Quando si tratta di seminare allarmismo e mettere in cattiva luce una
certa comunità religiosa o spirituale o addirittura la fede stessa
professata da quella comunità, certi giornalisti a caccia di «contenuti»
non si fanno riguardo, e soprattutto non sottopongono le proprie
informazioni ad adeguata verifica. L’abbiamo documentato e denunciato
ripetutamente dalle pagine del nostro blog, basta consultare la sezione
«Media e giornalisti anti-sette» di questa pagina.
Quando
però qualcuno cerca di mettere in luce una prospettiva differente sulla
narrazione resa dal mass media scandalistico di turno, la sua voce
viene sistematicamente tacitata.
Così succede di volta in volta
con il nostro Mario Casini, così succede a molti altri, per lo più
devoti di questo o quel gruppo spirituale «non convenzionale».
Restituiamo
così la voce ad una di queste persone che ha cercato di rivolgere la
propria protesta (peraltro pacata e rispettosa, oltre che puntuale e ben
documentata), senza nemmeno ricevere una risposta, ad una giornalista di Mediaset, tale Roberta Rei,
che aveva voluto infangare la sua comunità religiosa. Malgrado diversi tentativi di contattarla, la «iena» si è sempre negata.
La lettera,
che pubblichiamo integralmente, è stata scritta non da un
rappresentante ufficiale della Congregazione Cristiana dei Testimoni di
Geova, ma da un privato cittadino: un Testimone di Geova profondamente
convinto della propria fede e sufficientemente coraggioso da cimentarsi
in un dialogo a viso aperto e a carte scoperte.
La vicenda cui si
fa riferimento è quella della signora Grazia Di Nicola; del suo caso (e
delle preziose «fake news» che ne sono scaturite) abbiamo dato conto in
questo post.
Questo blog si propone di promuovere un'informazione puntuale e ad ampia diffusione sulle notizie e i fatti concreti che riguardano il controverso mondo dei gruppi "anti-sette" e di tutti quei soggetti ed associazioni che portano avanti un attivo contrasto a movimenti spirituali e confessioni religiose.
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giovedì 25 aprile 2019
giovedì 24 gennaio 2019
Business «anti-sette»: ecco come Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni lucrano sull’odio
Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, giornalisti «anti-sette» recentemente autori del libro «Nella Setta» che stanno pubblicizzando accanitamente su tutti i media del paese inclusa Internet, non hanno mai confutato i nostri rilievi a proposito del loro movente economico. Al contrario, con attacchi personali piuttosto che spiegazioni hanno mostrato di non avere argomenti per negare quella che noi abbiamo riscontrato essere l’evidenza dei fatti e abbiamo quindi raccontato come tale, peraltro a partire da ben prima che il loro libro vedesse la luce.
Beninteso, non c’è nulla di male nello svolgere un’attività professionale a scopo di lucro. E ci mancherebbe! Ciò che stona (e che finisce per far trasparire una certa malafede) è l’intento dissimulato. Ovvero: di fatto è un’operazione commerciale in piena regola, però viene condita con leziose dichiarazioni di intenti di natura assistenziale o culturale o addirittura di utilità sociale.
Una «minestra perfetta» come quella già vista appena un anno prima per la soubrette «anti-sette» Michelle Hunziker: stesso obiettivo (il denaro), stesse modalità (la creazione di un nemico immaginario da propinare al popolo credulone seminando allarmismo e infamando chi aiuta davvero la gente o chi non ha altre colpe se non portare avanti un propria fede diversa da quella della maggioranza).
Operazione di marketing, quella architettata dalla showgirl svizzera, che dev’essere stata presa ad esempio proprio da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni: infatti, a chi ha osservato con attenzione l’exploit mediatico «anti-sette» della Hunziker dell’autunno 2017 non è sfuggito che il suo periodo di onnipresenza sui media nazionali le ha fatto da viatico per l’ingaggio a cinque zeri al festival di Sanremo e per quello successivo a «Striscia la Notizia». Quindi, se i proventi del libro pubblicato ai danni della pranoterapeuta che l’aveva accolta molti anni prima presunta non saranno stati granché, i veri soldi li ha poi guadagnati grazie al clamore destato per mezzo di quel lancio editoriale.
In maniera tutt’altro che dissimile, ai loro amici giornalisti che li intervistano Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni mostrano la facciata di chi vorrebbe farsi paladino degli indifesi e portabandiera di un cambiamento normativo (è la solita, vexata quaestio del ripristino del «reato di plagio» di fascista memoria, alias «manipolazione mentale»):
Fatta la tara alle fesserie giuridiche e all’allarmismo gratuito (anzi, a pagamento), quello che rimane sono esultanze come questa:
Ma Gazzanni e Piccinni sapranno sicuramente spiegarci come i «diritti cinematografici e televisivi già venduti» si traducano in un beneficio per le presunte «vittime» di ipotetici «culti abusanti», oltre che per le loro tasche.
Si veda anche questo post che festeggia le vendite del libro:
Per non parlare delle molteplici affermazioni di giubilo sulla notorietà acquisita, dalla quale ovviamente si traggono ulteriori vantaggi economici e che, evidentemente, rappresenta il loro vero obiettivo commerciale: la popolarità mediatica nel loro settore vale oro; Gazzanni e Piccinni questo lo sanno molto bene. E sfruttano la situazione, anche se la loro facciata vorrebbe essere di tutt’altro genere.
Ecco qui un altro esempio, solo uno sui numerosi:
Provino ora a smentirci, Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, quando sosteniamo che lucrano sull’odio.
Finora, a distanza di mesi, di repliche argomentate nemmeno l’ombra.
Forse che non siamo affatto in errore?
Beninteso, non c’è nulla di male nello svolgere un’attività professionale a scopo di lucro. E ci mancherebbe! Ciò che stona (e che finisce per far trasparire una certa malafede) è l’intento dissimulato. Ovvero: di fatto è un’operazione commerciale in piena regola, però viene condita con leziose dichiarazioni di intenti di natura assistenziale o culturale o addirittura di utilità sociale.
Una «minestra perfetta» come quella già vista appena un anno prima per la soubrette «anti-sette» Michelle Hunziker: stesso obiettivo (il denaro), stesse modalità (la creazione di un nemico immaginario da propinare al popolo credulone seminando allarmismo e infamando chi aiuta davvero la gente o chi non ha altre colpe se non portare avanti un propria fede diversa da quella della maggioranza).
Operazione di marketing, quella architettata dalla showgirl svizzera, che dev’essere stata presa ad esempio proprio da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni: infatti, a chi ha osservato con attenzione l’exploit mediatico «anti-sette» della Hunziker dell’autunno 2017 non è sfuggito che il suo periodo di onnipresenza sui media nazionali le ha fatto da viatico per l’ingaggio a cinque zeri al festival di Sanremo e per quello successivo a «Striscia la Notizia». Quindi, se i proventi del libro pubblicato ai danni della pranoterapeuta che l’aveva accolta molti anni prima presunta non saranno stati granché, i veri soldi li ha poi guadagnati grazie al clamore destato per mezzo di quel lancio editoriale.
In maniera tutt’altro che dissimile, ai loro amici giornalisti che li intervistano Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni mostrano la facciata di chi vorrebbe farsi paladino degli indifesi e portabandiera di un cambiamento normativo (è la solita, vexata quaestio del ripristino del «reato di plagio» di fascista memoria, alias «manipolazione mentale»):
Fatta la tara alle fesserie giuridiche e all’allarmismo gratuito (anzi, a pagamento), quello che rimane sono esultanze come questa:
Ma Gazzanni e Piccinni sapranno sicuramente spiegarci come i «diritti cinematografici e televisivi già venduti» si traducano in un beneficio per le presunte «vittime» di ipotetici «culti abusanti», oltre che per le loro tasche.
Si veda anche questo post che festeggia le vendite del libro:
Per non parlare delle molteplici affermazioni di giubilo sulla notorietà acquisita, dalla quale ovviamente si traggono ulteriori vantaggi economici e che, evidentemente, rappresenta il loro vero obiettivo commerciale: la popolarità mediatica nel loro settore vale oro; Gazzanni e Piccinni questo lo sanno molto bene. E sfruttano la situazione, anche se la loro facciata vorrebbe essere di tutt’altro genere.
Ecco qui un altro esempio, solo uno sui numerosi:
Finora, a distanza di mesi, di repliche argomentate nemmeno l’ombra.
Forse che non siamo affatto in errore?
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sabato 19 gennaio 2019
Contributo esterno - l’era della «post-verità» religiosa
Dal nostro corrispondente esperto in questioni estere, Epaminonda (ma con una piccola rifinitura del solito, impertinente Mario Casini), ecco un pregevole contributo a proposito del ruolo dei giornalisti non solo nella propaganda «anti-sette» di cui ci occupiamo in questo blog, ma anche e soprattutto nella diffusione (prezzolata) di «informazioni» dalla scarsa attendibilità, che in ultima analisi rovinano la categoria stessa dei reporter e deturpano la libertà di stampa.
Conosciamo bene le conseguenze (talvolta disastrose) del tamtam mediatico sul presunto «allarme sette» ai danni delle vite di individui o di intere famiglie facenti parte di gruppi spirituali «non convenzionali», ma oltre a ciò deve essere considerata l’influenza dei disinformatori di «professione» rispetto al vasto pubblico e agli scenari socio-politici del terzo millennio.
Conosciamo bene le conseguenze (talvolta disastrose) del tamtam mediatico sul presunto «allarme sette» ai danni delle vite di individui o di intere famiglie facenti parte di gruppi spirituali «non convenzionali», ma oltre a ciò deve essere considerata l’influenza dei disinformatori di «professione» rispetto al vasto pubblico e agli scenari socio-politici del terzo millennio.
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lunedì 8 ottobre 2018
Barlumi di giustizia nell’iniquo mondo «anti-sette»: a giudizio due giornaliste
Il mese scorso è stata diffusa una notizia che ci ha lasciato ben sperare per il futuro: due giornaliste Mediaset sono state rinviate a giudizio con l’accusa di «diffamazione a mezzo stampa» per aver realizzato due servizi, andati in onda il 27 maggio 2013 a «Studio Aperto» su «Italia 1», in cui ipotizzavano dei collegamenti fra alcuni suicidi di ragazzi della zona di Saluzzo (Cuneo) e dei presunti «riti satanici» e relative «sette».
Come spiega Monica Bruna nell’articolo qui riportato, nei servizi televisivi diffusi dalle due giornaliste ora sotto accusa «si parlava anche del suicidio della studentessa avvenuto due anni prima. La ragazza veniva citata per nome, comparivano anche alcune immagini dell’abitazione».
«La studentessa si era tolta la vita, impiccandosi, il 1° maggio 2011, (…). I genitori avevano detto che la figlia era depressa a causa di una delusione sentimentale», ma i giornalisti influenzati dalla propaganda «anti-sette» avevano invece preferito dare ascolto a qualche diceria, forse pensando che potesse «vendere meglio», e avevano parlato di «sette sataniche» e quant’altro. Una pista che, nel corso delle indagini, era stata «completamente scartata dagli inquirenti».
Occorre sottolineare che siamo solo al primo grado di giudizio e quindi occorrerà vedere quali saranno gli esiti veri e propri del processo; tuttavia, per una volta la macchina della giustizia sembra si muoversi in direzione della correttezza e della legalità mettendo sotto accusa dei produttori di «fake news» complici degli «anti-sette». Volendo essere scrupolosi, anche questi ultimi dovrebbero essere processati come complici delle due giornaliste.
Ma purtroppo il triste caso della studentessa del cuneese la cui reputazione fu infangata (assieme a quella della sua famiglia) persino dopo la sua morte per suicidio senza alcun rispetto per una tale tragedia non è affatto isolato.
Un’altra vicenda di cronaca nera in cui i «megafoni» della propaganda «anti-sette» presero subito a vociare contro delle inesistenti «sette religiose» ebbe luogo poco lontano da Saluzzo, a una settantina di chilometri più a est, nell’astigiano:
Era l’aprile del 2014 e le indagini erano in pieno svolgimento; decine e decine fra articoli e post sui vari blog «di informazione» parlarono di questa povera donna scomparsa e trovata morta in un canale solo sei mesi più tardi. Anche qui, fioccarono le illazioni sul fatto che fosse stata «plagiata» da qualche «seguace di una setta», ecc. Le solite «notizie» ricamate o inventate per risultare allarmanti e spaventose.
Quale fu la verità, accertata in sede giudiziaria?
Condanna che è stata poi confermata recentemente, in maggio scorso.
Ci auguriamo che la giustizia segua il suo corso e faccia piena chiarezza sulle responsabilità delle due giornaliste nel diffondere false notizie di stampo «anti-sette».
Come spiega Monica Bruna nell’articolo qui riportato, nei servizi televisivi diffusi dalle due giornaliste ora sotto accusa «si parlava anche del suicidio della studentessa avvenuto due anni prima. La ragazza veniva citata per nome, comparivano anche alcune immagini dell’abitazione».
«La studentessa si era tolta la vita, impiccandosi, il 1° maggio 2011, (…). I genitori avevano detto che la figlia era depressa a causa di una delusione sentimentale», ma i giornalisti influenzati dalla propaganda «anti-sette» avevano invece preferito dare ascolto a qualche diceria, forse pensando che potesse «vendere meglio», e avevano parlato di «sette sataniche» e quant’altro. Una pista che, nel corso delle indagini, era stata «completamente scartata dagli inquirenti».
Occorre sottolineare che siamo solo al primo grado di giudizio e quindi occorrerà vedere quali saranno gli esiti veri e propri del processo; tuttavia, per una volta la macchina della giustizia sembra si muoversi in direzione della correttezza e della legalità mettendo sotto accusa dei produttori di «fake news» complici degli «anti-sette». Volendo essere scrupolosi, anche questi ultimi dovrebbero essere processati come complici delle due giornaliste.
Ma purtroppo il triste caso della studentessa del cuneese la cui reputazione fu infangata (assieme a quella della sua famiglia) persino dopo la sua morte per suicidio senza alcun rispetto per una tale tragedia non è affatto isolato.
Un’altra vicenda di cronaca nera in cui i «megafoni» della propaganda «anti-sette» presero subito a vociare contro delle inesistenti «sette religiose» ebbe luogo poco lontano da Saluzzo, a una settantina di chilometri più a est, nell’astigiano:
Era l’aprile del 2014 e le indagini erano in pieno svolgimento; decine e decine fra articoli e post sui vari blog «di informazione» parlarono di questa povera donna scomparsa e trovata morta in un canale solo sei mesi più tardi. Anche qui, fioccarono le illazioni sul fatto che fosse stata «plagiata» da qualche «seguace di una setta», ecc. Le solite «notizie» ricamate o inventate per risultare allarmanti e spaventose.
Quale fu la verità, accertata in sede giudiziaria?
Condanna che è stata poi confermata recentemente, in maggio scorso.
Ci auguriamo che la giustizia segua il suo corso e faccia piena chiarezza sulle responsabilità delle due giornaliste nel diffondere false notizie di stampo «anti-sette».
sabato 20 gennaio 2018
Il business «anti-sette» asservisce anche i giornalisti
Da questo blog abbiamo spesso acceso i riflettori (e continueremo a farlo) sulle false accuse e «notizie» fasulle prodotte o manipolate dagli «anti-sette».
Ma di quando in quando succede che qualche giornalista, forse per scarsità di «materia prima», va a pescare dal calderone dei vari CeSAP, FAVIS, ONAP, anti-TdG, ecc., per accatastare qualche «succosa» storia di presunti «abusi» e mettere assieme qualche centinaio di battute per un buon «pezzo» da rivendere al miglior offerente o al primo che è disposto a comprarlo (ve ne sono stati parecchi esempi anche recenti ed eclatanti).
Quando poi la catasta di scartoffie è sufficientemente consistente o può essere propinata con un’adeguata campagna di marketing, il giornalista di turno si improvvisa scrittore e cerca di piazzare la maggior quantità possibile di copie nelle librerie e fra il vasto pubblico. Si sa, gli affari sono affari (come nel caso di Michelle Hunziker).
Poco importa se il business viene fatto alle spalle di persone le cui vite vengono irrimediabilmente infangate o addirittura completamente devastate per il profitto o per l’interesse di qualcun altro.
In taluni casi, il giornalista di turno ha buon gioco a prendere di mira un’intera comunità spirituale o religione di minoranza, specialmente se in rapida crescita fra i giovani, additandola (tanto per cambiare) come «setta» o «culto distruttivo» (giusto per inquadrare bene sin da subito un contesto «torbido») e poi dando fondo a tutto il repertorio delle chiacchiere da comari, allarmismo e credulità popolare tipici degli anatemi «anti-sette», meglio se «dimostrati» dalla «testimonianza» di qualche ex membro del movimento, così il tutto si ammanta di una propria «credibilità».
Credibilità dello stesso valore che avrebbe domandare a una moglie, in lite con il marito da cui si è separata dopo molti anni di matrimonio, qual è la sua opinione dell’ex coniuge. Più o meno come chiedere a un fervido interista il suo parere su uno juventino, o viceversa: ci si può forse aspettare un esame equanime, sereno ed imparziale?
Non sempre si riesce a cogliere quanto sia assurdo considerare attendibile la testimonianza di un ex membro inviperito (esempio lampante è quello di Toni Occhiello), eppure è cosa di un’ovvietà disarmante.
Ma i giornalisti hanno bisogno di fare sensazione, e così scrivono articoli come questo:
Il pezzo è di Giovanni Del Vecchio e Stefano Pitrelli, già autori di un controverso libro contro numerosi movimenti religiosi.
Su quell’articolo, l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai ha diffuso un comunicato stampa di replica che suggeriamo di leggere per intero e che peraltro mostra modi ben più rispettosi di quelli adottati dai giornalisti nei loro confronti.
Ma al di là della voce ufficiale del gruppo religioso, sono forse ancora più interessanti i commenti all’articolo contro la Soka Gakkai riportato dal sito «Huffington Post»: diretti, privi di mediazione, spontanei e schietti, qua e là frizzanti quando non addirittura focosi, i contributi dei lettori rendono bene l’idea di quanta gente viene riguardata dall’intolleranza religiosa portata avanti da articoli di tale fatta. Un’offesa non solo alla spiritualità, ma al giornalismo stesso.
Eccone uno:
Altri tre:
Naturalmente, qua e là nella discussione, non mancano interventi del «solito» Toni Occhiello, che esercita il suo ruolo di «troll» come ben descritto in un nostro precedente post:
Gli utenti, correttamente, lo ignorano del tutto e continuano ad esprimere liberamente la propria opinione:
Significativa la quantità degli interventi a favore della Soka Gakkai, di tenore ed ispirazione piuttosto differenti l’uno dall’altro.
Infine, addirittura una smentita nel cuore stesso dei «contenuti» proposti dai giornalisti:
A fronte di simili reazioni, cosa hanno fatto Giovanni Del Vecchio e Stefano Pitrelli? Cosa ha fatto la redazione di «Huffington Post»? Nulla, il nulla assoluto: non delle scuse, non delle precisazioni, niente di niente.
Ecco il rispetto dei giornalisti «anti-sette» nei confronti delle minoranze religiose.
Ma di quando in quando succede che qualche giornalista, forse per scarsità di «materia prima», va a pescare dal calderone dei vari CeSAP, FAVIS, ONAP, anti-TdG, ecc., per accatastare qualche «succosa» storia di presunti «abusi» e mettere assieme qualche centinaio di battute per un buon «pezzo» da rivendere al miglior offerente o al primo che è disposto a comprarlo (ve ne sono stati parecchi esempi anche recenti ed eclatanti).
Quando poi la catasta di scartoffie è sufficientemente consistente o può essere propinata con un’adeguata campagna di marketing, il giornalista di turno si improvvisa scrittore e cerca di piazzare la maggior quantità possibile di copie nelle librerie e fra il vasto pubblico. Si sa, gli affari sono affari (come nel caso di Michelle Hunziker).
Poco importa se il business viene fatto alle spalle di persone le cui vite vengono irrimediabilmente infangate o addirittura completamente devastate per il profitto o per l’interesse di qualcun altro.
In taluni casi, il giornalista di turno ha buon gioco a prendere di mira un’intera comunità spirituale o religione di minoranza, specialmente se in rapida crescita fra i giovani, additandola (tanto per cambiare) come «setta» o «culto distruttivo» (giusto per inquadrare bene sin da subito un contesto «torbido») e poi dando fondo a tutto il repertorio delle chiacchiere da comari, allarmismo e credulità popolare tipici degli anatemi «anti-sette», meglio se «dimostrati» dalla «testimonianza» di qualche ex membro del movimento, così il tutto si ammanta di una propria «credibilità».
Credibilità dello stesso valore che avrebbe domandare a una moglie, in lite con il marito da cui si è separata dopo molti anni di matrimonio, qual è la sua opinione dell’ex coniuge. Più o meno come chiedere a un fervido interista il suo parere su uno juventino, o viceversa: ci si può forse aspettare un esame equanime, sereno ed imparziale?
Non sempre si riesce a cogliere quanto sia assurdo considerare attendibile la testimonianza di un ex membro inviperito (esempio lampante è quello di Toni Occhiello), eppure è cosa di un’ovvietà disarmante.
Ma i giornalisti hanno bisogno di fare sensazione, e così scrivono articoli come questo:
Il pezzo è di Giovanni Del Vecchio e Stefano Pitrelli, già autori di un controverso libro contro numerosi movimenti religiosi.
Su quell’articolo, l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai ha diffuso un comunicato stampa di replica che suggeriamo di leggere per intero e che peraltro mostra modi ben più rispettosi di quelli adottati dai giornalisti nei loro confronti.
Ma al di là della voce ufficiale del gruppo religioso, sono forse ancora più interessanti i commenti all’articolo contro la Soka Gakkai riportato dal sito «Huffington Post»: diretti, privi di mediazione, spontanei e schietti, qua e là frizzanti quando non addirittura focosi, i contributi dei lettori rendono bene l’idea di quanta gente viene riguardata dall’intolleranza religiosa portata avanti da articoli di tale fatta. Un’offesa non solo alla spiritualità, ma al giornalismo stesso.
Eccone uno:
Altri tre:
Naturalmente, qua e là nella discussione, non mancano interventi del «solito» Toni Occhiello, che esercita il suo ruolo di «troll» come ben descritto in un nostro precedente post:
Gli utenti, correttamente, lo ignorano del tutto e continuano ad esprimere liberamente la propria opinione:
Significativa la quantità degli interventi a favore della Soka Gakkai, di tenore ed ispirazione piuttosto differenti l’uno dall’altro.
Infine, addirittura una smentita nel cuore stesso dei «contenuti» proposti dai giornalisti:
A fronte di simili reazioni, cosa hanno fatto Giovanni Del Vecchio e Stefano Pitrelli? Cosa ha fatto la redazione di «Huffington Post»? Nulla, il nulla assoluto: non delle scuse, non delle precisazioni, niente di niente.
Ecco il rispetto dei giornalisti «anti-sette» nei confronti delle minoranze religiose.
lunedì 18 dicembre 2017
Chi sono gli «anti-sette»? Ecco i nomi di associazioni, comitati, gruppi
Chi sono gli «anti-sette»? Ecco tutti i nomi
Senza la pretesa di fornire un quadro completo, in questa pagina elenchiamo con nomi e cognomi i principali attori del panorama italiano degli «anti-sette» a noi noti, fornendo rimandi ad articoli correlati, desunti dal nostro blog ma anche reperiti altrove nella Rete.
Senza la pretesa di fornire un quadro completo, in questa pagina elenchiamo con nomi e cognomi i principali attori del panorama italiano degli «anti-sette» a noi noti, fornendo rimandi ad articoli correlati, desunti dal nostro blog ma anche reperiti altrove nella Rete.
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