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lunedì 3 dicembre 2018

Giornalisti «anti-sette»: Giorgio Romiti e un esempio di istigazione all’odio

Abbiamo dato conto in un post della scorsa settimana dell’ennesimo esempio di propaganda mediatica contro i nuovi movimenti religiosi, nella fattispecie una congregazione evangelica pentecostale di grande successo in questi anni, nota come «Parola della Grazia» o PdG.

Riprendiamo il discorso per fornire ulteriori elementi a riprova di quanto abbiamo scritto: in particolare, a supporto del fatto che lo pseudo-giornalista in questione, quel Giorgio Romiti (che preferisce operare nell’anonimato utilizzando lo pseudonimo Gaston Zama) autore di un servizio de «Le Iene» profondamente tendenzioso nei confronti di quel movimento, si era mosso (alla ricerca del giovane ex omosessuale ritornato etero dopo aver abbracciato quella fede) quando già era carico di un profondo pregiudizio nei loro riguardi.

Era partito con un’idea negativa già ben formata, con il preconcetto che si trattasse di una «setta», con l’intento di metterla alla berlina perché «colpevole» di aver «provocato» la trasformazione di un ragazzo da gay a eterosessuale e con l’obiettivo di riproporre la cantilena mediatica sul fantomatico «plagio» mentale.

È sufficiente leggere il post che Giorgio Romiti ha pubblicato la mattina del 4 novembre scorso sul proprio profilo Facebook pubblico, con il quale dà il la a delle discussioni anche feroci da parte di un gran numero di utenti. Per inciso: utenti reali? artificiali? opera di qualche «influencer»? chi può dirlo?


Come si può notare, i commenti vanno ben oltre i 2000 e fra questi si trova un vasto repertorio di offese scurrili, ingiurie nei confronti del giovane pentecostale, accuse infamanti a lui, a sua madre ed alla sua congregazione, ecc.


Affermazioni qua e là anche violente scritte da «leoni da tastiera» evidentemente incapaci di rispettare le credenze altrui.


E Giorgio Romiti alias Gaston Zama che fa? Ammicca agli intolleranti.


Ma non solo: la scusa è buona per mettere in piazza non solo il nome e cognome, ma anche l’indirizzo del profilo Facebook personale del ragazzo preso di mira per la propria identità sessuale (che egli afferma di aver ritrovata), così che possa venire esposto al pubblico ludibrio (evitiamo di riportare quei commenti solo per tutelare nei limiti del possibile l’identità del ragazzo).

Fortunatamente, intervengono diversi utenti per reagire a questa sottospecie di tribunale inquisitorio virtuale:


Tutto ciò si svolge una settimana prima del «servizio» televisivo prodotto da Giorgio Romiti per «Le Iene». Fatto, questo, che dimostra in maniera inequivocabile come quel video fosse nato già in un crogiolo (forse sarebbe più corretto dire in un trogolo) di pregiudizio e di intolleranza anti-religiosa di differenti estrazioni.

D’altronde, lo dice persino Lorita Tinelli, esponente «anti-sette» di prima linea, che «Le Iene» sono una trasmissione «folkloristica»:


Per una volta, non possiamo che sottoscrivere quanto dichiara la psicologa pugliese.

mercoledì 28 novembre 2018

Le iene «anti-sette», notizie manipolate e disinformazione contro gli Evangelici: Parola della Grazia (PdG)

[Post aggiornato con ulteriori elementi il 3 Dicembre 2018]

Descriviamo in questo post un ulteriore tassello che si aggiunge ai molti precedenti (ad esempio questo o questo), a proposito di come gli «anti-sette» e i giornalisti compiacenti al loro seguito producono una disinformazione che è principalmente composta da circostanze e fatti adulterati oppure raffazzonati in modo tale che le loro sequenze conducano a conclusioni fuorvianti.

A innestarsi questa volta (come in passato) nel solco dei manipolatori dell’informazione è la trasmissione «Le Iene», senz’altro arcinota ma spesso contestata, persino dalla stampa sua consimile oltre che da specialisti delle bufale:


Autore del «reportage» in questione, come vedremo, è un «giornalista» la cui qualifica poniamo fra virgolette per una ben precisa ragione che motiveremo più oltre.

Questa volta, nel mirino della macchina del fango «anti-sette», amplificata dal megafono mediatico de «Le Iene», è finita una congregazione evangelica pentecostale che da alcuni anni raccoglie sempre maggiori consensi fra la gente. Per inciso, ci domandiamo: non sarà proprio questa la vera ragione di fondo di tanto accanimento, il suo allargarsi sempre più e il suo implicito (ma del tutto involontario) rappresentare una sorta di minaccia per qualche interesse privato e nascosto? Chissà.

Parliamo della «Parola della Grazia» o PdG, un’associazione a tutti gli effetti classificabile fra i «nuovi movimenti religiosi», ben descritta dagli studiosi (seri) come una chiesa pentecostale con caratteristiche proprie e una certa autonomia (qui qualche spunto per approfondire).

Due settimane fa novembre scorso, questo gruppo religioso con sede in Palermo (sì, proprio la stessa gloriosa capitale che mille anni or sono fu già esempio mondiale di libertà di culto, sotto il dominio normanno di re Ruggero II d'Altavilla), e uno dei suoi principali pastori (Gioacchino Porrello) è stato preso di mira a causa di un video nel quale un loro giovane fedele dichiarava di essersi ritrovato eterosessuale e di aver abbandonato l’omosessualità, che aveva praticato per alcuni anni, ora percepita come un male impostogli dal diavolo e poi superato. Estasiato e quasi inebriato dal proprio ardore per Dio, il ragazzo ha voluto gridare al mondo intero la propria gioia prima di battezzarsi nella sua ritrovata fede e si è raccontato a modo proprio illustrando la propria esperienza. Ne sono sorte in reazione delle critiche, sulle quali il «giornalista» de «Le Iene» si è subito avventato.

Consequenziale è stata, nella logica mediatica del «contenuto» ad ogni costo, la ripresa della «notizia» da parte di altri media (dalla Sicilia fino alla Svizzera) che naturalmente hanno fatto il solito effetto «cassa di risonanza».

Così la testimonianza di un giovane fedele di una congregazione pentecostale fuori di sé dalla felicità per aver conseguito un radicale cambiamento nella propria identità sessuale è divenuto una «buona ragione» per etichettare lui e qualche centinaio di migliaia dei suoi correligionari non come «fedeli» di un certo tipo di spiritualità, ma come «seguaci» di un qualcosa che il video nel complesso vorrebbe dipingere come «misterioso» o «sinistro».


Un elemento che probabilmente il telespettatore medio non noterà è l’audio: un complesso di motivetti solo lontanamente musicali, nemmeno una colonna sonora ma più che altro una sorta di effetti o di gemiti inquietanti, che ricordano un film dell’orrore. Che c’entrano con l’intervista a un leader spirituale che ispira e guida migliaia di fedeli? Ovviamente non vi hanno nulla a che fare, ma sono funzionali a creare un’atmosfera, un sound che trasmette un certo timbro emozionale.

Si sfiora il ridicolo anche nella descrizione della struttura in cui si riuniscono i fedeli di PdG, ovviamente una «chiesa», ma messa in dubbio e descritta come qualcosa di insolito da un «giornalista» che evidentemente non ha mai aperto un vocabolario per scoprire che «chiesa» significa sin dall’origine della parola «adunanza, assemblea» per poi passare a rappresentare un «edificio dedicato al culto», specie se cristiano (come nel caso di specie).

Proseguendo, nell’intervista (che pare più un «terzo grado») al pastore Gioacchino Porrello il «giornalista» subdolamente dà un’imbeccata per riprendere e rilanciare il solito «allarme sette»: insinua il dubbio che la sua congregazione sia «una setta» ma senza esporsi: ossia, induce Porrello a confutare l’accusa facendo apparire che sia lui stesso a formularla (per poi negarla) sulla base di un paio di sporadici commenti in Internet (come sempre, a fronte del parere diametralmente opposto di migliaia di persone che invece testimoniano la bontà della pratica di PdG e i benefici che ne hanno tratto):


Eppure si tratta di sporadici commenti, una percentuale del tutto infinitesima rispetto a quella rappresentata non solo dai fedeli della Parola della Grazia, ma anche dalla maggioranza dei cittadini di differente estrazione religiosa. Ciò nonostante, secondo il «giornalista», quella mezza dozzina (forse) di commenti dovrebbe rappresentare una prova del fatto che «molti gridano al plagio», o che «la gente» (minuto 17’00”) «pensa» che il giovane ex-omosessuale sia stato «plagiato».


Già qui ci troviamo di fronte a «fake news»: quel «molti» è una mera mistificazione che fa comodo al «giornalista» ed è del tutto strumentale a tenere in piedi il suo «servizio».

Lo stesso vale per la telefonata (rigorosamente anonima) che viene fatta sentire successivamente (dal min 22’40” circa) e nella quale un’ignota signora sparla della congregazione facendo delle accuse scarsamente circostanziate.

Come giustamente afferma Gioacchino Porrello in un passaggio che per fortuna non viene tagliato, il «giornalista» sta né più né meno adoperando l’argomento per «fare audience».

Tanto è vero che la stessa delatrice anonima sembra finire per contraddirsi, negando di aver personalmente constatato ciò che qualcun altro le avrebbe riferito accadere:


Anche ammesso che questa telefonata sia reale (e non artefatta, magari architettata proprio dal «giornalista»), è lampante che fa acqua da tutte le parti.

Ma non è ancora tutto.

In piena tattica «anti-sette», un rispettabile e benamato pastore pentecostale (il padre di Gioacchino Porrello) che ha addirittura rinunciato alla carriera di dottore per coltivare la fede e predicare la parola di Dio, deve per forza venire dipinto con tinte fosche e con una qualche nomea discutibile:


Peccato che l’asserto «da medico di base a guaritore miracoloso» sia del tutto fuorviante rispetto a ciò che affermano i diretti interessati: infatti, né Porrello senior né suo figlio hanno nemmeno lontanamente alluso al fatto di essere mai stati loro a guarire i fedeli! Caso mai, la loro credenza sta nel fatto che sia Dio a provocare le guarigioni, compiendo dei miracoli, per mezzo della fede stessa del suo gregge. Che si sia dello stesso avviso o meno, che si ritenga possibile o meno, che sia scientifico o meno, è tutto un altro discorso e comunque non legittima a mettere in bocca al pastore Porrello delle parole che non ha mai detto, quando invece lui e il figlio si sono sempre riferiti al Dio taumaturgo.

E qui veniamo al motivo per cui abbiamo scritto «giornalista» fra virgolette in tutto il post.

Il servizio-fiction de «Le Iene» è stato infatti composto da tale «Gaston Zama», pseudonimo di un misterioso Giorgio Romiti molto attivo in Internet ed autore prezzolato di contenuti per il format di Italia Uno, ma che sull’albo dei giornalisti non figura affatto. Uno pseudo-giornalista a tutti gli effetti, quindi: chissà se aveva precisato di non avere tale qualifica quando si è presentato presso la congregazione palermitana? chissà se è stato davvero «trasparente» come a più riprese dichiara di voler essere, pretendendo altrettanto dal suo interlocutore?

È perché su questo «Gaston Zama» alias Giorgio Romiti non si riescono a trovare informazioni precise? Chi è costui? E perché vuole nascondere le proprie generalità? Perché nel video il suo viso non compare mai? Questa una delle poche fotografie disponibili sul suo profilo Facebook, sempre ammesso e non concesso che ritragga realmente il viso di Romiti:


Troppi misteri, troppe ombre in un servizio pseudo-giornalistico che vorrebbe essere allarmistico ma quasi quasi nemmeno ci riesce, dato che in alcuni punti finisce per rasentare l’auto-contraddizione.

L’unica cosa che davvero spicca è l'operato tipico degli «anti-sette»: manipolare i fatti e le informazioni per far passare al di là dell’evidenza (e soprattutto al di là della verità) un ben preciso messaggio, ossia che esistono delle fantomatiche «sette», che rappresentano un «pericolo» e che praticano il «plagio» (teoria che, come si è visto ripetutamente nel nostro blog, è ormai notoriamente anti-scientifica).

Peccato, però, che anche questa volta è sufficiente analizzare accuratamente il «servizio» pseudo-giornalistico per constatare che la sua veridicità lascia terribilmente a desiderare.

sabato 7 luglio 2018

Preistoria «anti-sette» e inquietante attualità: la circolare fascista «Buffarini Guidi»

Durante il regime fascista la discriminazione nei confronti delle minoranze confessionali non cattoliche diede adito a fatti gravi e dolorosi, in qualche caso anche violenti ed estremi.

Lo scenario sociale di allora (di quel «ventennio» iniziato ormai quasi un secolo fa) era – è chiaro – profondamente differente dall’attuale, non solo per il quadro politico, culturale, etnico ed economico in cui si trovava il nostro paese, ma anche per il semplice ed elementare fatto che i gruppi religiosi erano di numero ben più esiguo di quanti non se ne possano contare oggigiorno.

Ciò nonostante, già a quei tempi la repressione del «diverso spirituale» (inquadrata in manovre di politica estera ben più ampie della mera ideologia intransigente, peraltro atta a mantenere il maggior ordine sociale possibile e un rigido controllo) s’imperniava su concetti fondamentali che vengono a tutt’oggi adoperati dagli «anti-sette» di cui parliamo nel nostro blog.

Fra gli esperti di libertà religiosa si è spesso menzionato il provvedimento draconiano che divenne il simbolo della persecuzione religiosa di quei tempi: la tristemente famosa circolare «Buffarini Guidi», emanata il 9 aprile del 1935 e così denominata dall’omonimo sottosegretario al Ministero dell’Interno dal 1933 al 1943, l’avvocato e deputato Guido Buffarini Guidi, membro del gran consiglio del fascismo.


Quella sciagurata direttiva (di cui dà una concisa ma dettagliata descrizione un saggio del prof. Stefano Gagliano) diede l’avvio a delle vere e proprie persecuzioni, principalmente ai danni delle comunità Pentecostali ed Evangeliche: il loro proselitismo fu impedito, i loro fedeli furono schedati e sottoposti a raccolta di informazioni riservate fra cui il controllo della loro corrispondenza; le loro adunanze vennero ostacolate, le loro congregazioni subirono irruzioni da parte delle forze dell’ordine anche a celebrazioni in corso; in qualche caso si arrivò fino alla denuncia con custodia cautelare, e addirittura al confino.

Si dovette attendere l’aprile del 1955 (ben oltre i dieci anni dalla caduta del regime fascista), perché la «Buffarini Guidi» venisse definitivamente revocata, dopo una serie di pronunce giudiziarie e iniziative parlamentari a favore della libertà di culto e in difesa dei diritti fondamentali delle minoranze Valdesi, Evangeliche e Pentecostali.

Vi sono drammatiche analogie fra quell’espressione antireligiosa della tirannide mussoliniana e le tattiche odierne degli «anti-sette», tanto quanto le iniziative legislative da costoro propiziate ai danni dei nuovi movimenti religiosi.

Primo fra tutti, l’obiettivo dichiarato di quel provvedimento.

Riferendosi al culto professato dai Pentecostali, il sottosegretario Buffarini Guidi dichiarò che esso non era «riconosciuto» a norma dell’articolo 2 della legge 24 giugno 1929, n. 1159 (quella sui «culti ammessi») e di conseguenza non poteva più essere consentito «nel regno, agli effetti dell’articolo 1 della citata legge, essendo risultato che esso estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza».

Desideriamo sottolineare questo concetto: «pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza».

In apparenza, la «Buffarini Guidi» proclamava di salvaguardare l’incolumità e la salute mentale dei cittadini. Né più né meno ciò che sostengono oggigiorno gli «anti-sette» (implicitamente o esplicitamente, a seconda dei casi), nei confronti delle diverse realtà religiose e spirituali, sfruttando la credulità popolare generatasi intorno alla controversa e screditata teoria del «lavaggio del cervello» alias «plagio» alias «manipolazione mentale».

Ricordiamo anche le affermazioni di Lorita Tinelli a proposito di quanto lei definisce «fideismo»:



Stessa linea ideologica: le credenze altrui, che alla psicologa non vanno a genio, sono non soltanto discutibili (secondo lei) ma anche «pericolose» per chi se ne interessa e comincia a professarle.

Tanto quanto accade oggigiorno con gli «anti-sette», così allora la circolare fascista si era servita del supporto di una e letteratura «scientifica» strumentalizzata per fornire conferme ufficiali a quell’ideologia antireligiosa. Ne dà conto il prof. Gagliano nel già citato saggio: «La scienza doveva provarlo. Nessuna meraviglia se la perizia medica di parte cattolica (…) parlava di “suggestione collettiva” di soggetti nevropatici e sosteneva che la pratica del culto pentecostale era dannosa per la salute psichica degli aderenti». Tali argomentazioni pseudo-scientifiche fornirono dunque la base teorica per i raid della polizia e le altre azioni di controllo nei confronti dei fedeli.

Ora come allora, a sostanziare la propaganda contro la libertà di scelta spirituale vi erano dei presunti esperti che non avevano in realtà competenze specifiche nell’ambito della sociologia della religione, della teologia, ecc.; erano invece medici o medici psichiatri. Oggi la categoria più direttamente coinvolta nella fornitura del supporto teorico per la discriminazione sono gli psicologi e solo marginalmente i medici, ma lo stratagemma e il risultato sono i medesimi. Luigi Corvaglia, Lorita Tinelli, Patrizia Santovecchi, Cristina Caparesi: questi i nomi principali.

Un altro aspetto di inquietante somiglianza è l’utilizzo che già a quel tempo si fece della parola «setta»: lo stesso scellerato metodo di stigma (come abbiamo descritto in post precedenti) che viene adoperato ai tempi nostri dalle associazioni come FAVIS, CeSAP e AIVS e dai rispettivi esponenti.

Non bastarono la fine della guerra, l’insediamento della Repubblica e l’adozione della Costituzione: l’influenza della «Buffarini Guidi» permaneva infatti ancora nel 1951, come mostra una comunicazione ufficiale del Ministero dell’Interno, nella quale si leggeva (sempre con riferimento a Evangelici e Pentecostali): «Questa setta, importata dagli Stati Uniti d’America da emigrati rimpatriati, generalmente di modeste condizioni sociali e intellettuali, pretende di metterete i propri adepti in comunicazione con lo Spirito Santo (…). In attesa che si determini questa comunicazione i fedeli (…) si abbandonano a prolungate invocazioni, lamenti, grida d’invocazione, movimenti ritmici (…) suggestionandosi a vicenda gradualmente fino ad arrivare, in molti casi, ad uno stato morboso di esaltazione psichica allucinatoria».

Ecco nuovamente l’ingerenza dello stato (tanto indebita quanto oltraggiosa) nelle faccende spirituali e segnatamente nella professione di fede e nelle credenze religiose peculiari di un movimento più giovane e meno radicato nel territorio. Ed ecco anche l’uso del vocabolo «setta» per ghettizzare intere comunità minoritarie ed esporle all’odio della maggioranza.

Inoltre, come oggidì, al fine di denigrare la religione si infamavano anche i suoi appartenenti, definiti come «umili lavoratori di scarsa levatura intellettuale e mancanti di quel senso critico che potrebbe limitare il pericolo».

Il punto di arrivo di quella linea ideologica era decretare che «manifestazioni di culto che costituiscano un concreto pregiudizio per la salute pubblica (…) escludono che il culto possa essere compreso nel novero dei culti ammessi nello Stato». In altri termini, si proibiva una religione sulla base di accuse false e infamanti, servilmente fabbricate per ammantare di scientificità un provvedimento atto ad eliminare una minoranza scomoda non solo perché in continua e rapida crescita, ma anche e soprattutto per i suoi «legami spirituali e finanziari con le chiese sorelle anglo-americane» (Gagliano, op. cit.).

Ci si dovrebbe interrogare profondamente quando si sentono certi esponenti «anti-sette» suonare la sirena per il pericolo dei «culti distruttivi» o dei «gruppi abusanti»: non si tratta solo di un fatuo allarmismo deliberato che ha già creato «mostri» inesistenti e sconvolto irrimediabilmente la vita di molte persone; si tratta senza mezzi termini di una preoccupante propaganda ideologica il cui esito ultimo è la messa al bando di comunità pacifiche e spesso impegnate in attività caritatevoli e di utilità sociale.

Conseguenze dettate dall’estremismo antireligioso che lo Stato dovrebbe prevenire prima che sia troppo tardi, come indicano esponenti Pentecostali di spicco in questo video che in chiusura riportiamo.