martedì 28 novembre 2017

Gli «anti-sette» e la RAI: Pino Pisicchio, l’acrobata delle cause perse

A giudicare da quanto si legge e si apprende qua e là dalle cronache e dai notiziari, Pino Pisicchio sembra essere una sorta di «funambolo» del «camaleontismo politico»: pronto a sostenere qualsiasi causa o partito a condizione che gli permetta di conservare una comoda poltroncina in parlamento.



Dai seggi della Camera dei Deputati, nel corso di più legislature, Pisicchio ha presentato e ripresentato un disegno di legge per la reintroduzione nell’ordinamento giuridico italiano del «reato di plagio» (già facente parte del codice penale di epoca fascista e depennato nel 1981 dalla Corte Costituzionale). L’ultima proposta di legge, tuttora pendente, è la n. 190.

Membro della «Commissione bicamerale di vigilanza sulla RAI», fra le altre cose Pisicchio fa parte (in quanto consigliere per le relazioni istituzionali) della «Fondazione Italia USA», proprio come Monica Maggioni, attualmente presidente della stessa RAI, ed è altresì vicino a Bianca Berlinguer, volto ben noto di RAI 3.



Vediamo un po’: chi è Pino Pisicchio, sostenitore degli «anti-sette»?

Le sue acrobatiche peripezie sono tanto notevoli nella loro quantità quanto insulse nella sostanza, da aver richiamato l’attenzione di «Dagospia» già nel 2015, quando la nota rivista on-line di Roma mise in luce la carriera «poltronistica» di questo politico di professione.

Barese (di Corato), figlio di un parlamentare della Democrazia Cristiana, Giuseppe (detto Pino) arriva alla politica grazie al padre che lo fa entrare a Montecitorio già nel 1987, all’età di 33 anni. Grazie alla posizione di favore paterna, legata all’epoca alla cerchia di potere di Carlo Donat Cattin, Pino Pisicchio riuscì a restare in parlamento per cinque legislature di fila e a racimolare anche un paio d’incarichi governativi.

Ma con tangentopoli e la conseguente caduta della DC, ecco che inizia il vagabondare di Pino da un partito all’altro (e da un’ideologia all’altra).


Emblematico come non si assista a continue «conversioni politiche» né tantomeno a prese di posizione chiare e distinte da parte sua. No, si tratta semplicemente di un tempismo perfetto nell’abbandonare una nave che affonda per saltare lestamente su un’altra la quale però, dopo il suo arrivo, comincia subito a traballare. Perché, se dobbiamo dare credito a «Dagospia», Pino Pisicchio è un seminatore di zizzania: «Appena entra nella compagine di turno, Pisicchio è ammaliante, disponibile e fa incetta di incarichi. Appena si sente saldo, comincia invece a seminare zizzania e a pensare a se stesso (e ad Alfonsino in Puglia) per preordinarsi un’uscita, magari con altri, che gli consenta di trattare da posizioni di forza l’ingresso nel successivo partito».

Se invece non volessimo dare corda a «Dagospia», comunque rimarrebbero Giancarlo Perna a definire Pisicchio «l’uomo Rai che ha cambiato più partiti che camicie» (marzo 2015) e Marco Travaglio che lo ha descritto come «un frugoletto della politica che ha all’attivo più tessere di partiti che capelli in testa e cammina a fatica con la cadrega incollata dietro» (da «Il Fatto Quotidiano» del 29 Agosto 2010).

Insomma, un personaggio decisamente inquietante che altro non poteva essere se non il «padrino» politico dello sparuto e sgangherato gruppetto di «attivisti» (se non facinorosi) che da molti anni sta tentando di ripristinare il precetto penale, giudicato liberticida dalla Consulta, che dovrebbe punire le non meglio precisate condotte di «manipolazione mentale» da parte di sacerdoti, guru, leader spirituali, «counselor» e ministri di culto «non convenzionali».

Ma perché Pisicchio (che, si badi bene, ha traslocato da «Rinnovamento Italiano» alla «Margherita», dall’«Udeur» a Berlusconi e Tabacci-Rutelli, per corteggiare persino Antonio di Pietro), non cambia posizione sulla lotta ai nuovi movimenti religiosi? Forse per i suoi forti legami con l’Opus Dei e con un paio di atenei cattolici dove pure ha totalizzato una carriera inesistente?

E se proprio questa connessione fosse la ragione di tanto accanimento, l’astuto Pisicchio non si è mai accorto che proprio i suoi amici «anti-sette», volenti o nolenti, creano un clima sociale che mina alla base proprio tutti i movimenti di minoranza fra cui l’eccelsa congrega cattolica? (Ne relazionavamo in un nostro recente post.)

Difficile a dirsi. Possiamo nondimeno affermare, senza timore di smentite, che ovunque Pino decida di posare il suo piede, segue la disfatta. Questa è l’unica traccia indelebile e sicura del suo passaggio: qualsiasi movimento o iniziativa abbia sposato (per fini unicamente e biecamente personali, è quanto mai evidente), non ha fatto che crollare poco più tardi lasciando solo polverose macerie.

Con l’avvicinarsi delle nuove elezioni politiche del 2018, sarà istruttivo seguire le funamboliche migrazioni di Pisicchio per capire chi sarà ancora «sul pezzo» nella compagine politica del 2019.

Cercheremo di mantenere in vista l’argomento, se possibile anche affrontandolo da diverse angolazioni: sarà l’unico modo per riuscire a intercettare la trottola di traiettorie disegnata da uno tra i più sorprendenti camaleonti politici nella storia italiana.

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