di chi non vuol sentire né ascoltare.

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