mercoledì 30 gennaio 2019

La propaganda «anti-sette» è stata pensata per nascondere la cattiva reputazione degli psicologi?

Secondo un sondaggio diffuso in Ottobre del 2017, il 70% degli italiani considera inutile andare dallo psicologo. Un dato, questo, alquanto sbalorditivo se si considera che la professione di psicologo è una realtà consolidata e ratificata dallo Stato italiano da trent’anni ormai, con l’istituzione dell’Ordine di riferimento grazie all’iniziativa parlamentare del senatore Adriano Ossicini, il quale seppe conseguire un ambizioso obiettivo malgrado le molte polemiche e dopo quindici anni di battaglie e di contestazioni ricevute persino dai suoi colleghi.

Nondimeno, si sa che nei confronti della categoria gli italiani sono sempre stati piuttosto diffidenti o, comunque, poco orientati a ricorrere alle loro proposte. Le ragioni di tale forma mentis non sono state ancora spiegate esaurientemente, ma si potrebbe ipotizzare che la popolazione dello Stivale ha ancora una prevalenza di cultura popolare che conferisce una generale tendenza verso soluzioni di senso comune o verso prassi etnicamente consolidate ritenute prevalentemente valide e pertanto difficilmente messe in discussione.

In quest’ottica, si potrebbe comprendere come mai la legge Ossicini promulgata nel febbraio del 1989 sia stata vista dagli italiani come una sorta di imposizione di un’istituzione non particolarmente richiesta né desiderabile. Di certo, se a tutt’oggi oltre tre quinti della popolazione non desiderano o non ritengono di alcuna utilità farsi visitare da uno psicologo, a quel tempo forse nemmeno conoscevano l’esistenza della figura dello «strizzacervelli» o potevano averne sentito parlare a mo’ di «americanata» (come usava dire a quel tempo).

Non a caso riscosse enorme popolarità un film di Hollywood proprio con quel titolo, «Lo strizzacervelli» (1988) con Dan Aykroyd e Walter Matthau, per non parlare degli innumerevoli tentativi fallimentari di curare il commissario Dreyfus nell’esilarante serie dell’ispettore Clouseau («La Pantera Rosa»), acclamatissima in Italia per tutti gli anni ’70 e ’80 ed oltre.


Nei sei lustri che ci separano da allora, malgrado qua e si notino ancora un po’ di sfiducia e di cautela, non si può certo dire che lo scenario non sia mutato per il meglio.

Stando alle statistiche dell’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza della categoria (ENPAP), al 31 dicembre 2016 vi erano in Italia fra i cinquanta e i sessantamila psicologi. In questo articolo si legge che nel nostro paese sono attivi 156 (centocinquantasei) psicologi ogni centomila abitanti, solo ottanta dei quali però ritenuti effettivamente praticanti perché iscritti al sindacato. Comunque, anche escludendo i non tesserati, la cifra rimane elevata se paragonata alla Francia in cui i praticanti sarebbero ottantaquattro ogni centomila abitanti oppure alla Germania in cui se ne conterebbero centonove.

Sempre secondo l’ENPAP, soltanto un terzo degli psicologi attivi raggiungerebbe i ventimila Euro annui o poco meno, mentre più di quindicimila psicologi non raggiungono i cinquemila Euro annui. Cifre, queste, che sembrerebbero collimare con il dato della domanda «di mercato» carente. Tant’è che, malgrado l’abbondanza numerica, il totale delle prestazioni erogate sarebbe molto inferiore rispetto (ad esempio) alla Francia, dove ben il 33% della popolazione si è rivolto almeno una volta ad uno psicologo per ricevere assistenza.

Infatti, secondo Avvenire sui cinquantacinquemila psicologi attivi, migliaia sono gli immatricolati ai corsi di laurea, ma solo uno su quattro
eserciterà realmente la professione; eppure: «i corsi di laurea in Psicologia negli ultimi 20 anni si sono moltiplicati, resta un'aspettativa molto elevata di laurearsi e poi esercitare la professione di psicologo, ma in realtà, i dati statistici in nostro possesso ci dicono che solo un laureato ogni 4 si avvierà alla professione di psicologo».

Il problema della reputazione, però resta sempre attuale. Infatti, benché (sempre stando al succitato articolo di Avvenire, e quindi alle dichiarazioni del vicepresidente ENPAP), il fatturato annuo della categoria sia in crescita, ciò nonostante persino i loro portavoce sentono ancora la necessità di intervenire sulla percezione della figura professionale dello psicologo da parte della popolazione generale: «Abbiamo svolto una ricerca di mercato nel 2015 rilevando con diverse metodologie il sentiment di circa 1000 fra cittadini e opinion leader, ne emerge un orientamento positivo». Sfortunatamente, l’indagine che ha decretato il dato (riferito all’inizio di questo post) del 70% degli italiani poco inclini a rivolgersi a uno psicologo è successivo a queste dichiarazioni, che i più puntigliosi detrattori non mancherebbero di definire generiche o scarsamente dettagliate.

Ma veniamo ora alla relazione perlomeno concettuale fra la becera propaganda «anti-sette» e la cattiva reputazione di cui risente la categoria degli psicologi.

Nel già citato articolo di «thevision.com» (curiosamente condiviso, qualche settimana fa, proprio dalla psicologa Lorita Tinelli), si legge: «Se in Italia una percentuale così estesa di persone considera lo psicologo alla stregua di un ciarlatano che intende soltanto rubare i soldi ad alcuni disperati creduloni in difficoltà, è perché domina un’ignoranza diffusa sul mondo della psicologia e della psicanalisi che nutre una forte presunzione di base, figlia di tutti i pregiudizi».

È quasi sorprendente rilevare come questi concetti sfavoreli, facenti parte della comune considerazione della gente rispetto agli psicologi, siano quasi sovrapponibili alle accuse rivolte proprio dagli esponenti «anti-sette» nei confronti dei nuovi movimenti religiosi!

In particolar modo – fatto che, di per sé, ha davvero dello sbalorditivo – sono proprio certi psicologi facenti parte del fronte militante contro i presunti «culti distruttivi» o «abusanti» a formulare direttamente o anche a sostenere indirettamente gli attacchi nei confronti di gruppi religiosi o para-religiosi «alternativi» (il nostro blog gronda delle dimostrazioni di astio e di ostilità da parte di costoro ai danni di congregazioni tutto sommato pacifiche e il più delle volte impegnate in attività benefiche).

Ci si domanda se questo manipolo di psicologi estremisti come Lorita Tinelli (referente della SAS o «Squadra Anti-Sette» del Ministero dell’Interno) e Luigi Corvaglia (membro del direttivo della controversa organizzazione europea FECRIS), Anna Maria Giannini (amicissima di don Aldo Buonaiuto e con lui fra i relatori dell’inquietante convegno di Roma del 9 novembre scorso), Elena Melis del GRIS di Rimini, Davide Baventore in Lombardia, Martina Poggioni (in quota AIVS) in Toscana e qualche altro sparso qua e là sul territorio, non finiscano per contribuire inavvertitamente a gettare discredito sulla categoria.

Soffrendo un cospicuo affollamento di colleghi (e quindi un’inevitabile concorrenza) e dovendo pure loro sbarcare il lunario, in un mercato difficilissimo (come è quello del benessere e della salute) anche perché subissato da una miriade di proposte (si pensi solo alla feroce polemica, tuttora rovente, contro i «counselor»), nella costante necessità di procurarsi del lavoro che a volte stenta ad arrivare, sembra che certi «strizzacervelli» preferiscano accanirsi non solo contro «life coach» e simili, ma anche contro leader religiosi, guru e figure di tutt’altro genere (e che in qualche caso non hanno proprio nulla a che vedere con loro: eclatante l’esempio di «Un Punto Macrobiotico») e mettere in moto una vera e propria macchina del fango ai danni di figure rappresentative o di interi movimenti.

Una tattica atavica, descritta già fra il I e il II secolo d.C. allorché Plutarco raccontava di come un adulatore di Alessandro Magno di nome Medio «raccomandava di attaccare e mordere senza paura con calunnie sostenendo che, se anche la vittima fosse riuscita a sanare la ferita, sarebbe comunque rimasta la cicatrice».

Insomma, certi intransigenti ed intolleranti critici di presunte «sette religiose» (le quali, il più delle volte, si rivelano aggregati di persone normalissime che cercano faticosamente di professare un proprio credo o di seguire una filosofia comune) cercano di spostare la diffidenza incrostatasi nei confronti della loro categoria appioppandola ad altri.

Un discorso simile si potrebbe senz’altro fare per una figura come il già citato don Aldo Buonaiuto, prete cattolico dall’operato palesemente inquisitorio le cui vicende giudiziarie del passato sono scomparse da Internet. Ma di questo abbiamo già parlato e ci si potrà nuovamente occupare in altro post.

Tornando invece agli psicologi ed alla mordace, roboante campagna mediatica di un’infinitesima percentuale di loro contro la spiritualità alternativa, il vero quesito che rimane ad ora irrisolto è: giova davvero tutto questo odio?

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