[Modifica del 02/10/2018 - la fotografia precedente è stata rimossa]
Ci scusiamo con i lettori e con Sofia Mezzasalma per aver inizialmente utilizzato una fotografia sbagliata (peraltro diffusa da lei stessa tramite il proprio profilo Facebook) che abbiamo provveduto a rimpiazzare tempestivamente, non appena siamo stati resi edotti dell'errore.
Il video si intitola «Nel nome di Geova», dura poco meno di 59 minuti e contiene sostanzialmente le solite dicerie in stile «peste e corna» ed alcune «testimonianze» di ex fedeli, ovviamente cariche delle peggiori accuse e condite con storie strappalacrime e riferite da soggetti per la maggior parte occultati al fine di nascondere l’identità degli accusatori.
Si parla di individui che (alcuni per molti anni) hanno creduto e insegnato i testi sacri dei Testimoni di Geova, poi hanno cambiato idea e, pieni di livore e di astio, hanno cominciato a gettare fango addosso a coloro che fino a poco prima chiamavano «fratelli».
Non è strano; al contrario, è un fenomeno tanto peculiare e iterativo che è stato oggetto di studi da parte di esperti di religione, i quali hanno scandagliato le opportunità offerte dagli «ex membri» di rendere dei resoconti attendibili, scoprendo che un tale caso è alquanto raro se non impossibile.
«Il membro deluso, e l’apostata, in particolare, sono informatori le cui prove devono essere utilizzate con circospezione. L’apostata ha generalmente bisogno di giustificare se stesso. Cerca di ricostruire il suo passato, di scusare le sue affiliazioni precedenti e di biasimare coloro che erano stati i suoi colleghi più prossimi. Non è dunque raro che impari a fabbricarsi una “storia di atrocità” per spiegare come — attraverso la manipolazione, l’inganno, la coercizione o le frodi — è stato prima condotto ad aderire, quindi gli è stato impedito di abbandonare un’organizzazione che oggi disapprova e condanna. Gli apostati, le cui narrazioni sono sensazionalizzate dalla stampa, cercano talora di trarre profitto dalle loro esperienze vendendo i loro racconti ai giornali o pubblicando libri.»
Questo stralcio è desunto da un saggio dal titolo «Le dimensioni sociali del settarismo» scritto per Clarendon Press (Oxford) nel 1990 dal prof. Bryan Ronald Wilson (1926-2004), un insigne sociologo inglese già presidente della Società Internazionale di Sociologia della Religione.
È talmente vero che i racconti struggenti degli apostati sono da esaminare con estrema cautela, che persino Sofia Mezzasalma, posta di fronte ad alcuni dubbi di attendibilità da parte (addirittura!) di un detrattore dei Testimoni di Geova, a proposito di alcune affermazioni riproposte nel suo «documentario», risponde così:
E infatti, sono emblematici i primi fotogrammi del sedicente «documentario»:
«Non ho elementi sufficienti per dichiarare quella storia veritiera», però la include nel suo video che poi reclamizza sfruttando TV locali, Internet e Facebook. Forse per venderlo al miglior offerente, all’insegna del business «anti-sette» di cui abbiamo più volte denunciato la malevola prassi?
«La storia della signora sembrerebbe abbastanza coerente» (dichiara candidamente Sofia Mezzasalma), però viene adoperata per suffragare una linea ideologica atta a demonizzare un’intera minoranza religiosa composta da decine e decine di migliaia di persone!
Tutto questo dice davvero molto sulla «serietà» del lavoro svolto dalla Mezzasalma.
E sulla stessa falsariga, troviamo l’immancabile «contributo» della psicologa «anti-sette» Lorita Tinelli del CeSAP (referente italiana della controversa associazione europea FECRIS), una delle principali detrattrici dei Testimoni di Geova sul territorio italiano, sempre pronta a diffondere «notizie» odiose o dicerie contro di loro pescate qua e là per la rete o fra i suoi contatti.
Dice la Tinelli che nell'ambito di un movimento religioso (da lei solitamente definito «culto distruttivo») come il Geovismo «si comanda, si dirige, si gestisce la vita del singolo inividuo».
Una frase che ci ricorda molto un argomento che avevamo trattato in un precedente post nel quale abbiamo dimostrato come l’ideologia «anti-sette» si possa applicare anche alle religioni tradizionali come il Cattolicesimo ed altre. Basterebbe adattare l’asserto di Lorita Tinelli contro i Testimoni di Geova, riportato nel video qui sopra, a questo post di Giovanna Balestrino del GRIS:
Come si è già detto nel succitato post, non troviamo affatto alcunché di criticabile nel fervore religioso di Giovanna Balestrino e nella sua fede nella parola di Dio.
Al contrario, troviamo una forte somiglianza con il fideismo sul quale si fondano le credenze dei Testimoni di Geova, secondo cui la Bibbia non è un semplice libro religioso che «parla di Dio», ma un libro mediante il quale «Dio stesso parla»: è «la parola di Dio» (seconda lettera a Timoteo, capitolo 3, versetti 16-17); fideismo già profondamente denigrato proprio dalla psicologa pugliese Lorita Tinelli.
«Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.»
I Testimoni di Geova fanno notare come la locuzione «ispirata da Dio», secondo un dizionario biblico, sia la traduzione del termine greco «θεόπνευστος» («theòpneustos», letteralmente «alitato da Dio») e compaia nella Sacra Bibbia una sola volta, identificando chiaramente Dio come fonte prima ed autore unico delle Sacre Scritture. Per questa ragione i Geovisti aspirano a regolare la propria vita secondo gli insegnamenti che ivi sono esposti.
Quando si diventa Testimone di Geova, si è pienamente consapevoli delle regole cui si sceglie di sottostare; regole che la Congregazione professa quale emanazione della volontà di Dio espressa nelle sue Scritture e indi divulgata dai dirigenti dell’organizzazione.
Nei confronti di coloro che cambiano idea e si dissociano o intraprendono una condotta che li porta ad essere espulsi, i Testimoni di Geova applicano ciò che si legge sempre nella traduzione della Bibbia edita della CEI (prima lettera ai Corinzi, capitolo 5, versetti 11 e 13):
«Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolàtra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. (...) Togliete il malvagio di mezzo a voi!»
Liberamente si diventa Testimoni di Geova, liberamente si può cessare di esserlo, liberamente si può tornare a far parte della congregazione, liberamente si può scegliere di abbandonarla per sempre. In molti lo fanno, alcuni tornano, altri prendono strade diverse. Ma solo una minuscola percentuale di loro si lacera le vesti correndo in lacrime a vomitare la propria «storia» tragica a qualche TV. Perché allora i media strombazzano solo (o per lo più) le versioni di costoro?
E se dei «giornalisti» come «Le Iene» (o dei giovani aspiranti tali come Sofia Mezzasalma) vengono a conoscenza di presunti illeciti o reati gravi come abusi su minori e simili, perché non li denunciano loro stessi? Forse perché si tratta di storie che «sembrano abbastanza coerenti» (cfr. post sopra riportato) ma costoro non dispongono di «elementi sufficienti per dichiararle veritiere» ossia perché, detto più semplicemente, sono racconti del tutto autoreferenziali e senza prove? E se non denunciano loro, perché pretendono che debbano farlo altri nell’incertezza sulla veridicità di quelle «testimonianze»?
In definitiva, considerando da un lato lo scarso approfondimento delle questioni teologiche e dottrinali afferenti alla pratica religiosa dei Testimoni di Geova e dall’altro la superficialità nel ritenere attendibili certe «testimonianze» senza verificarle adeguatamente, il lavoro di Sofia Mezzasalma sembra più un maldestro, tendenzioso tentativo di sfruttare una campagna mediatica già esistente (quella dettata dall’ideologia estremista «anti-sette») per darsi un tono, per crearsi un audience o più semplicemente per guadagnare popolarità e (magari) anche del denaro.
Il solito business «anti-sette»?