mercoledì 3 gennaio 2018

Calunniatori, istigatori di odio e bugiardi: ecco gli «anti-sette»

Nel gergo di Internet si chiamerebbero «troll», vocabolo con cui s’intende «chi interviene all'interno di una comunità virtuale in modo provocatorio, offensivo o insensato, al solo scopo di disturbare le normali interazioni tra gli utenti».

Eccone un esempio:


Il rispetto della dignità altrui, il comportamento civile, il puro e semplice senso di responsabilità rispetto all’utilizzo di un mass media quale oramai è Internet: nulla di tutto ciò sembra far parte del bagaglio culturale di Toni Occhiello.

Al contrario, il criterio sembra essere «più cattiveria possibile, nella maniera più ad effetto possibile». Infatti, ecco un altro esempio di come cerca di strumentalizzare un tragico fatto di cronaca per attaccare la Soka Gakkai, una religione che conta centinaia di migliaia di fedeli in tutto il mondo: prende la notizia di un suicidio, riferita dalla stampa, per affermare (in maniera del tutto opinabile, se non propriamente calunniosa) che sarebbe «colpa» del movimento se la signora si è tolta la vita. Come se la quasi totalità dei suicidi, statistiche alla mano, non avvenisse fra persone battezzate (ossia la stragrande maggioranza degli italiani) e come se si volesse stabilire una fantasiosa relazione tra la quantità di messe e cerimonie cristiane frequentate da quelle persone nel periodo precedente al fattaccio.

Tutt’altro: Occhiello, con le solite parole molto pesanti e giudizi molto categorici, imputa la disgrazia al gruppo religioso di cui si riferisce che la signora faceva parte; poi, non contento, rincara la dose con ulteriori offese (più adatte a una bettola che ad altri contesti) e improperi.


Discorso simile per quest’altro post:


Ancora: se il tal seguace è deceduto, deve «certamente» essere «colpa» del movimento (anzi, il «culto distruttivo») del quale faceva parte, e per giustificare tale ipotesi accampa una fantasiosa, maliziosa teoria tutta da dimostrare:


Naturalmente, il prevedibile risultato dell’allarmismo di Occhiello si nota bene dal commento successivo: paura e rigetto del «diverso», specie se quel «diverso» è dipinto come un «mostro».

Passino le opinioni personali e persino le dietrologie (la libertà di parola è un diritto sacrosanto sancito dalla nostra Costituzione), ma le parole adoperate da Occhiello sono davvero forti e pronunciate con astio: questi post schiumano rabbia e sembrano scritti per terrorizzare e intimidire.

Ma oltre che volgare e calunnioso, il comportamento di Toni Occhiello sembra anche essere truffaldino: infatti, notiamo che è reticente a proposito della sua data di nascita.

Mentre in nessuno dei suoi scritti pubblicamente disponibili (inclusa la sua pagina Facebook personale) Occhiello sembra voler indicare il proprio anno di nascita, qui addirittura si legge che la sua classe è il 1962:


Eppure la vera data di nascita di Toni Occhiello è il 20 Novembre del 1951, come si evince da documenti ufficiali che lo riguardano e che si riferiscono alle sue passate (e fallimentari) attività cinematografiche:


Cosa si nasconde dietro a questo grottesco mistero?

Tanto per voler essere pignoli, abbiamo voluto sottoporre a verifica anche un’altra informazione spacciata dallo stesso Toni Occhiello: quella relativa alla sua qualifica presso la DGA, Directors Guild of America, una sorta di Albo dei Registi del paese a stelle e strisce. Ecco cosa Occhiello dichiara pubblicamente in proposito dal suo profilo Facebook:


Peccato che, almeno utilizzando lo strumento pubblico di ricerca messo a disposizione dalla DGA, di Occhiello non vi sia traccia (anche utilizzando le differenti possibili declinazioni del suo nome di battesimo). Se questa nostra superficiale verifica ha omesso qualche passaggio di cui potremmo non essere a conoscenza, siamo certi che l’interessato ce lo comunicherà ai fini di un’adeguata smentita.

Ma fino ad allora, di fronte a simili incongruenze e tanto beceri comportamenti, non possiamo che rinnovare il nostro inquietante interrogativo: quanto sono attendibili gli «anti-sette» come Toni Occhiello e i suoi stretti collaboratori quali Lorita Tinelli, Sonia Ghinelli, Maurizio Alessandrini, ecc.?

domenica 31 dicembre 2017

Aggiornamento breve - Oggi a me, domani a te

Come si è più volte denunciato (e si continuerà a denunciare) in questo blog, gli «anti-sette» generano rumore e allarmismo (fondato o meno, per loro non sembra essere molto importante) ai danni di gruppi da loro opinabilmente ritenuti «controversi» o «distruttivi», formulando sospetti e fomentando timori ingiustificati, tanto da arrivare a istigare accuse che si tramutano in indagini e processi, dei quali qualcuno finisce poi vittima.

Ne sono stati casi eclatanti il processo ai «Bambini di Satana», l’inchiesta contro i presunti «Angeli di Sodoma», la vicenda giudiziaria di Fiorella Tersilla Tanghetti additata come la «santona» del bresciano, il caso Arkeon ed altri tutti italiani, per non parlare delle tragedie di risonanza internazionale come il rogo del ranch di Waco (Stati Uniti) del 1993.

Quando a venire sbattuto in prima pagina come «mostro» di turno è un seguace di qualche culto religioso emergente o gruppo spirituale di minoranza, gli «anti-sette» calcano la mano, usano toni forti, lanciano anatemi, gridano allarmi e invocano l’intervento dello stato.

Quando invece è qualcuno dei loro  ad essere sotto accusa, allora diventano improvvisamente garantisti. Emblematico ed esemplare è, a tal proposito, il caso dello psichiatra anti-sette Marco Casonato, indiziato per l’assassinio del fratello dopo anni di litigi per una questione ereditaria. Ne avevamo accennato in un precedente post.

Attualmente Casonato è in prigione per motivi cautelari, tuttavia vale o dovrebbe valere, per lui come per ogni altro cittadino italiano, il sacrosanto principio che si è ragionevolmente innocenti fino a prova contraria.

Ecco come reagiscono gli «anti-sette» e i loro amici a una carcerazione ritenuta ingiusta:


«Il processo mediatico»? Ma guarda un po’, sembra proprio tale e quale ciò che avviene per i «culti distruttivi» ben prima che si possa accertare se hanno commesso qualche marachella o se qualche «ex» inacidito s’è inventato tutto.


Parole sante, non c’è che dire. Ma come mai costoro non insorgono anche quando un devoto di Sai Baba viene messo sotto accusa per aver «manipolato la mente» di qualche suo compagno di fede?


In linea di principio non possiamo che convenire: è ingiusto che una persona rimanga in carcere in attesa che la giustizia faccia il proprio corso, e se proprio ciò deve avvenire, dovrebbe limitarsi a un tempo brevissimo.

Ma perché Di Fiorino e i suoi amici non hanno protestato in modo simile quando a venire tranciati dalle affilate lame della macchina giudiziaria messa in moto dalla mitraglia mediatica «anti-sette» sono stati i quattro giovani pescaresi additati come gli «Angeli di Sodoma»?

Sarà forse una nemesi? Sarà da intendersi come karman?

Eppure anche don Aldo Buonaiuto è stato indagato per pedofilia. Sì, proprio il don Buonaiuto che si scaglia in modo tanto veemente contro le «sette», contro i criminali sessuali e contro gli sfruttatori della prostituzione: fu sotto inchiesta da parte della procura di Ancona all’inizio del 2004 per un’accusa di abuso sessuale ai danni di un minorenne.

In Internet ormai non vi è più alcuna traccia di quella vicenda giudiziaria, evidentemente alquanto scomoda per un prete che deve mantenere un’immagine irreprensibile; tuttavia, un lettore che era a conoscenza del caso ci ha mandato questo contributo:


In poche parole, anche don Aldo Buonaiuto, secondo giustizia, è stato innocente fino a prova contraria. Per l’accusa di pedofilia è stato infatti prosciolto il 29 marzo 2004 «perché il fatto non sussiste» in virtù del fatto che la testimonianza della presunta vittima fu ritenuta «totalmente inattendibile».

Nulla del genere per i seguaci dei nuovi movimenti religiosi: la loro reputazione dev’essere infangata e poco importa se un domani verranno riconosciuti innocenti; così sembrano voler ragionare gli «anti-sette» come lo stesso don Buonaiuto.

Due pesi e due misure, quindi?

sabato 30 dicembre 2017

Fiorella Tersilla Tanghetti, come costruire un «mostro» dal nulla

In questo post diamo conto del modus operandi degli «anti-sette», approfondendo in particolare il caso di Fiorella Tersilla Tanghetti, un’imprenditrice ingiustamente additata e sottoposta alla gogna mediatica come una «guru» dispotica e violenta, la «santona di Prevalle» (un paese della provincia di Brescia)

Anzitutto, un breve riassunto della vicenda: Fiorella Tanghetti è una donna d’affari bresciana che già intorno al 1992, nel pieno del proprio successo, aveva fondato un’associazione senza fini di lucro di matrice cattolica impegnata nell’attività di assistenza alle famiglie per l’alloggio e il recupero di ex tossicodipendenti. Si chiamava «Casa del Pellegrino». Successivamente si allargò e divenne la «Comunità Sergio Minelli», in seguito denominata Associazione Minelli onlus.

Nei primi anni 2000, l’associazione venne sottoposta al vaglio della magistratura per delle denunce da parte di ex ospiti della comunità: nel 2004 e nel 2006 furono svolte delle indagini approfondite per verificare dei presunti casi di maltrattamenti ed altre irregolarità, al punto che fu disposta una maxi perquisizione congiunta fra carabinieri e Guardia di Finanza, con tanto di elicotteri a sorvegliare i luoghi. Tuttavia, non solo non venne riscontrata alcuna irregolarità, ma le istituzioni locali continuarono a collaborare con l’associazione per portare avanti iniziative di assistenza sociale.

A scatenare quelle inchieste erano state delle denunce da parte dell’ex compagno della Tanghetti, il bergamasco Michelangelo Inverardi, e di un’altra signora che aveva vissuto nella comunità per diversi anni, tale Orietta Reboldi:


È il solito schema che si osserva pressoché ogni volta in cui un «culto» o un movimento «discutibile» viene preso di mira dai media o dai gruppi «anti-sette»: qualche ex seguace di un gruppo che ha una certa caratterizzazione religiosa lo abbandona e comincia ad opporvisi con sempre maggiore veemenza, fino a conseguenze conflittuali estreme.

Nel Dicembre del 2006, viene istituita la «Squadra Anti-Sette» (SAS) presso il Ministero dell’Interno. Ed ecco che meno di tre anni più tardi, nel 2009, di punto in bianco, viene riaperta l’inchiesta a carico di Fiorella Tanghetti e della «Comunità Sergio Minelli», sempre sulla base di quelle stesse testimonianze che erano già state oggetto di indagini. Un accanimento che ha evidentemente trovato terreno fertile nel solco della propaganda «anti-sette».

Infatti, ecco uno dei primi titoli che si leggono sui giornali locali bresciani:


Sin da subito, i legali dell’associazione commentarono: «Lagnanze di pochi soggetti inattendibili e animati da risentimenti e rancori, a fronte di centinaia e centinaia di persone che hanno fruito di vantaggi morali, materiali ed educativi dalle associazioni al centro dell’indagine».

Addirittura il sindaco del piccolo comune di provincia in cui ha sede la comunità spezzò una lancia in favore dell’associazione: «Quando la comunità arrivò a Prevalle era naturale che anche come amministrazione ci interrogassimo sulla sua attività. Con il tempo siamo riusciti non solo a conoscerli ma anche a rivolgerci a loro per la realizzazione di alcuni interventi in campo sociale e assistenziale. Sapevamo da tempo, perché coinvolti istituzionalmente, dell’inchiesta della magistratura e a nostra volta avevamo compiuto alcune nostre verifiche di tipo amministrativo. Da cui non è mai emerso nulla di irregolare».

Ma purtroppo, ad onta di un ragionamento tanto logico e chiaro come quello esposto dagli avvocati e dall’amministrazione locale, l’accento mediatico e il rimbombo dei titoloni segue sempre le accuse più infamanti: «alcuni ex ospiti hanno denunciato di aver subìto maltrattamenti e che un trattamento durissimo e spesso inumano sarebbe stato messo in atto nei confronti tanto di adulti quanto di bambini».

E naturalmente, già all’indomani, si mette in moto la macchina del fango «anti-sette» del CeSAP di Lorita Tinelli:


Ecco il solito titolo allarmistico, «la setta della porta accanto»: il massimo risalto viene dato alle accuse di parte, poco importa che siano ancora tutte da verificare, anzi, poco importa che accuse di quel genere siano già state accuratamente verificate in passato e si siano rivelate infondate. Al CeSAP è sufficiente riprendere pari pari l’articolo scandalistico di Carmelo Abbate pubblicato da «Panorama».

Una decina di giorni più tardi, l’allora consociata potentina del CeSAP, la fantomatica ed oggi scomparsa «Associazione Tutor» (di cui si parla in dettaglio nel blog «Pensieri Banali»), pubblica a sua volta una «notizia» sul caso Tanghetti riferendo che lo scandalo nasce appunto dall’inchiesta di Panorama:


E da lì in avanti è una escalation di titoloni scandalistici e roboanti che mirano a spaventare e fare sensazione:



Parole forti come «La comunità degli orrori»: di nuovo, viene dato ampio spazio a una dozzina di persone che protestano contro l’indagata Tanghetti (la quale, lo ricordiamo, andava considerata innocente fino a prova contraria):


Al contempo, fortunatamente, la stampa non può esimersi dal riferire anche che «le indagini sono state chiuse senza provvedimenti cautelari e non è ancora stato chiesto il rinvio a giudizio».

Nel periodo appena successivo, in risposta a una tanto pesante copertura mediatica, si mobilitano gli affiliati della comunità, peraltro ben più numerosi dei pochi scontenti che hanno ottenuto la riapertura del caso giudiziario:


La folla di aficionados della Tanghetti conta circa dieci volte le persone che le avevano manifestato contro.

Ma non solo: le loro dichiarazioni si sovrappongono completamente a quelle rilasciate dagli accusatori, perché si tratta degli stessi soggetti chiamati in causa proprio dai querelanti:


Ciò nonostante, sul sito del CeSAP non vi è traccia di tali dichiarazioni: in altri termini, la solita «informazione» (per modo di dire) tendenziosa e a senso unico.

Al contrario, di lì a poco gli «anti-sette» non mancano di ridare fiato alle trombe:


A dare un’ennesima dimostrazione che la «longa manus» dei gruppi «anti-sette» è ben presente ed attiva anche in questo caso dietro alla macchina del fango contro la «Comunità Sergio Minelli», è l’unico commento lasciato in calce a questo articolo e scritto da Maria Pia Gardini (ora defunta), rappresentante della famigerata ARIS («Associazione per la Ricerca e Informazione sulle Sette»), una sigla del tutto in linea con l’operato di FAVIS e CeSAP:


Infatti, il commento porta avanti la fumosa teoria del «plagio» e dei relativi progetti di legge, un cavallo di battaglia non solo dell’ARIS ma anche di Lorita Tinelli, Sonia Ghinelli e Maurizio Alessandrini.

Sotto una tale pressione mediatica, persino la Diocesi di Brescia abbandona la Tanghetti al proprio destino: con un comunicato ufficiale del 21 febbraio 2011, la Curia prende le distanze dalla «Comunità Sergio Minelli» e dichiara di non averla mai ufficialmente riconosciuta; addirittura, mette in guardia «davanti al pericolo di ogni indebita mescolanza tra sacro e profano».

Tanto per non smentirsi, il CeSAP non manca di dare risalto a quest’ultima notizia, mentre non c’è traccia sul loro sito della manifestazione con cento persone a favore dell’accusata:


D’altronde, Lorita Tinelli ha tutto l’interesse a fomentare l’allarmismo e il terrore di realtà non di immediata comprensione come la comunità nata per iniziativa di Fiorella Tanghetti: infatti, è proprio grazie a quel can can sulla stampa e in TV che lei riesce ad ottenere interviste e «contributi» a riviste come «Viver Sani & Belli». Pubblicità gratuita per la sua attività di psicologa e più punti a favore della sua nomea di «esperta»:


E pensare che in gennaio del 1994 fu presentata addirittura un’interrogazione parlamentare per sbloccare la macchina burocratica a causa della quale stava venendo impedita la realizzazione di una comunità di recupero per tossicodipendenti, gestita dalla «Casa del Pellegrino».


Insomma, ecco come un’imprenditrice di successo che si tanto impegnata nel sociale facendo del bene a centinaia di persone è stata trasformata nel Mengele di Prevalle, solo ed esclusivamente sulla base delle testimonianze di «ex» inviperiti e grazie al battage mediatico dei soliti «anti-sette».

Conclusione dell’inchiesta? Ne parlavamo in questo post: dopo quattro anni di processi fino al massimo grado di giudizio, la Tanghetti è stata prosciolta da tutte le accuse più infamanti, dalla riduzione in schiavitù al sequestro di persona; lo stesso è avvenuto per l’imputazione di associazione a delinquere a capo della comunità, in parte per intervenuta prescrizione e in parte perché, come si è già detto, erano già state svolte delle indagini che non avevano accertato alcun illecito.

Addirittura, ne è scaturito un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani nel tentativo di ottenere, se non un risarcimento danni, almeno il riconoscimento dello status di vittima di malagiustizia.

Ecco il «lavoro» degli «anti-sette»: costruire «mostri» inesistenti per trarne vantaggi personali.

Un interrogativo: gli «anti-sette» sono estremisti di destra?

A scanso di equivoci, precisiamo sin da principio che, per una volta, vogliamo fare una «eccezione alla regola» e pubblicare un testo un po’ diverso dal solito. Infatti, qui formuliamo più che altro delle ipotesi e diamo voce a degli interrogativi che ci sono sorti nell’ultimo periodo collegando tutta una serie di fatti antecedenti: potremmo sbagliare, pertanto non consideriamo queste riflessioni dei dati di fatto, ma le proponiamo ai lettori come spunti da riesaminare.

Partiamo dalla fine degli anni ’90, quando il neonato movimento politico di estrema destra «Forza Nuova», guidato da Roberto Fiore, pregiudicato per banda armata e associazione sovversiva nel processo per la strage di Bologna, da poco rientrato in Italia dall’Inghilterra, congloba nel proprio manifesto la «lotta alle sette religiose»:


Come si può notare, si trattava di dichiarazioni piuttosto esplicite e categoriche che non lasciavano spazio a nessun genere di dialettica, tant’è che già in quel periodo alcune «squadracce» di forzanovisti si resero responsabili di atti violenti, fra cui in particolare vanno ricordati i fatti di Roma del Maggio 1998 e il coinvolgimento nei tragici disordini di Genova del 2001.

Ma il legame con i gruppi «anti-sette» si evidenziò in maniera inequivocabile nel Marzo del 2002, quando Forza Nuova diede spazio ad una sigla famigerata come la «Associazione per la Ricerca e Informazione sulle Sette» (ARIS, oggi sostanzialmente defunta dopo vari guai giudiziari dei suoi soci) avendola assunta come punto di riferimento per fornire l’indispensabile materiale ideologico al fine di combattere i movimenti da loro considerati più «discutibili» e quindi (va da sé) più facilmente attaccabili sul piano dell’opinione pubblica.

Le attività antireligiose di Forza Nuova scemarono un po’ alla volta di fronte al rigetto pressoché spontaneo che se ne registrò da parte della stragrande maggioranza dei cittadini italiani, a cui la repressione violenta della diversità (per quanto la si possa dipingere come «discutibile») non sembra proprio andare a genio.

Nel 2001, Renato Meduri, senatore della Repubblica di «fede politica» notoriamente fascista (sic!), presentò il progetto di legge nr. 800 «Norme per contrastare la manipolazione psicologica», espressamente mirato contro i nuovi movimenti religiosi anche se, ovviamente, presentati alla maniera allarmistica tipica degli «anti-sette».

Per la cronaca, quella proposta di legge non ebbe alcun seguito concreto, ma negli anni successivi vi furono ancora vari tentativi simili di restaurare il «reato di plagio», nessuno dei quali però passò il vaglio del dibattimento parlamentare.

Sempre Meduri, in Gennaio 2006, presentò un’interrogazione parlamentare palesemente istigata dall’associazione FAVIS di Maurizio Alessandrini e Sonia Ghinelli. Anche quell’iniziativa finì lettera morta in quanto la situazione tanto «allarmante» che veniva riferita (con tanto di esplicita richiesta di intervento dello Stato) risultò essere più che altro una bega di cortile. Infatti, in seguito fu proprio il figlio di Alessandrini a smascherare le gravi incongruenze nell’operato della FAVIS, che in fin dei conti era composta principalmente dai suoi stessi genitori e da quella Sonia Ghinelli che oggi cerca di operare nell’anonimato tramite il controverso profilo Facebook «Ethan Garbo Saint Germain». A questo proposito vi è una interessante intervista resa pubblicamente da Fabio Alessandrini.

Sono invece recentissimi le dichiarazioni sdegnate degli «anti-sette» nei confronti (addirittura!) del cardinale Giuseppe Betori, a loro avviso «reo» di aver contrattato con un’altra confessione religiosa (la comunità islamica) la cessione di un terreno sul quale edificare un luogo di culto. Ecco come commenta il fatto lo psichiatra Mario Di Fiorino, un «anti-sette» e sostenitore delle teorie sul «plagio» sin dagli anni ’80:


Addirittura esorta i suoi contatti alla protesta pubblica contro il porporato:


Di Fiorino, il cui colore politico notoriamente non rosseggiante, si accoda alle voci polemiche di bigotti e intransigenti che, in effetti, attaccano il vescovo di Firenze con le stesse identiche argomentazioni degli estremisti di Forza Nuova:


Ecco infatti un post pubblicato su un gruppo Facebook che frequentemente pubblica le stesse notizie propalate da CeSAP, FAVIS, ecc.


I commenti stimolati da quel post parlano da sé:


Notare il livello culturale, come sempre elevatissimo, della dialettica «anti-sette»:


E poi non mancano mai i «leoni da tastiera» che da «anti-sette» si palesano per quel che sono, antireligiosi:


Avanziamo solo di una decina di giorni, quando l’accoppiata Lorita Tinelli (CeSAP) e Sonia Ghinelli (FAVIS) dà spazio e pubblica condivisione a questa notizia:


Lo stesso fa Toni Occhiello dell’AIVS praticamente in coincidenza:


Piccola nota di colore, questi post sono stati condivisi il giorno di Natale! Sbalorditivo… non pare un’ossessione?

Ma a parte la peculiarità cronologica, la condivisione e ripubblicazione di questa notizia richiama alla memoria quanto era avvenuto solo qualche mese prima (Luglio  2017) quando un tale di nome Adrian Oertli, un ex militante di estrema sinistra, raccontò ai media il suo «caso» per dimostrare in che modo, a suo dire, le organizzazioni comuniste sono del tutto equiparabili a «sette» nelle quali si pratica la «manipolazione mentale» coercitiva. Manco a dirlo, un’altra occasione creata ad arte per riproporre il solito minestrone del «plagio nei culti distruttivi»:



Non pare affatto strano che Oertli abbia stretto proprio in quel periodo amicizia su Facebook con Luigi Corvaglia, lo psicologo amico di Lorita Tinelli dalla quale ha anche raccolto il testimone della presidenza del CeSAP:


Tutto ciò premesso, dobbiamo ammettere che da queste riflessioni ne sono scaturite altre e ci siamo via via resi conto che l’argomento meriterebbe ulteriori e più consistenti indagini.

Sebbene molte delle attività degli «anti-sette» coinvolgano dei nostalgici del «ventennio» o, in ogni caso, degli estimatori dell'autoritarismo, forse non è completamente corretto sostenere che gli «anti-sette» siano tendenzialmente di destra.

Infatti, in più occasioni personaggi come Maurizio Alessandrini della FAVIS e i suoi compari si sono aggrappati al carrozzone della sinistra, pur di ottenere qualche interrogazione parlamentare preconfezionata: basti pensare al comunista Tiziano Arlotti o al democristiano Pino Pisicchio (ne davamo conto in questo post).

Sarebbe allora più corretto, forse, affermare che agli «anti-sette» piacerebbe essere di estrema destra per dispensare olio di ricino e manganellate in tutta libertà, ma al contempo devono fingersi democratici e garantisti per ottenere qualche appoggio politico.

Semplici opportunisti? O profittatori qualunquisti?

giovedì 28 dicembre 2017

L’innocenza del pappagallo e della cocorita



Ormai si sa, a Lorita Tinelli piace salire in cattedra e bacchettare a destra e a manca secondo il proprio umore. Questa volta però se l’è presa con l’Ordine degli Psicologi della Puglia, la stessa organizzazione della quale lei si proclama paladina. Una posizione evidentemente non condivisa da chi invece governa l’Ordine per mandato ufficiale.

Quindi ci ritroviamo in una situazione paradossale: Lorita Tinelli che spara a zero sull’Ordine per lo spreco di denaro nella realizzazione di un sito che, secondo lei, non è all’altezza perché manca di trasparenza.

Un esponente dell’Ordine della Puglia reagisce riportando informazioni che la riguardano, reperite sul Web. Lei lo censura facendo pressione affinché rimuova tali commenti e informazioni dal gruppo di Facebook a cui partecipano entrambi, dimostrando che la trasparenza per Lorita è un concetto a senso unico.

Infine Lorita chiama in causa l’Ordine della Puglia mediante una segnalazione deontologica nella speranza che punisca l’avversario, ma l’Ordine chiude la questione indicando che il malcapitato si era limitato a copiare informazioni già pubblicate da altri. Lorita esce dallo scontro con le piume arruffate.

Ma ecco, immantinente, accorrere un cavalier servente che si erge a sua difesa scrivendo un articolo di critica sull’Ordine: Federico Zanon, uno psicologo di Padova che chiaramente conosce molto bene le problematiche dell’Ordine degli Psicologi della Puglia (in fin dei conti, sono solo 700 chilometri di distanza…) grazie al parere sicuramente imparziale di Lorita Tinelli.

 L'innocenza del pappagallo Lorita Tinelli

Zanon scrive infatti un articolo intitolato: «L’innocenza del pappagallo. Storia di Lorita e dell’Ordine della Puglia». Un titolo curioso visto che uno dei nomignoli affibbiati sul Web a Lorita è proprio quello di «Cocorita» (come riferivamo circa a metà di questo nostro post). Un lapsus freudiano?

Del resto lo stesso Zanon ammette in apertura del suo articolo di aver visitato e letto i blog che parlano della Tinelli che evidentemente hanno lasciato traccia.

Ma la vera questione sollevata da Zanon è l’inaffidabilità del sistema di controllo deontologico dell’Ordine. Lo avevamo riportato anche noi quale forte pecca: gli psicologi vengono giudicati da altri psicologi e, in questo caso, un consigliere dell’Ordine della Puglia è stato giudicato da altri consiglieri.

Zanon s’inalbera e scrive: «Come ci si aspetterebbe che agisse l’Ordine regionale in un caso come questo? Beh, per prima cosa i consiglieri che conoscono il segnalato forse dovrebbero astenersi. Se non partecipo al giudizio deontologico di un collega di studio, perché dovrei giudicare un mio collega di consiglio? Ma così non è stato: in Puglia il caso è stato giudicato».

Quindi contesta l’Ordine per aver seguito la prassi deontologica già definita perché in un caso «speciale» come questo, dove era stata coinvolta nientemeno che Lorita Tinelli, il consiglio dell’Ordine avrebbe dovuto auto-ricusarsi in blocco e lasciare che qualcun altro giudicasse della questione. Chi? Zanon non lo dice, ma ci spiega che la deontologia professionale degli psicologi è un gioco d’azzardo.

Leggiamo nel suo articolo: «Nulla di tutto questo è illegittimo, intendiamoci: per come è oggi la deontologia degli psicologi, vale anche il poker a briscola. Sarebbe da fare ricorso al TAR. Insomma, una tarantella infinita».

Eppure Zanon non si accontenta di biasimare l’Ordine della Puglia per la vicenda Tinelli e tira fuori anche un vecchio scheletro dall’armadio: «C’era già stato un precedente molto simile, in questo Consiglio dell’Ordine Puglia: sempre un consigliere, sempre giudicato dai suoi stessi colleghi consiglieri. In quel caso venne pure sanzionato. Stava in un gruppo politico di minoranza, il che rese tutto ancora più singolare».

Quindi non solo l’Ordine degli Psicologi della Puglia ha sbagliato nei confronti di Loretta Tinelli, ma si è reso anche colpevole di favoritismi politici nelle proprie decisioni deontologiche.

Per fortuna che c’è Zanon che diventa all’istante il Robin Hood del Triveneto e ci spiega come funzionano veramente gli Ordini degli Psicologi in Italia: «Qui c’è un problema che tiriamo avanti dal 1989: i ventuno Ordini regionali funzionano come altrettante contee di Nottingham, ciascuna con i suoi sceriffi e un proprio modo di esercitare la funzione deontologica… Con il fondato pericolo che la deontologia diventi anche strumento di offesa politica».

Insomma, secondo il nostro autore, la deontologia professionale degli psicologi in Italia è una questione da Far West. Ci sono gli sceriffi e i pistoleri e vince chi gioca a poker quando la briscola è bastoni, vale a dire chi ha i giusti agganci politici.

Quello che comprendiamo da questa vicenda è che non ci sono regole né tanto meno garanzie. E’ un mondo di clientele dove l’ago della bilancia pende nella direzione di chi in quel momento ha la voce più forte. Evidentemente non la Tinelli.

Da parte sua Zanon sembra invece volersi in parte sostituire all’Ordine. Compare come membro della redazione di AltraPsicologia.it un sito che si prefigge di fornire «informazione, tutela e promozione». Ma non è forse quello che dovrebbe fare l’Ordine?

Un sito su cui naturalmente scrive anche Lorita Tinelli e che ha redazioni centrali e regionali, ma non ha un direttore responsabile. Forse un conflitto con l’Ordine dei Giornalisti? Magari no, perché sul sito si affrettano a spiegare che non ha periodicità e non è una testata giornalistica registrata. Ma allora perché parlare di redazione? E di certo la cadenza delle pubblicazioni appare fin troppo regolare.

Sicuramente esiste un conflitto con l’Ordine degli Psicologi visto che Altrapsicologia si presenta come: «un’associazione privata senza fini di lucro che si occupa della professione di psicologo e delle politiche professionali di categoria». Praticamente le stesse mansioni che sarebbero affidate all’Ordine professionale.

Stiamo assistendo a una lotta interna tra gli sceriffi della professione di psicologo in Italia? Evidentemente sì e Lorita Tinelli, come suo solito, è al centro del conflitto.